Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

LARS VON TRIER, PER FAVORE, NON CI LASCIARE

Come “Il Detonatore”, dato il nostro selvaggio gusto per il politicamente corretto, a livello cinematografico, non potevamo che avere come unico riferimento il sommo Lars von Trier. Per questo, appresa la notizia che il Maestro è stato colpito dal Parkinson, abbiamo deciso di pubblicare immediatamente il coccodrillo, come viene chiamato l’articolo commemorativo redatto di solito quando il soggetto è ancora in vita. Tantopiù che nessuno sa chi sarà, in ultimo, a tirare le cuoia per primo.

Perciò, ognuno di noi ha scelto un’opera per lui particolarmente significativa di von Trier, riportando le riflessioni che questa gli ha suscitato. Speriamo solo che Lars voglia perdonarci.

SIAMO TUTTI NINFOMANI (di Matteo Fais)

In una società in cui l’amore è stato istituzionalizzato, ridotto a prassi sociale, responsabilità borghese, passaggio fondamentale di integrazione, cosa resta se non il fare di tutto per distruggerlo? Essere contro l’amore, portarlo alle sue estreme conseguenze: dalla pulsione di vita a quella di morte (“L’amore distorce le cose […] L’erotismo è dire sì. L’amore fa appello a istinti più bassi, avvolti nelle bugie”).

Oggi, tutti sono contro il sentimento supremo, come il personaggio di Nymphomaniac, del film di Lars von Trier, anche chi non lo sa. Questi ultimi lo sono per conformismo, non certo perché disgustati, come la protagonista, da una società che ha nascosto la natura entropica della sessualità sotto la rasserenante trama di un tappeto di sentimentalismo, in cui il matrimonio imprigiona la spinta oscura incanalandola nella copula legalmente riconosciuta, lecita e accettata.

Purtroppo, la liberazione, oramai, non ha più senso, una volta che anche il liberarsi è divenuto atto ammesso, addirittura incentivato, funzionale al mercato.

Joe, la protagonista, scopre la sua “fica” a due anni, proprio perché il “vaso di Pandora” è il non detto, il taciuto, il territorio proibito. Che sollievo essere “una brutta persona” in un mondo in cui tutti ti chiedono solo di fare da brava per venire accolta nel loro club.

C’è, infatti, un grande candore nel suo racconto di perdizione, il gusto per un’ironia che smaschera l’apparenza vuota del buon costume. Il suo unico peccato, come dice lei stessa, è di aver “sempre chiesto di più al tramonto. I più spettacolari colori, quando il sole incontra l’orizzonte”. 

Cosa le si può imputare, infine? Al tramonto dell’Occidente, quando già non si poteva domandare di più dalla fine, dopo aver squarciato il velo di Maya, lei ha preteso almeno il piacere, fino ad arrivare a comprendere nella sua stessa carne l’insensibilità a cui questo conduce – “non sento più niente”, grida alla fine della prima parte del film -, rovesciandosi infine nel suo opposto, la ricerca del dolore e della distruzione, il masochismo della seconda sezione (“In pratica, stiamo tutti aspettando il permesso di morire”).

Nessuno come von Trier ha saputo fotografare gli ultimi tragici guizzi di vita del nostro mondo, l’estrema parabola discendente, a mezzo di un’indagine sul piacere e la sua definitiva dipartita. C’è un po’ di noi in ogni sequenza di quel film. Siamo lì che ci divertiamo a scopare sconosciuti su un treno prossimo al deragliamento. Come siamo noi a raccontarlo a un prete laico solo falsamente asessuato, fastidiosamente e inutilmente colto, frastornante come uno psicologo, il quale a sua volta sogna solo di fotterci.

Matteo Fais 

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

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LA DONNA, IL CAOS E L’INAFFERABILITÀ DELLA DIMENSIONE IRRAZIONALE (di Clara Carluccio)


La donna è un’entità complessa, come si è sempre detto, tra l’angelico e il demoniaco. Non a caso, la figura della strega ha sempre avuto un’attrattiva particolare sul genere femminile.  Innumerevoli i film, i remake e le serie TV di successo. Manuali di magia wicca, nera, bianca o addirittura sessuale. Decine, su Facebook, i gruppi di donne che si scambiano nozioni sulla lettura delle carte, dei fondi di caffè, oppure, su come sciogliere i matrimoni altrui o legare a sé un uomo. Non si tratta di un inquisizione, ma di un riconoscimento di innegabili intenzionalità. Una fascinazione per il soprannaturale e un desiderio di potenza su quanto sfugge al controllo e al volere

Come nella stregoneria si manipolano gli elementi per vantaggi personali – rischiando la ribellione degli stessi -, anche nella mente umana, se si gioca con essa, può scatenarsi un imprevedibile sovvertimento. Scavare troppo nel dolore e nei pensieri può risvegliare impulsi bestiali fino a quel momento trattenuti. 

Forse, la donna, ricorre alla natura perché le è più simile: materna, rigogliosa, ospitale ma, altresì, furiosa e oscura. La stessa protagonista di Antichrist sta scrivendo una tesi sul Malleus Maleficarum – lo storico trattato sulla persecuzione delle streghe – rimanendone pericolosamente legata anche dopo la morte del suo bambino, scivolato dalla finestra mentre lei faceva sesso con il marito. Da qui, ha inizio il decadimento a più livelli.

La depressione è un maleficio che la nostra stessa mente ci infligge, perseguitandoci con pensieri perversi: “ho ucciso mio figlio?”, “ho anteposto il mio piacere alle mie responsabilità?”, “sono io, l’anticristo?”. 

Nell’esondazione di paranoie e tormenti l’unico contenimento può venire dalla ragione, incarnata, nel film, dalla figura del marito che, inizialmente, sembra riuscire a liberare la compagna dalle proprie pene. Ma, affinché funzioni, deve scendere a patti con l’oscurità della natura, con la mente umana femminile. Cosa che, invero, lui non fa completamente. Infatti, si verifica lo stesso meccanismo di negazione dell’ignoto che la protagonista attua verso la ragione. 

Quando si gioca sul suolo opposto bisogna accettarne le regole. Anche la più salvifica razionalità deve comprendere il linguaggio della pazzia. Altrimenti, l’attrito fra le polarità frantuma i confini e “il caos regna”. 

Spesso, se qualcosa ci tormenta, non è sufficiente dire che non esiste. Il senso di superiorità che la donna sente nel giocare con la magia è lo stesso dell’uomo che vuole curarne le turbe psichiche senza averle prima comprese. Entrambi credono di poterlo fare e poi, di fronte al caos, soccombono.

Clara Carluccio 

I VIDEO MUSICALI DELL’ICONOCLASTA (di Alex Vön Punk)


Un’auto lanciata in una strada che corre da New York a San Francisco, un aereo in volo e una band che suona nell’aria. Queste scene tratte da due video girati da Lars von Trier per i brani Bakerman (1989) e Highway to Love (1990) dei Laid Back, band elettropop danese come il regista.

Da queste immagini ciò che si percepisce è il dualismo tra la libertà e la sfida. L’auto corre ma prima  termina il carburante, seguentemente buca una gomma. La  band è nel cielo ma vibrano gli strumenti mentre precipita verso terra, in un susseguirsi di situazioni paradossali.

Si potrebbe quasi affermare che in entrambi i clip vi sia il genio creativo che vive in Lars, la sua sregolatezza e la sua libertà, quella scintilla che lo ha sempre posto al di sopra di schemi pre-impostati, di risposte banali e scontate.

In Bet it on you (Laid Back 1990) troviamo persone intente a battere dei record precedenti, incanalando lo spirito occidentale dell’auto-miglioramento, il riuscire ad andare oltre i limiti fissati dagli altri, talvolta dalla società stessa che prova a fissare e a imporre.

Il rifiuto di  nascondersi dietro scuse, all’ombra della paura di un possibile fallimento o ancor peggio del giudizio altrui, provare e fregarsene. Ma, d’altronde, è lo stesso regista a fregarsene e a sbeffeggiare anarchicamente la morale comune e l’ordine pre-costituito, attraverso un realismo di rottura che frantuma lo status quo.

Le riprese di Highway to Love sono ridotte all’osso, al minimo, in controtendenza agli anni ’90 in si cui si era imposto uno stile patinato. Le riprese del video in questione sembrano potenzialmente fatte da un amatore e non da un regista, ogni frame pare quasi casuale, non voluto, ma armonizzato da von Trier.

Sono passati quarant’anni da questi clip sconosciuti ai più, specialmente in Italia. Potranno sembrare niente, eppure, in pochi minuti, catturano quanto basta del maestro. Il genio era già lì.

Alex Vön Punk

Emailvonpunk@tutanota.com

Telegram: @VonPunk


L’AUTORE

Alex Vön Punk viene costruito a Pisa negli anni ‘80. Bandito, cantante e scrittore di canzoni punk nella band pisana Enkymosis fino al 2009. Autodidatta d’assalto tra un lavoro precario e l’altro, grafico freelanceagitatore politico e provocatore di tendenze anarchiche, anti-autoritarie e federaliste, membro del Centro Studi Liibertario “Società Aperta” che si occupa di libertarismo, diritti civili e della promozione del reddito di base universale.

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COME ANDREMO INCONTRO ALLA FINE? (di Davide Cavaliere)


Rivedere Melancholia, il capolavoro lirico e perturbante di Lars von Trier, dopo la pandemia e in pieno conflitto russo-ucraino (con annessa crisi economica), permette di ragionare più attentamente sulle nostre sensazioni davanti a eventi più o meno catastrofici.

Di fronte all’imminente annientamento, rappresentato nel film da un pianeta che precipita verso la Terra, Justine, depressa e imprevedibile, sembra improvvisamente ritrovare la pace interiore. In una scena inquietante e poetica, si sdraia nuda su una roccia mentre, con viso sereno, assorbe i sinistri raggi di luce blu-verdi del pianeta fatale; al contrario, sua sorella Claire, donna tranquilla e funzionale, diventa inetta e disperata.

Coloro che, quotidianamente, bevono il fiele dell’impotenza e della costernazione, quando il mondo comincia ad andare a rotoli, rispondendo ai loro più neri timori, riescono a trovare una tranquillità a lungo agognata. Si sentono, finalmente, adeguati. Invece, quanti credono nella solidità della vita, si rivelano incapaci di affrontare i drammi.

Nelle ultime scene, mentre tutto si appresta a morire, il mal di vivere di Justine ci appare giustificato, non più folle e irritante. Ella si stava preparando per la fine. Il film c’induce a porci la più spaventosa delle domande: con quale passo ci avvicineremo alla fine?

Davide Cavaliere

L’AUTORE 

DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.

 

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