Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

I PRIMI VENT’ANNI DI UN CAPOLAVORO, “ETERNAL SUNSHINE OF THE SPOTLESS MIND” (di Matteo Fais)

L’umanità si divide in due. Vi è una vastissima porzione di miserabili coglionazzi che si identificano con il Sylvester Stallone di Rocky, mentre questo corre lungo la scalinata infinita che sta di fronte al Philadelphia Museum of Art, per affermare il mito americano dell’uomo comune che trionfa sulle mille milioni di pastoie della vita e afferma sé stesso nella realtà della giungla d’oltreoceano. La loro canzone preferita è ovviamente Eye of the Tiger, un inno da quartiere popolare degradato, in cui l’unico orizzonte culturale sono calcio e pugilato – baseball, se si parla degli US.

Sull’altro versante, decisamente più intimo, ci sono coloro che, almeno un paio di volte l’anno, devono rivedersi Eternal Sunshine of the Spotless Mind e si riconoscono nell’inquieto Joel, interpretato da uno strepitoso Jim Carrey, o – se donne – in una folle e così irresistibilmente coinvolgente Clementine, portata in scena dall’incantevole Kate Winslet. Il loro album di riferimento – mica solo una canzonetta – è Rain Dogs di Tom Waits, che si vede quasi di sfuggita in un’inquadratura, e contiene perle quali la canzone omonima, Downtown Train, Anywhere I Lay My Head.

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Precisamente, vent’anni fa usciva questo film che ha segnato una generazione – tra coloro che potevano essere segnati, ovviamente. Guardarlo ha lasciato in loro alcune certezze quali: l’amore è impossibile e proprio per questo, paradossalmente, bisogna andare alla sua ricerca; ovunque tu sia, guardati intorno, perché è sempre possibile che quel qualcuno che stai disperatamente cercando sia, a sua volta sulle tracce di te, pur senza saperlo; e, soprattutto, che siamo fatti di ogni gioia come di ogni agonia che abbiamo vissuto e non si può né si deve cercare di guarire da sé stessi.

Inutile stare qui, adesso, a ricostruire la trama che, si spera, possa essere data per scontata. Eternal Sunshine è semplicemente una struggente storia d’amore ambientata nei nostri tempi, ma prima del massiccio ingresso dei social nella vita quotidiana delle masse e, non per niente, l’anno d’uscita coincide con quello della nascita di Facebook – uno spartiacque, c’è poco da dire.

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Certo, rivisto oggi, come sottolineato da alcuni, potrebbe dirsi contenga metaforicamente molti elementi anticipatori di ciò che sono divenute le relazioni tra i sessi dopo una tale rivoluzione. Con un paio di semplici mosse cerchiamo di rimuovere il nostro passato una volta che questo non ci fa più comodo, o ci è venuto a noia: cancelliamo foto, video, parole e romantiche sciocchezze, credendo che basti così poco per trasformare in oscurità chi in un modo o nell’altro ha fatto capolino nella nostra esistenza.

Al contempo, con l’avanzare inesorabile della tecnologia – ma ciò, grazie al cielo, ancora non lo sappiamo – e la manipolazione psicologica che a questa potrebbe accompagnarsi, non è detto che l’idea di far rimuovere qualcosa o qualcuno dalla propria memoria – una particolare esperienza traumatica magari – non divenga una pratica tristemente diffusa, specie in una realtà in cui ogni sentimento che non sia vuota felicità diviene malattia, disagio, da superare a ogni costo.

A ogni modo questo film ci brucia tutt’ora dentro, ci smuove qualcosa interiormente dopo ogni visione, specie se abbiamo qualche caratteristica in comune con i protagonisti o se uno dei due ci ricorda in qualche modo, in pensieri, parole, opere e idiosincrasie una qualche vecchia conoscenza che saltuariamente ancora pulsa in noi come una cicatrice mai realmente rimarginatesi.

Incontestabilmente si tratta di una pellicola superlativa, totalmente al di là di ogni sentimentalismo spicciolo e hollywoodiano tipico della commedia romantica. Risulta anche particolarmente distante dalla solita visione stereotipata dell’amore tossico – e, certamente quello tra i protagonisti lo è. Alla fin fine, nei rapporti, farsi del male è inevitabile, l’importante è rispettare comunque la libertà altrui. Poi, ripicche, ricatti morali, sottointesi e crudeltà smozzicate sono parte di ogni essere che voglia dirsi umano.

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Certo, è difficile immaginare che la storia tra Joel e Clementine possa risolversi in un senso classico, tra matrimonio, figli e vita di coppia – rifuggono da tutto ciò, dall’“essere come le altre coppie”, con tutto il loro spirito ed effettivamente, per sensibilità, interessi e aspettative, sono tutto fuorché delle persone comuni in senso statistico, pur non essendo unicamente personaggi da film. Insomma, non è la pellicola adatta per una serata in famiglia, almeno se questa è conservatrice.

La sensazione che l’opera lascia è che l’amore finisce, in alcuni casi diviene addirittura odio o ripugnanza, ma il sentimento resta, si sedimenta, forse rende inguaribili, ma è il nostro spessore. In tanti sognano una persona che sia, come nei versi di Alexander Pope da cui è tratto il titolo e che vengono recitati da uno dei personaggi: “Com’è felice il destino dell’incolpevole vestale!/ Dimentica del mondo, dal mondo dimenticata./ Infinita letizia della mente candida!/ Accettata ogni preghiera e rinunciato a ogni desiderio”. Ma cosa sarebbe l’amore con un essere umano dalla mente così, vergine, aliena al terrore, l’angoscia e la vergogna di esistere?

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).

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