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LA MAGIA DEI GIAPPONESI, MAI ESPLICITA COME QUELLA DEGLI OCCIDENTALI: KAWAKAMI HIROMI E IL SUO “LA VOCE DELL’ACQUA (di Clara Carluccio)

C’è un’immensa distanza fisica che ci separa dal Giappone, un divario percepibile anche nello stile di scrittura. Noi, abituati a risucchiare grandi quantità di parole ed emozioni esplicite, ci troviamo sempre spiazzati dalla velata discrezione che riveste i racconti di un autore nipponico.

Esiste la gioia, come la tristezza o l’ossessione, ma spoglie della morbosità di cui è impregnata la scrittura occidentale. La loro storia non è mai come una donna sfrontata che si staglia violentemente nuda davanti a noi, ma un mezzo profilo sinuoso rivestito di una fine seta che in parte rivela e in parte nasconde. 

Così si può dire anche per La voce dell’acqua (Einaudi) di Kawakami Hiromi, storia di una donna, Miyako, che insieme al fratello, Ryō, poco più giovane, torna a vivere nella casa natale dopo la morte della madre, ripercorrendo le tappe della sua vita: da bambina, da trentacinquenne e da cinquantenne. 

Kawakami Hiromi, La voce dell’acqua, Einaudi.

Tutto il libro si snoda sull’alternanza di due figure, quella del fratello è quella della madre. Quest’ultima, donna bizzarra, dal temperamento insolito e importanti segreti.

Come tutti i nipponici, la Hiromi va seguita attentamente in quanto, le rivelazioni emergono poco alla volta, ci vengono incontro con passi leggeri e silenziosi. È un po’ come assistere alla trasposizione letteraria dei loro antichi rituali, curati nei minimi particolari, eleganti e gentili, che graziano il lettore di una presenza delicata e al contempo intima. Con la forza di un linguaggio semplice permette che qualunque lettore si immedesimi nella situazione descritta lasciando, al contempo, spazio per la propria immaginazione senza tediare di dettagli: “Una breve risata che si spense subito. Abbassammo gli occhi nello stesso momento, come per un’intesa segreta”.

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La protagonista manifesta un attaccamento verso il fratello, che descrive senza remore pur evitando una facile maniacalitá: “Avevo sempre badato a Ryō, sempre, da quando aveva cominciato la scuola […] non tornava piú a casa con me, ma io continuavo a sentire la sua presenza. Anche se non c’era”. Nasce un rapporto di innocente rivalità con la madre nel contendersi le attenzioni del più piccolo: “Pensare che ero io a tenere tra le braccia Ryō, prima che lei arrivasse. E adesso era lei che teneva me, che regressione!”. Ma i suoi pensieri assumono anche contorni ambigui ai nostri occhi e, dopo anni di lontananza, nel riavere di nuovo accanto suo fratello, confessa a se stessa di sentir riaccendere in sé vecchie emozioni: “Io che un tempo l’avevo tanto cercato, adesso che è accanto a me, non mi turba piú, non penso piú al suo corpo […] e quando pronuncio mentalmente il suo nome, il sentimento ardente che provavo un tempo lentamente si riaccende”. Fino al paragone che si crea nella sua mente tra l’uomo con cui ha avuto una relazione e Ryō: “Fare l’amore con quell’uomo era molto diverso dal farlo con Ryō. Anche se non saprei dire in che senso”. La scrittrice tesse un’originale consequenzialità tra l’amore fraterno e quello intimo, tra un uomo e una donna senza legami di sangue ma che si fondono carnalmente.

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Dopo aver ripreso dimora nella vecchia casa, la protagonista inizia a rivedere in sogno la defunta madre per la quale provava un misto di fascino e fastidio, i cui segreti e scelte di vita hanno adornato la famiglia di un’aura ambigua e misteriosa: “Le vecchie storie che raccontava Mami spesso erano confuse. Forse a lei piaceva raccontarle cosí, oppure aveva delle remore a ricordare i fatti esattamente come si erano svolti.” Solo in un sogno, Miyako, riuscirà a fare a sua madre la domanda che ha tenuto nascosto per tutta la vita. Un racconto che potrebbe assomigliare alla storia di molti di noi, senza i colpi di scena hollywoodiani, ma non privo di una profondità esistenziale che i giapponesi sanno esprimere in modo superiore.

Come nell’Ikebana, la pratica giapponese di disporre i fiori seguendo uno specifico simbolismo, Miyako mette insieme, un pezzo alla volta, tutti gli elementi che hanno avuto importanza nella sua vita, raggiungendo l’equilibrio e la pace che, ognuno di noi, desidera. 

Clara Carluccio

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