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LA RECENSIONE – L’AMORE PROLETARIO, IN COREA, COSÌ DIVERSO DA QUELLO SHAKESPEARIANO (di Chiara Colombara)

Quanti avevano sentito parlare di Corea, prima di Squid Game? Qualche cinefilo avrà sicuramente visto dei film antecedenti, alcuni  dei veri capolavori (basti pensare a Old Boy di Park Chan-wook e diversi titoli di Kim Ki-duk). La letteratura del Paese del Calmo Mattino fatica tuttavia ad aprirsi un varco in Occidente, complice l’accecante charme di quelle del Sol Levante e del Paese di Mezzo (Cina) che invece sta spingendo particolarmente su precisi programmi di divulgazione. Fortunatamente, per gli appassionati di Estremo Oriente – e non solo! – esiste Atmosphere Libri, una casa editrice che propone una nutrita collana di opere asiatiche (Asiasphere) – degno di nota il fatto che siano tutte tradotte dalla lingua originale –, all’interno della quale si possono trovare anche dei testi di narrativa coreana, come Storie d’amore dalla Corea del primo Novecento, una raccolta di racconti di autori vari a cura di Benedetta Merlini.

Contestualizzare il periodo storico, in questo caso, è una premessa d’obbligo. Si fa risalire la nascita della Corea moderna alla fine dell’Ottocento, quando una riforma cercò di riorganizzare il sistema sociale in modo da diminuire le enormi differenze tra classi. Il passaggio fu complicato e per lunghi anni il paese si trovò in una condizione di profonda instabilità, altalenante tra valori del passato e modernità introdotte dagli scambi sempre più frequenti con i paesi vicini. Il Giappone costituì un ulteriore motivo di destabilizzazione: per 35 anni colonizzò il paese, soggiogandolo tanto con la forza quanto a livello culturale. Basti pensare che il giapponese fu imposto come lingua ufficiale. In questo clima di smarrimento, nacque il “nuovo romanzo” coreano, caratterizzato da uno slancio verso la modernizzazione ma anche da un accorato tentativo di riscatto dalla tragedia vissuta.

AA.VV, Storie d’amore dalla Corea del primo Novecento, Atmophere Libri.

Il volume in questione, composto di dodici racconti (gli autori sono rispettivamente Yi Sang, Kim Yu-jeong, Kim Dong-in, Hyun Jin-geon, Gang Gyeong-ae, Lee Hyoseok, Yi Kwang-su, Na Do-hyang), ci narra di come venisse vissuto l’amore a quel tempo. Bisogna entrare in un’ottica molto diversa dal concetto di romanticismo che permea l’Occidente, per approcciare una dimensione più distaccata, spesso fredda. Complice la miseria e un tessuto sociale ancora saldamente sorretto dalla dottrina confuciana, i sentimenti spesso vengono repressi o tendono a lasciare più spazio alla pancia (vuota) che al cuore (inaridito dalla povertà).

Viviamo drammatici momenti con delle donne che, vittime di un sistema che le umilia, finiscono per cedere all’ira e alla vendetta: chi per le violenze subite dalla suocera (le donne potevano legittimamente essere ripudiate se colpevoli di disobbedienza ai suoceri) in L’incendio; chi per la gelosia nei confronti di un uomo più ricco al quale si concedeva in cambio di favori personali, come in Patate.

Amori pregni di amarezza, quale quello di Toksun (La canicola) che affronta un faticosissimo viaggio dalla campagna alla città, trasportando di peso la moglie gravemente malata, nutrendo la speranza che si tratti di una malattia rara per ottenere del denaro dedicato allo studio di patologie gravi.

Sempre di un sentimento intrecciato al malessere fisico, molto comune viste le condizioni di vita nelle campagne, si parla nel racconto Un giorno fortunato: Kim guida il suo risciò sotto la pioggia battente, facendo enormi sforzi per guadagnare il più possibile in una giornata inaspettatamente fortunata, ricca di clienti. La felicità del momento viene però spenta da tetri presagi. Riuscirà a godere dei tanti soldi guadagnati insieme alla moglie, che ha lasciato a casa, malata e sofferente?

C’è poi il contrasto tra l’innamoramento momentaneo e le violenze subite da Bunnyeo nell’omonimo racconto: anche gli stupri vanno digeriti in fretta, quando si devono fare i conti con la fame. Tant’è che il sesso si trasforma, poi, in uno strumento per sopravvivere.

È la violenza, fisica e feroce, a colpire anche Samnyong, il muto: uno schiavo sordomuto, fedele al padrone anche se questo lo tratta come un animale. Un amore che nasce da una comune destino di sfortuna e sofferenza: tanto lui quanto la padroncina, della quale si invaghisce, hanno avuto in sorte una padrone-marito che li sevizia. Ne nasce una complicità inammissibile per la società dell’epoca.

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Compare anche una scrittrice donna: Gang Gyeong-ae, attivista e femminista, la quale, in Le stringe rotte, affronta la passione legandola alle vicende del tempo: dei ragazzi sacrificano la gioventù in nome della lotta contro l’invasore giapponese.

“Purtroppo il luogo dove abitavano non permetteva di vivere appieno e liberamente una gioia. Ogni volta che questo pensiero gli ronzava per la testa, il suo cuore provava una certa sofferenza che gli faceva comprendere quanto l’amore potesse avere un retrogusto amaro e quanto quel dolce sentimento potesse procurare dispiacere.” (cit.)

Qualche nota umoristica allieta Le camelie e accompagna i sentimenti acerbi di due adolescenti che, da prima si tormentato mettendo in gioco i rispettivi galli da combattimento, per poi avvicinarsi sorprendentemente, con tenerezza.

Gli ultimi due racconti di Yi Sang scaraventano invece il lettore in una dimensione surrealista, con delle storie narrate usando la tecnica del flusso di coscienza. Non facili da seguire, ma particolarmente originali rispetto allo stile realista che caratterizza tutti gli altri.

Si finisce il libro un po’ disorientati: dopo storie tanto dolorose, in cui sui sentimenti prevalgono gli interessi personali e i rigidi schemi sociali, sorge spontanea la domanda “sarà davvero amore?”. Ci si imbatte in una cruda realtà, nella vita di poveri, reietti e disperati, persone ai margini che penano quotidianamente per una ciotola di riso. C’è spazio per il sentimento quando si lotta per la sopravvivenza?

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La Corea abbandonò, almeno ufficialmente, il feudalesimo a fine Ottocento e, ancora a inizio Novecento, il Paese era fortemente condizionato da rigidi principi confuciani secondo i quali, per esempio, il matrimonio era un mero dovere sociale. Vigeva ancora un’economia di sussistenza. Siamo dunque molto distanti dalla concezione romantica del sentimento che si sviluppò in Europa, in seno ad una borghesia arricchita ed emancipata – si pensi alla sua cuspide letteraria, ovvero Romeo e Giulietta di Shakespeare. 

Si dice che l’amore è universale, ma sarà davvero così? Oppure la società, la religione e il contesto storico influiscono in modo decisivo nella definizione di un sentimento tanto profondo quanto duttile?

Chiara Colombara

Contatti: chiara.colombara@gmail.com 

L’AUTRICE

Chiara Colombara nasce a Padova nel 1982. Laureata in Lingue Orientali alla Cà Foscari (Venezia), ha vissuto diversi anni in Cina ed attualmente lavora come traduttrice/interprete e consulente linguistica. Perseguendo quel percorso antropologico e culturale che da secoli unisce la Serenissima all’Oriente, è divulgatrice di storia e tradizioni venete nonché cultrice di civiltà asiatiche.

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