Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

BRUNO BRUNINI, “LENTO RITORNO”: UNA MEDITAZIONE POETICA SUL PASSATO E IL RICORDO (di Matteo Fais)

“Tra un pomeriggio di marzo/ e la fine del ricordo,/ non consola l’ordine dei viali,/ il merlo che canta dalle foglie,/ un’eco senza origine/ che il dolore rende perfetto” (Bruno Brunini, Lento ritorno, La vita felice).

Sapete chi è a sostenere che in un secolo nascono massimo 3 gradi poeti? Di solito si tratta di persone che hanno letto – o leggeranno – 3 poeti in cent’anni di vita, quelli scovati nelle antologie scolastiche. L’unico motivo per cui una simile affermazione così radicale fa breccia presso il grande pubblico è perché solleva l’ignorante medio, nella sua inerzia, dall’andarsi a cercare le voci di valore. È un po’ come dire che l’amore non esiste: allora, tanto vale murarsi vivi e chiuderla lì.

Naturalmente, di autori che abbiano qualcosa da dire ne esistono. Sono pochi – specie in Italia – e semi sconosciuti. Per scovarli bisogna stare sempre attenti alle nuove uscite, in parte sperare in qualche imprevedibile incontro frutto della sorte. Non esiste un metodo per arrivarci, a ogni modo. Ma, quando capita, li si riconosce subito.

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Bastano poche pagine per capire se si è al cospetto di un vero poeta. Egli è onesto, non parla poetichese, non si nasconde dietro ermetismi e narcisimi vari, non ha paura delle emozioni, la sua scrittura suona consapevole ma non imposta – più che pensare a promuoversi su Facebook e altri social media, vive attendendo il verso successivo.

Uno che certamente corrisponde a questa descrizione è Bruno Brunini, napoletano naturalizzato bolognese, che già aveva dato mirabile prova della propria abilità in versi con Enclave, nel 2017, e che, nel 2021, è tornato in libreria con Lento ritorno (La vita felice) – manco a dirlo, essersene resi conto con tanto ritardo non può che essere motivo di autocritica, ma per fortuna la poesia ci redime sempre grazie alla sua tendenza a non invecchiare.

Delicatissima meditazione sul ricordo quest’ultima fatica di Brunini. Meriterebbe, come esergo, le parole di Cardarelli in Passato: “I ricordi, queste ombre troppo lunghe/ del nostro breve corpo,/ questo strascico di morte/ che noi lasciamo vivendo”. Con la differenza che la memoria con cui fa i conti l’autore di Lento ritorno non ha quei tratti così lugubri e pesanti – a suo merito va anche il fatto di non forzare il tono tragico verso il parossismo.

Ciò che il testo sembra dire è che la memoria di cui siamo fatti è costante dialogo tra l’esistere, l’esserci e il passato: “Noi adesso parliamo/ per ricordare/ giorni capiti dopo”. Vivere, insomma, è riviversi, ritrovarsi, non solo cedere all’attimo, ma anche lasciarsi invadere e aprirsi a quel che è stato: “La vita che era qui/ rivive/ nello spazio sconfinato/ della polvere,/ scivola tra i vestiti, nella pelle./ Ciò che rimane/ è un quaderno/ che intorno da suono,/ principio della discesa/ per troppi nomi/ che recano notizie,/ finiti nella cesta in basso,/ pronta/ per essere chiusa”.

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Dunque, il tempo cos’è realmente? Ha ragione Sant’Agostino nel dirsi smarrito di fronte a questa entità così poco lineare la quale, ogni volta che sembra inchiodarci al qui e ora, oscilla altrettanto facilmente tra proiezioni a ritroso e improvvisi risvegli nell’immediato: “e il tempo si ferma/ confonde i ricordi./ Non più noi/ c’è un silenzio magico/ che parla,/ l’azzurro aperto/ dissolto nell’infanzia/ per date, nomi,/ fino allo stridere/ di questa finestra”.

Ma questo scorrere è anche un intreccio di cose presenti e andate, di rimandi tra diversi piani dell’Essere mai totalmente certi, di fantasmagorie che si impongono e si negano con analoga rapidità: “Un corpo è venuto a piedi/ da uno squarcio della notte,/ sei tu che cammini/ coperta di polvere?/ Sei tu nella goccia/ di un lavandino?/ Non ti vedo, so che ci sei./ Ti parlerò,/ basteranno le parole/ che ho taciuto,/ righe saltate/ che fanno riparlare del destino./ Tutto diventa cenere/ appena lo tocchi con la mano”.

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A tale gioco di visione e presenza non si sottrae ovviamente neppure l’amore che ha l’assurda caratteristica di non scomparire mai fino in fondo, di inseguirci e continuare sempre a essere nella latenza (“Non sarò mai così lontano/ da vederti sparire”; “Mi sono immerso/ nel fondo del mare/ per vedere se tu c’eri,/ veloce ragazza/ limpida e libera,/ primordiale coincidenza/ di astri e boschi,/ superstiti di lontane frane/ abbiamo imparato/ a camminare insieme,/ in bilico tra l’onda/ e un vento di levante,/ dove andavamo?/ dove nasceva l’alba?”).

Leggere questo testo è appunto accettare di affrontare la sospensione in cui “esistere è guardarsi/ nell’andare via”, correre verso un futuro sapendo che “Sorridono ancora le facce/ che scompaiono/ se ti volti a guardarle”. Brunini ha saputo farlo senza mai cedere allo scoramento cardelliano di chi si lascia andare e decide di annegare nel tempo.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).

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