Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

IL VANNACCI DI TURNO E GLI INFLUENCER DI DESTRA (di Melania Acerbi)

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In un paese in cui la cultura viene sistematicamente brutalizzata dalla stessa parte di popolo che sostiene di battersi in sua difesa, la sola resistenza di cui si avverte il bisogno non è quella dei Vannacci di turno, ma una di tipo intellettuale che sia raffinata, seria e di qualità. 

All’imbarbarimento culturale promosso da falsi intellettuali con più followers che neuroni va opposta la civiltà, ai preconcetti ideologici che incatenano la ragione è necessario rispondere con ferma razionalità di giudizio. Fanatismi d’ogni colore e formalismi farisei sono i capisaldi della nuova non-cultura patrocinata dai seviziatori della lingua e della storia, della ragione e della libertà

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Se la libertà d’espressione non può in alcun modo essere messa in discussione, è la capacità di distinguere ciò che ha un valore da ciò che, invece, non ne ha nessuno a fare la differenza. Ma, a quanto pare, in Italia uno vale uno, cioè zero vale uno e uno vale zero. Ciò accade perché il concetto di libertà, in questo caso d’opinione, viene continuamente infettato da una distorta interpretazione del concetto di uguaglianza. Per fare un esempio, alle farneticazioni dell’influencer carismatico, ma semianalfabeta, sulle cause che hanno portato allo scoppio della prima guerra mondiale viene data la stessa autorevolezza di quelle di un serio studioso della materia, se non di più. 

L’uguale libertà di esprimersi si muta così, in un primo momento e seguendo un processo di degenerazione, nell’uguale peso dato a ogni opinione. Tale processo, che riguarda libertà e autorevolezza, d’altronde, non finisce qui. A questo quadro, oltre all’ideologia – che, in ultimo, è il vero ago della bilancia -, va aggiunta, infatti, quella diffidenza tipicamente italiana verso i cosiddetti “studiati”, eguagliata solo dalla diffidenza che gli stessi nutrono verso il ceto benestante. 

Alla base di tali ostilità giace un unico ragionamento: così come non si può essere benestanti se non si è, al contempo, individui immorali e senza scrupoli, non si può nemmeno essere intellettuali senza nascondere loschi interessi, senza esser scesi a patti con un potere o essersi venduti a esso. La figura dell’intellettuale diventa, dunque, immorale nella misura in cui, nell’immaginario comune, egli mette le sue parole e il suo cervello, consapevolmente o ingenuamente, al servizio di un potere che rimane, il più delle volte, senza nome e senza volto (che è lo stesso potere al quale il benestante deve la sua ricchezza). 

La prova contraria, di solito, è data da una gradita appartenenza ideologica manifestata dall’intellettuale di turno o candidato tale (il successo di Vannacci, in questo senso, parla da sé), così come dal benestante. Un atteggiamento di questo tipo porta non solo a togliere dignità alla serietà dello studio, ma a dar credito a ciò che con lo studio, inteso seriamente, non ha nulla a che vedere. Da qui, il successo di innumerevoli parolieri da strapazzo che, nel migliore dei casi, non fanno che aggiungere banalità al mercato delle banalità (ancora, il caso Vannacci è esemplare). 

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Ecco perché, adesso più che mai, un nuovo Umanesimo in grado di restituire dignità e decoro alla cultura sarebbe salvifico come lo è la medicina per l’ammalato. Invero, l’italiano medio, quando li cerca, va a caccia di prodotti culturali di qualità bassa o tendente al basso, che esprimono l’appartenenza dell’autore a un’ideologia in linea con la propria, che non raccontino nulla di nuovo e che confermino il già saputo, il già detto, il già pensato e, addirittura, il già digerito. Cosa aspettarsi, d’altronde, dai tifosi della Scienza o da quelli della Natura e della Normalità, se scienza, natura e normalità, con tanto di maiuscola iniziale, non sono che costruzioni ideologiche? 

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Giusto dubitare e giusto il senso critico, soprattutto nei confronti dei sedicenti esperti, ma solo se esercitati con ragionevolezza ed equilibrio, altrimenti, il rischio è quello di scadere, ancora una volta, nel “dubbio di parte”, o pregiudizio ideologico che dir si voglia, che finisce per vincolare quella libertà che getta le basi per un autentico esercizio del dubbio e del senso critico, ovvero liberi da ogni convincimento aprioristico o visione immutabile delle cose. 

Ben sa l’uomo libero, infatti, che la sua libertà è, anzitutto, libertà di pensiero e nel pensiero, e che l’Egitto da rifuggire è quello che rende l’individuo, prima che d’altri, schiavo di sé stesso. 

Melania Acerbi

L’AUTRICE

Melania Acerbi è nata a Pistoia, il primo di settembre del 1993. Storica dell’età moderna, laureata a Firenze. I suoi studi si concentrano sull’impatto del Nuovo mondo su quello Vecchio, sulla storia della cultura, delle idee e dei viaggi per mare. Fonda nel 2017, insieme a Piero Manetti e al professor Igor Melani, il Seminario Permanente di Storia Moderna che si tiene ogni anno al Polo di Storia dell’Università degli studi di Firenze (e in diretta streaming). 

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