Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

CI VORREBBE NUOVAMENTE LA VECCHIA LEGA NORD (di Alex Vön Punk)

“Lo Stato non è un complesso di individui, di cittadini, ma bensì un complesso di organismi sociali minori i quali a loro volta raggruppano gli individui. Ed ogni organismo sociale minore non è un organo dello Stato, ma un organismo a sé stante, vivente di vita propria, esprimente un proprio diritto, avente diritto al rispetto della propria personalità come vi ha diritto la persona singola, l’uomo, il cittadino. Quando questo concetto di giusto equilibrio fra le funzioni degli organismi sociali minori e dell’organismo che ha nome Stato, fosse penetrato nelle coscienze e sanzionato dalle leggi, questo concetto che diremo di larga tolleranza, sarebbero risolti i velenosi conflitti di frontiere fra i diversi diversi Stati ed avrebbero semplice soluzione i problemi delle minoranze etniche. Cadrebbero come un non senso, gli irredentismi e l’Europa, pur nella molteplicità delle lingue e delle storie dei suoi popoli, riacquisterebbe quella unità spirituale che è sicura premessa per l’unità politica” (Emile Channoux, Federalismo e Autonomie, Guerini e Associati, 2014). 

“La Lega vuole garantire la democrazia. Quando si arriverà al federalismo, nasceranno due poli, uno moderato e l’altro di sinistra. Nel momento stesso in cui si arriverà al federalismo, la Lega si scioglierà, io sarò proiettato fuori dalla politica. Si rompe la placenta e questi due gemelli eterozigoti, i due poli che sono garanti della democrazia, se ne vanno. A quel punto la struttura non può schierarsi né da una parte né dall’altra…In un certo senso abbiamo programmato la nostra morte” (Umberto Bossi, “La Repubblica”, 23 luglio 1993).

C’è un terremoto che scuote le fondamenta il Nord, dal Veneto alla Lombardia, è il sisma prodotto dalle fallimentari scelte politiche del segretario della Lega, Matteo Salvini. A scuotere il partito, Gianni Fava, sfidante di Salvini al congresso che vide il Capitano vincere.

C’è molta carne al fuoco, tra le idee quella di cercare riportare in vita la Lega Nord o quella di creare un nuovo contenitore politico che risollevi i temi cardine della macchina bossiana: autonomismo, localismo, autogoverno dei territori, opposizione al centralismo, meno invadenza dello Stato, rispetto e tutela delle tradizioni civiche locali, in pratica ciò che aveva reso grande la Lega Nord, ponendola come il vero partito post-ideologico e outsider rispetto all’establishment romano.

Nel mercato delle idee politiche ci sono posizioni vuote e posizioni occupate che rappresentano le istanze di una parte di popolazione. Per fare un esempio, il Movimento 5 Stelle in questa tornata elettorale ha sicuramente rappresentato le istanze dei lavoratori e delle classi meno abbienti, portando avanti il salario minimo e il Reddito di cittadinanza.

Al contrario, il Capitano ha provato a portare la sua Lega su posizioni nazionaliste e centraliste, creando un doppelganger di Fratelli d’Italia, ma soprattutto – e questo è il grave errore – il nuovo corso leghista ha creduto che la spinta emotiva, che è di per sé volatile, potesse sostituire i motivi strutturali che portarono alla nascita della Lega, cause che sono ancora vive e presenti in Italia.

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La Lega nasce sulla frattura della differenziazione di  sviluppo strutturale fra Nord e Sud, che è la frattura più profonda e più duratura nella storia del nostro Paese. Si tratta di un solco profondo che a livello politico e istituzionale nessuna iniziativa è mai riuscita a ridurre, nemmeno le politiche di assimilazione e “italianizzazione” autoritaria e forzata messe in campo dal regime fascista.

Ogni governo e ogni forza politica ha sempre guardato da una prospettiva sudista questa slegatura. Bossi e la sua Lega furono i primi nella storia repubblicana a cambiare angolo visuale, sottolineando che bisognasse anche fare i conti con il Nord. Il che significa, in estrema sintesi, confrontarsi con la costante italiana, del Nord trattato come di una vacca da mungere, in virtù  del fatto i due terzi del PIL sono prodotti da Piemonte, Lombardia e Veneto, a scendere con un Centro-Nord che si difende bene e un Sud a rimorchio – che non vuol dire negare il valore della solidarietà tra i popoli, ma rivendicare una realtà oggettiva che viene troppo spesso negata o sottaciuta.

Lo spazio politico, dunque, per l’affermazione di un partito territoriale c’è ancora perché ancora persistono gli elementi che ne decretarono la nascita e non solo. Nell’era moderna della globalizzazione, la dimensione statuatuale otto-novecentesca è stata completamente svuotata dal potere sovranazionale, pensiamo all’Unione Europea, dalla finanza internazionale e dai mercati, l’individuo diviene sempre meno parte attiva dei processi decisionali, sempre più lontani e sfocati, rendendolo passivo. Questo processo mette in forte crisi non solo gli Stati nazionali ma la democrazia stessa. Il cittadino che trova il suo centro nel territorialismo, nel municipio controllabile, vicino, delineato, familiare, è un cittadino che si riappropria del suo spazio vitale naturale. Riconnettendosi al suo territorio si ricollega anche alle istituzioni locali che lo amministrano donando nuova linfa alla democrazia, è il paradigma glocal.

L’autonomismo e il federalismo sono ormai interiorizzati dai leghisti della vecchia scuola, tanto da rimanere confusi e frastornati dal nuovo corso – il che li ha portati probabilmente verso l’astensionismo.

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Ernesto Galli della Loggia, in un articolo apparso sul “Corriere della Sera” anni fa, sosteneva che “Chi oggi inizia a far politica in Italia non ha più alcun riferimento storico-ideologico forte, non può ricollegarsi ad alcun valore; in senso proprio non sa più a nome di quale Paese parla, anche perché ben raramente ne conosce la storia e perfino la lingua; l’Italia che gli viene in mente può essere al massimo massimo quella del Made in Italy. Per una ragione o per l’altra, poi, tutto l’orizzonte simbolico ma anche pratico sul cui sfondo è nata e vissuta la Repubblica gli si presenta in pezzi. La politica, i partiti, l’antifascismo, l’intervento pubblico, il Welfare, la mobilità sociale, il lavoro hanno perduto qualunque capacità mobilitante, non rappresentano più quelle rassicuranti (e plausibili) linee d’azione che rappresentavano un tempo: andrebbero ripensate da cima a fondo ma nessuno lo fa”. 

Nemmeno le politiche autoritarie del Governo Draghi sono state sufficienti per riportare i cittadini al voto. Solamente un’idea evocativa, post-ideologica ma non anti-ideologica, che metta di nuovo al centro il cittadino, il municipio e la democrazia, e che mediante questi generi un nuovo e profondo mutamento sociale, può smuovere dal torpore il singolo e portarlo nuovamente a incidere sul proprio destino che coincide con quello della propria Terra.

Alex Vön Punk

Email: vonpunk@tutanota.com

Telegram: @VonPunk

L’AUTORE

Alex Vön Punk viene costruito a Pisa negli anni ‘80. Bandito, cantante e scrittore di canzoni punk nella band pisana Enkymosis fino al 2009. Autodidatta d’assalto tra un lavoro precario e l’altro, grafico freelance, agitatore politico e provocatore di tendenze anarchiche, anti-autoritarie e federaliste, membro del Centro Studi Libertario “Società Aperta” che si occupa di libertarismo, diritti civili e della promozione del Reddito di Base Universale.

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