Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

CONSIGLI DI LETTURA – IL CAMPIELLO OGGI E IERI: DANTE ARFELLI E MARIA LAURA ROSATI (di Matteo Fais)

Dante Arfelli, I superflui (RFB) – Vincitore del Campiello 1949

Sui premi letterari meglio stendere un velo pietoso. Alcuni sono più seri, altri unicamente manifestazioni di potere di cupole letterarie. C’è poco da fare, l’essere umano è così e chi lo nega o è affetto da un ottuso ottimismo o è in malafede.

Cionondimeno, come in qualunque ufficio pubblico, tra cinquanta impiegati, quarantotto sono raccomandati buttati dentro a calci in culo e due gli onesti lavoratori che hanno seguito tutto l’iter, dal concorso alla gavetta.

Se rapportassimo questo schema al Campiello, sarei certo di poter mettere la mano sul fuoco a garanzia del vincitore del 1949, quando ancora la competizione si chiamava Premio Venezia. Dante Arfelli, nome che ai più dirà poco o niente, era veramente uno scrittore d’eccellenza – la cui eccellenza, giusto per chiarire, stava nell’uso della penna, non certo nell’abilità di tessere trame oscure e ottenere favori in cambio di favori, cosa che lui ha sempre rifiutato, preferendo coltivare il talento fuori dall’oscena luce dei riflettori.

I superflui, questo il titolo del suo capolavoro e immenso successo letterario sbarcato a suo tempo anche oltre oceano, è veramente il tipico romanzo di cui si sentirebbe una grande necessità, ma che nessuno si prende la briga di scrivere. Tra il suo testo e quelli odierni corre la stessa differenza che sussiste tra il fare informazione parlando di stronzate gossippare, quali la colazione tipo di Mario Draghi, e il raccontare la fila di disperati, a Milano, fuori dalla onlus “Pane quotidiano”.

Dante Arfelli, I superflui, RFB

E Arfelli la realtà non la respinge, ma la aggredisce a testate. Il romanzo è la storia di Luca, un ragazzo qualunque, senza grandi ideali né studi, che approda a Roma, dalla provincia, per cercare di salvarsi dalla miseria del dopoguerra. Alla stazione, incappa in Lidia, una prostituta sbandata che lo abborda e lo porta nella cameretta in cui vive a pensione, presso una vecchia. Alla fine, la stessa dimora diventerà la base di appoggio del protagonista nella città eterna.

Luca, in tasca, ha due lettere di raccomandazione, una del prete e l’altra del capobastone del Partito Socialista del suo Paese. Senza false convinzioni, come quella di cambiare il mondo e l’Italia, il ragazzo cercherà in ogni modo di far fruttare quei due pezzi di carta, ma con scarso successo. Mutatis mutandis, se ci pensate, al netto dei cambiamenti antropologici, la situazione sua e della povera ragazza che fa la passeggiatrice, non è molto diversa da quella di tanti giovani oggigiorno. Certo, allora, non c’era escort advisor, sito di incontri mercenari a cui molte si appoggiano per vendersi, non avendo migliori opzioni nella disoccupazione dilagante, ma la raccomandazione resta sempre in auge, solo che magari non avviene più a mezzo di una missiva consegnata a mano.

Dante Arfelli racconta la sua generazione illusa dalla fine della dittatura, che si risveglia entro una democrazia marcia, tra assenza di impiego, malcostume dilagante e nessuna certezza sul futuro. Quanti scrivono romanzi simili, oggi, sulle nuove leve di superflui? Quasi nessuno, eppure la cogenza del reale esiste e si fa sentire. Mi piace ricordare in tal senso un solo caso letterario affine, Giuseppe Culicchia, con Tutti giù per terra, il primo a dare forma letteraria alla figura del precario. Io – scusate, non sono riuscito a sfuggire all’autoreferenzialità – provai a fare qualcosa del genere raccontando la vita di un ragazzo scoraggiato, categoria sociologica emersa pochi anni fa, con il mio Storia Minima. Chissà, magari, tra ottant’anni, qualcuno mi riscoprirà.

Ironia a parte, leggetevi Arfelli, appena ristampato dalla neonata e coraggiosa casa editrice RFB – Reader For Blind. Scoprirete un amico, uno che vive una condizione molto simile alla vostra, la storia di un uomo che ci sperava ma non ce l’ha fatta in un’Italia che aveva già deciso come sarebbero andate le cose.

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Dispassione di Maria Laura Rosati (Liberilibri) – Candidata al Campiello 2021

Ogni tanto una buona notizia. Ogni tanto un buon libro di una eccellente casa editrice, la Liberilibri, che vive nella nicchia con l’orgoglio di un fortino sulla sommità della collina. Ogni tanto un buon libro privo di spintarelle che viene candidato al prestigioso premio – ve lo anticipo fin da subito: come successo a Veronica Tomassini, per lo Strega, con Mazzarrona, capita anche che ti facciano finire tra i venti finalisti, ma solo per sbatterti fuori dalle palle con più gusto.

Stabilito che una candidatura è già un lusso, ma la vittoria te la scordi, non si può non segnalare il pregevole romanzo di Maria Laura Rosati, Dispassione. Già il titolo ha del lodevole: quantomeno, viene la curiosità di capire che accidenti voglia dire quella parola. Per saperlo, a ogni modo, “la dispassione è l’allontanamento estremo da tutto e da tutti, dal mondo, dai sentimenti, dalle passioni terrene, è l’indifferenza dovuta alla consapevolezza che il tempo non esiste, la realtà è un illusione, un enigma infinito e irrisolvibile”. Non bisogna confonderla, però, con la depressione “perché chi è depresso è comunque sempre, almeno in parte, legato a ciò che lo circonda”. Anzi, il suo contrario è la passione: “tutti i depressi sono solo apparentemente distaccati, in realtà hanno dentro un fuoco che li divora, una fiamma che non riescono a spegnere”.

Maria Laura Rosati, Dispassione, Liberilibri

Non fatevi confondere da queste poche righe, però. Non si tratta di un saggio di psicologia. Il romanzo è semplicemente la storia di Fiamma (“Mi chiamo Fiamma, e sono cattiva”), o meglio un percorso arzigogolato e non privo di colpi di scena entro le circonvoluzioni mentali di una donna decisamente borderline, sociopatica, instabile e chi più ne ha più ne metta. Purtroppo, è praticamente impossibile restituire la trama del testo, senza fare spoileraggio, e non già per la sua complessità ma perché l’opera ribalta tutta la prospettiva e si chiarisce davvero unicamente nel finale.  

Certamente un romanzo da leggere, se si è interessati alle narrazioni psicologiche – per fortuna non troppo americaneggianti, nella fattispecie. Assolutamente, a ogni modo, è bene chiarire che non si tratta di un testo politicamente scorretto, come erroneamente si potrebbe pensare leggendo la prima metà. La protagonista non è esattamente una che parla fuori dai denti, casomai rimesta il suo disagio senza tante remore, divenendo quasi simpatica agli occhi del lettore. Per il resto, si tratta di una storia di redenzione e catarsi, di lotta contro il trauma, non certo di un’indagine sulla mostruosità. Certo, l’attenta analisi e ricostruzione condotta intorno alla figura di Fiamma può far riflettere su come, molte volte, la scontrosità altrui sia frutto di problemi del tutto inimmaginabili e la semplice indignazione una soluzione troppo comoda.

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Sì, Dispassione è un buon romanzo, forse non un capolavoro, ma è scritto da una persona che sa scrivere. Peccato per il finale che sa eccessivamente di happy ending, ma è comprensibile che pochi autori vogliano sobbarcarsi il peso di far finire le loro storie come sovente capita in quelle vissute, cioè male. La Rosati ha comunque la stoffa e sarebbe interessante vederla alle prese con un personaggio stile Alex in Arancia Meccanica di Burgess. Così, almeno, il Campiello sarebbe certa di non vincerlo mai.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Da ottobre, è nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

Un commento su “CONSIGLI DI LETTURA – IL CAMPIELLO OGGI E IERI: DANTE ARFELLI E MARIA LAURA ROSATI (di Matteo Fais)

  1. Per inquadrare lo stato della letteratura italiana (e del suo indotto) continuo a ricordare che il maggior successo editoriale italiano degli ultimi 50 anni (a prescindere dai suoi meriti artistici – ammettiamolo: se uno fa arte il suo destino è la nicchia, non ultimo il motivo che l’arte sveglia le coscienze ed è un rischio troppo grande per i padroni degli editori) è stato distribuito nella sua prima edizione via fotocopie…

    Lo stesso Culicchia, eccellente all’esordio, appena rifoderato con il contratto giusto ha smesso di “avere cose da dire”…

    Credo che i tempi siano maturi per un buon romanzo italiano di successo pubblicato e riverito all’estero (come già capitò, in ambito musical-poetico, per il compianto Gianmaria Testa).

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