FRANK STANFORD, UNA POESIA A SUD DI NESSUN NORD (di Matteo Fais)
“Adesso la luna era una moneta da cinquanta centesimi/ Era un ventre che volevo aprire con un taglio” (Frank Stanford, Acqua segreta, Internopoesia).
“Che grande peso essere Qualcuno!” dice il famoso verso di Emily Dickinson, una poetessa che con l’ombra e nell’ombra ha vissuto e difeso sé stessa dal mondo. In un immaginario dialogo ideale, la potremmo figurare rivolgersi a un suo fratello di rima dicendogli appunto “Sei Nessuno anche tu?/ Allora siamo in due!/ Non dirlo! Potrebbero spargere la voce!”.
Sicuramente, se una simile fantasia si realizzasse, il suo interlocutore perfetto sarebbe Frank Stanford. Certo, non si possono immaginare due poeti più diversi e non solo perché la prima è nata a Nord e il secondo al Sud dei giganteschi US. Entrambi hanno faticato a emergere, dopo la morte, ma sempre cercando di mantenere quasi una sorta di riservatezza rispetto alla propria vita, rendendola sfuggente, inafferrabile, come in quella nota pagina di diario di Paul Klee che recita “nel mondo terreno non mi si può afferrare poiché io abito bene sia tra i morti che tra i non nati. Più vicino del consueto al cuore della creazione eppure, ancora non vicino abbastanza”.
L’esistenza di Stanford è così divenuta, come quella della Dickinson, materia di speculazione, ricostruzione al limite del romanzesco. La sua bellezza, le donne, le bevute, la vocazione alla poesia e la sua torrenziale produzione, praticamente incredibile per uno che ha abitato la terra appena 29 anni, prima di piantarsi tre colpi al torace e farla finita, dopo essere stato scoperto dalla moglie nelle sue tresche. Ma su ciò meglio non approfondire. In lingua inglese, chi sia interessato troverà tutto il necessario su internet.
Il problema, quando ci sono di mezzo esistenze così interessanti e fascinosamente nevrotiche, è che i cadaveri si fanno squisiti, si finisce per parlare più di queste che dell’opera in sé dell’autore. Tanto più che la lirica di Stanford, come giustamente sottolinea Luca Dipierro, curatore del volume Acqua segreta (Internopoesia), è “nonostante gli innumerevoli -ismi ed -eschi che possiamo trovare (surrealismo, simbolismo, realismo magico, grottesco, picaresco, carnevalesco)” priva di “un registro o genere specifico che definisca”.
È proprio il caso di dirlo, in questi versi l’apparenza inganna. Epidermicamente sembrano molto semplici, minimali, verrebbe da dire prosastici. In realtà, a fronte di un linguaggio fin troppo comprensibile nelle parole usate, in tale lirica tutto tende a rappresentazioni la cui esegesi è tutt’altro che immediata: “Jimmy correva lungo la strada/ Con un coltello in bocca/ Era nudo/ E la luna/ Era un uomo morto che galleggiava nel fiume”. Come si può vedere, proprio quando tutto sembra servito sul piatto con chiarezza chirurgica, il senso si sparpaglia come un mazzo di carte sfuggito di mano.
Le immagini sono forti, violente, a tratti morbose, con un retrogusto da scena del delitto (“Avrei voluto fare a botte/ Avrei voluto essere in chiesa a farmi aria col ventaglio/ Ma c’era un cuore sul ventaglio/ Attraversato da un coltello a serramanico”). Palesemente, lo dovrete approcciare con la predisposizione di cuore di chi non cerca una soluzione univoca e inequivocabile. Anche osservati lungamente e in controluce, certi componimenti possono lasciare attoniti e storditi (“Quando la pioggia gli cade in testa,/ il serpente chiude gli occhi e sogna/ di dormire dentro un pneumatico al margine della strada,/ per farsi rotolare dai ragazzini, per sempre”). Volendo fare gli eretici, qui ci si potrebbero trovare echi che rimanderanno successivamente alle visioni di Jim Morrison, come a certe descrizioni di Cormac McCarthy.
Sicuramente ci sono elementi che ricorrono lungo tutta l’opera: i coltelli, la luna, le libellule, la vita del Sud e i suoi personaggi ai margini della vita. Ma il tema che si ripresenta con maggiore frequenza è la morte, eterna presenza alla base delle cose e delle persone, sostrato oscuro dell’esistenza (“La morte aveva un odore/ Come se avesse in testa brillantina Wildroot/ Da bambino dormivo/ In una stanza buia/ Mi piaceva dormire/ Non avevo vermi il segreto dei sonnambuli”; “In inverno la Morte monta gomme da neve al suo furgone,/ Fa dei lunghi giri di notte./ La Morte paga il salario migliore,/ Sa tenersi in contatto sulla ricetrasmittente,/ Ha comprato tutte le Leggi”). Nella luce del trapasso, è facile immaginare che sia stata per lui una dura e difficile convivente.
Non resta che leggere Acqua segreta, questo bel volume che contiene una accurata selezione dei testi e non trascura di mettere sempre, in parallelo alla versione italiana, l’originale americana. Per gli amanti della poesia, Frank Stanford è certamente un autore con cui fare i conti, un Rimbaud del Secondo Novecento con la polvere della pianura americana sugli stivali, non per niente apprezzato da tanti del suo tempo, fino a scalfire il cuore della cultura popolare, per esempio nella dichiarata passione che egli ha suscitato in un artista come Tom Waits. Provatelo, come si affronta un viaggio senza avere una meta. Del resto “Prima o poi siamo tutti discesi/ a un fiume o un altro/ e abbiamo parlato con coloro che non parlano spesso/ gli raccontiamo dei fumi neri dei nostri sogni”.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).