Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

GIOCONDA BELLI: UNA POESIA DI METAFISICA CARNALITÀ, DALLA SENSUALITÀ TRAVOLGENTE (di Matteo Fais)

Bisogna conservare la calma. Il suo femminismo estremo, spinto, provocatorio e strafottente suona certo insopportabile a qualunque uomo che sia passato attraverso questa epoca #metoo di rivendicazioni sciocche, accuse folli, presunte molestie a ogni sguardo velato di erotismo – quale sguardo non lo è?! (“Cantiamo all’estrogeno/ non vincano le lacrime/ né la stanchezza!/ Abbiamo già piantato l’ancora/ sul territorio negato./ Dalle grotte quiete/ della domesticità e del silenzio/ emergiamo con la sfida e la disobbedienza sulla bocca/ cantando e urlando/ distruggiamo muri e vetri./ Le sirene hanno ricuperato le gambe”). Eppure, c’è in questa poetessa una forza seduttiva al femminile innegabile, travolgente.

Struggente e conturbante questo Il pesce rosso che ci nuota nel petto, di Gioconda Belli, pubblicato da Molesini Editore Venezia, editore squisitamente poetico dunque votato all’impossibilità attuale della lirica, invenduta, senza circolazione, né commercio – a loro va l’ammirazione che si riserva ai martiri e ai santi, romantici flagellanti di un tempo devoto unicamente a un bieco materialismo.

Gioconda Belli, Il pesce rosso che ci nuota nel petto, Molesini Editore Venezia.

Coraggiosa scelta questa di portare un poetessa nicaraguense di origine italiana nuovamente nelle terra da cui suo nonno emigrò – oltre che una grazia per i lettori. Il testo si apre come una ferita che sgorga sangue e sensualità (“Mi tenta l’amore con le sue spine/ i suoi graffi ostinati”). Non può lasciare indifferenti. È perturbante. Fa dell’amore una metafisica della carne (“Ieri notte/ nel letto di noi due/ senza dirti niente/ ho saputo trovare l’eternità della tua schiena/ misurare la distanza della tua vicinanza/ sapere che ti tratterrò con la tenacia dei miei denti”).

Se il femminismo c’è, non disturba, non raffredda i sentimenti, non si muta in odio per la virilità, in sciocca e sterile rivendicazione di indipendenza (“Appena una notte non condivisa/ e il lago della stanza diventa oceano./ […]Incredibile dire questo./ Io, una donna indipendente/ navigante di molte solitudini./ Incredibile la desolazione/ di una sola notte di assenza./ Il peso del tuo corpo […]/ il tuo corpo ha l’intensità di tutto il cielo”).

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Gioconda Belli, donna dal volto di splendida e suadente imperfezione, – si percepisce – scrive dando sfogo a un’amazzone che le scalpita in cuore: “Da qualche parte della mia immaginazione/ sono una donna bella,/ una pantera, una leonessa,/ mi sciolgo i capelli/ e saltano dai rami gli uccelli impauriti/ apro il mio petto/ cammino per boschi folti/ e i cavalli e le iene/ si allontanano al mio passaggio./ Sono una maga/ metto tronchi a bruciare/ e le loro resine aromatiche/ fanno sorgere fantasmi;/ mi circondano i sogni/ le antiche streghe/ e il mio potere è indicibile/ e immenso”.

Eppure, la poetessa non è solo tenzone e ardimento, furia e difesa. Sa raccontare l’abbandono e il bisogno (“Abitante millenaria/ della precarietà dei sogni/ desidero l’angolo della tua spalla/ piangere sulla tua schiena/ attraccare la mia barca sul dorso del tuo braccio/ penisola della mia speranza./ Ho bisogno di credere a mattine possibili/ il riparo imperfetto delle lenzuola/ ha bisogno del calore del tuo corpo”).

Quanta vitalità in queste liriche, squarcia il cuore del lettore, si sente addosso come la vicinanza di un’amante nel letto (“Il mio ballo ha la sua propria tempesta./ […] Ma la cintura non vuole conoscere limiti e freni/ e la sensazione della mia vagina come tunnel penetrato di mondo/ mi gonfia il ventre./ La vita che non voglio abbandonare mai/ mi spinge come bambina al gioco/ al rischio di accidentati sentieri”).

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E tanta è anche la dolcezza, la consapevolezza dell’amore come salvezza che significa slancio senza paura verso l’altro, apertura al rischio e alla gioia (“Abbiamo guadagnato il diritto all’oasi./ Proclamato i nostri discorsi d’amore/ in innumerevoli piazze anonime,/ conosciuto l’oro l’incenso e la mirra/ che si scorge nelle rovine sotto il mare./ Perché ho imparato la magia di penetrare nei tuoi sogni”).

Ecco, questa è poesia! Non Giorgia Soleri che brontola per la sua vulvodinia e pubblica versi di imbarazzante infantilismo. La lirica è qui! Perché non basta recitare la parte della femminista e ostentare i peli sotto le ascelle per essere poetessa. Poi ci vuole il sangue e lo strazio, lo sgomento del proprio esistere, la capacità di invocare l’amore con parole di folle canto. Gioconda Belli splende nel firmamento.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

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