Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

UN LIBRO CHE È LA MORTE DELLA SESSUALITÀ CONTURBANTE (di Matteo Fais)

Un libro dal titolo così didascalico e, al contempo, imperativo e moraleggiante come Non ridere della vita sessuale degli altri (Rizzoli), di Nao-Cola Yamazaki, va preso in parola evitando di sghignazzare sulle capriole tra le lezuola e i moti dell’animo altrui – per quanto da ridacchiare ci sia, come insegna Lord Chesterfield, che ci ricorda come la posizione sia ridicola, il piacere passeggero e la fatica tanta.

Detto ciò, resta quantomeno la necessità di sorridere del romanzo. Peccato, una storia così interessante, come quella tra una professoressa d’arte quarantenne e il suo allievo diciannovenne, un qualcosa di ancora – non si capisce perché, dato il successo delle MILF – così inesplorato, cade nella banalità di una trama da romanzo young-adult qualsiasi.

Il libro di conturbante insignificanza di Nao-Cola Yamazaki, Non ridere della vita sessuale degli altri, Rizzoli.

Yuri e Isogai sono i due protagonisti senza qualità in questo Lolita rovesciato a cui manca tutto. Lo stile è basso e privo di slanci, le riflessioni risultano patetiche nella loro falsa profondità (“Mentre mi incamminavo, guardai in su. L’azzurro che si intravedeva tra gli alberi aveva qualcosa di strano, come se l’ampia volta del cielo e quel pezzetto delimitato dai rami fossero due realtà completamente diverse. Nel momento in cui viene incorniciato, il paesaggio si trasforma in un’entità separata. A pensarci, cominciai a perdere il mio stesso senso di identità. Dove comincia e dove finisce la mia persona? Sono io fino al confine tra la pelle e l’aria? E i capelli, allora? E le unghie, sono parte di me? Pensai al declino inevitabile del corpo. Finché sono delimitato in uno spazio e in un tempo determinato, io sono io”).

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Ma, più di tutto, in questo rapporto, che si consuma con la leggerezza di una relazione adolescenziale, manca la mania, lo vergogna, il disgusto che si mescola all’attrazione. Si vuole trasformare la bellezza dello scandalo e dell’indecenza in qualcosa di assolutamente normale e accettabile. Che diavolo vuol dire un passo come “Yuri è una donna con ciglia molto graziose. Anche le pieghe che ha all’angolo degli occhi sono adorabili. Ha vent’anni più di me, quindi ovviamente ha un po’ di rughe. Le increspature che si formano quando sorride sono la cosa più carina di tutte. Quando le accarezzavo, sentivo la sua felicità sotto la punta delle dita”? Dov’è il conturbante? Isogai si dovrebbe eccitare e schifare, al contempo, all’idea di trovare seducente ciò che è vecchio e marcescente, dovrebbe aspirare a decomporsi e imputridire in quell’utero consumato dall’esistenza.

Invece, niente! Tutto risulta rispettabile e per niente morboso, come i primi amori. Persino lei, una donna matura e già sposata, parla come un’inesperta ragazzetta che neppure ha mai fatto una sega al parco: “«Professoressa, certo che cammina veramente veloce!» «Senti…» «Sì?» «Tu mi piaci. Te ne eri accorto?» «Oh… ecco… forse sì.» «Ti ho osservato in classe. Hai un bel viso. Mi piace la linea delle tue spalle, e la forma dei tuoi gomiti. E la punta delle tue dita.» «Eh? La punta delle dita?» «E poi hai un’aria molto particolare.» «Davvero?» «Mirume Isogai… è un bel nome.» «Me lo dicono spesso.» «Vorrei conoscerti meglio, parlare ancora con te»”.

Ogni sublime dialettica malsana del servo-padrone è assente, diversamente che dal romanzo di quel malfattore di Nabokov. Già, questa è l’epoca della normalità diffusa e incontestabile – o del potere che tende alla normalizzazione, come avrebbe detto Foucault. Il piacere della sconcezza è ormai negato. Si scopa alla pari, come si dividono le incombenze domestiche. Il protagonista maschile chiede tutto, in spirito di massima trasparenza e civiltà, nell’ottica straniante del consenso contrattuale: “Possiamo farlo da dietro?”, “Me lo succhi?”. Mai che la sorprenda inculandola, sbattendoglielo in faccia, cercando di prevaricarla, di annientare il potere conferitole dall’età e così si muove anche lei. Ogni guerra è morta, il conflitto ridotto a un “mi chiamerà o non mi chiamerà”. Infatti, il sesso, in questo racconto, ha la forza lirica di un atto d’ufficio compilato da un impiegato massimamente diligente.

Persino l’analisi della differenza generazionale ha l’insignificanza di una rubrica di psicologia su una rivista femminile: “Forse è perché la sua generazione è cresciuta in una società molto più stabile e sicura della mia. Sono viziati. Io, quando penso alla mia vita, non mi domando se riesco a esprimere appieno la mia interiorità, non mi interrogo sul mio senso di autorealizzazione: penso alla sopravvivenza. Sono convinto che, se fossi in una vera situazione di emergenza, troverei la forza di lottare per restare vivo. Yuri non so. Secondo me non saprebbe come uscirne. In un momento del genere penso che tra i due sarei io quello con la testa sulle spalle. Sarei in grado di proteggerla?”.

L’indagine sui sessi è ridotta a calcolo ragionieristico, una specie di prospettiva secondo cui ciò che conta è “cercare di minimizzare le perdite”: “Non mi fido delle donne. Quando ero al liceo avevo la ragazza, ma lei usciva anche con un altro, e alla fine ha scelto lui e mi ha mollato. Ovviamente non pretendo di sapere tutto sull’amore sulla base di quest’unica esperienza, ma mi ha fatto rendere conto di quanto sia facile restare ferito se non stai attento. Le donne sono inaffidabili. Cambiano continuamente idea. Dicono cose che non pensano. Quando mi innamoro di una donna, anche se stiamo insieme, non mi fido di lei. Non abbasso mai la guardia. Mi lascio andare fino a un certo punto, ma ho bisogno di restare forte e indipendente: così, se all’improvviso dovessi restare solo, starei bene lo stesso”. Ma amore è sperimentare la disperazione, trastullare il clitoride del sordido, giocarsi il cuore ai dadi, sbattersi la testa al muro, cuocere l’anima sulla brace dell’ossessione, fottersi il futuro tra le coscie di una stronza.

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No, proprio non ci siamo con questo romanzetto troppo corretto per dire l’oltraggio del desiderio, in particolare quello per una donna più grande e prossima alla menopausa – la gioia mortale della sterilità. Qui, non per niente, si dice che “Il tramonto era così bello da togliere il fiato. Come una fettina di sashimi di tonno così sottile da essere quasi trasparente”. 

La letteratura giapponese è altro, è La casa delle belle addormentate di Kawabata, la follia di Mishima e il molesto di tanti altri contemporanei che hanno ancora il coraggio di non essere più europei degli europei oramai così fiacchi nei sentimenti. Per portare a casa merda, non c’era bisogno di recarsi fino al Paese del Sol Levante.

Matteo Fais

Canale Telegram di Matteo Fais: https://t.me/matteofais

Chat WhatsApp di Matteo Fais: +393453199734

L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

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