Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

“APOCALISSI DOMESTICHE”: IL NUOVO CANZONIERE DI UNA LEGGENDA POETICA DEL WEB, BEATRICE ORSINI (di Matteo Fais)

orsini

“Ti chiamo da una camera di motel./ […] Ti chiamo per non avere nulla da dire./ Le parole percorrono i polsi le vene/ le infrastrutture del decoro (che non ho),/ pulsano al ritmo di luci lente” (Beatrice Orsini, Apocalissi Domestiche, Delta 3 Edizioni).

Niente è più inquietante della vita entro le vecchie care quattro mura. La sicurezza che tiene a bada la nevrastenia è una placida prigione, in cui i giorni scorrono nella più quieta agonia. L’amore coniugale, la cura della prole, tutte le faccende in cui ci spendiamo per creare intorno a noi una parvenza di serenità, i ruoli rigidamente assegnati: cosa sono?

La risposta è in questo breve e quasi monumentale Apocalissi domestiche (Delta 3 Edizioni) di Beatrice Orsini: “Non manca niente/ nella gabbia del canarino:/ acqua, luce, cibo/ le piccole/ umane/ quotidiane premure./ Non viene nemmeno voglia di volare”. Versi taglienti come un coltello affilato che sfugge di mano e incide la tranquillità entro cui siamo adagiati, che scuote l’abitudine e l’ordinario con l’apparire del sangue. La loro forza evocativa è universale.

apocalissi domestiche
Beatrice Orsini, Apocalissi Domestiche, Delta 3 Edizioni. Per acquistare: http://www.delta3edizioni.com/bookshop/catalogo/411-apocalissi-domestiche-9791255141372.html

Un libro di nevrosi, mania, ossessione come macchie sui muri e un disincanto che schizza ghiacciato sugli occhi del lettore da un tubo esploso (“Cose estratte dal cilindro:/ piccole parole in gabbia/ una febbre lasciata a metà/ dieci grammi di perversione/ il mese di novembre”).

Tra queste pagine ci sono tutti i nostri non detti, le sensazioni che non si nominano per non far franare un equilibrio sempre al limite: “Qualcosa in me mi uccide/ con ferocia mista a piacere./ Non essere mai uno./ Non essere nessuno./ Al fondo della cura pescare la malattia”. La nostra umanità più vera, così borghesemente trattenuta, è tutta qui.

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In questo mondo basato sulla comunicazione, sulla sua importanza, sul suo valore indiscutibile, il linguaggio è anche una condanna (“Non dura che poche ore/ il mio fingermi solitaria:/ necessariamente ogni parola/ cade in un recinto altrui”). Eppure, non è certo in questo eccesso di dialogo, in questa violenta costrizione alla promiscuità sociale, in questa vita in cui dobbiamo per forza associarci e, peggio ancora, riprodurci, che l’autoreferenzialità risulta sconfitta (“Alla resa dei conti/ sono stata la destinataria di ogni mia singola parola”).

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Ecco, anche una silloge sull’illusione del linguaggio e le sue trappole mondane, famigliari, quotidiane (“Rimango un insieme di parole, la sua nevrosi”; “Non mi serve capire la lingua di dio/ se tu mi collochi all’altro capo di un tavolo immaginario:/ ogni parola non pronunciata giunge errata”; “Ho interrogato a lungo la bocca di mia madre:/ l’oracolo non si è svelato”).

Poesia come confessione, ma mai sfacciata affermazione di indipendenza fine a sé stessa, secondo lo stilema femminile imperante, solo tanta stanchezza per la farsa generalizzata e così mortalmente castrante (“Nascosi il caos sotto il tovagliolo perché nessuno/ lo potesse cercare”; “Romperò il silenzio con qualche piatto fracassato/ – se mi andrà di farlo. Ma potrebbe darsi il caso ch’io non faccia/ alcun rumore./ E con le mani e con la bocca e con ogni cellula nervosa/ strofinerò il pavimento, fino a farlo sanguinare”).

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No, nessun io femminile che si pone alla testa di un esercito ideale in guerra per i propri diritti. Come dice l’autrice stessa, “Non sono adatta alla quiete/ come non sono adatta alle rivoluzioni” – in ciò quasi ricordando l’abbandono e la fuga esistenziale del Dino Campana di “Pace non cerco, guerra non sopporto”. L’orizzonte è sociale – se lo è – solo in seconda battuta, nell’identificazione più o meno vasta che questa poesia potrà suscitare. Ma, in principio, è della propria cella che si parla, di una gabbia che è tutta personale, al massimo privata nel senso di famigliare (“Sono le piccole cose a rendermi infelice/ quelle che ci sono, quelle che mancano./ La tua mano non chiude il mio seno”).

Una poesia di superiore espressione, di inconfondibile potenza. Dopo Anche l’acqua avrà sete (Controluna) uscito ben 5 anni fa, Beatrice Orsini torna con un canzoniere che disarmerà il lettore, lo stordirà entro la sua spirale di versi in cui sprofondare. Uno dei pochissimi testi di poesia attuale da cui non esiste ritorno.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.

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