Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

Il NOBEL PER LA LETTERATURA? MEGLIO UNA SBRONZA (di Marco Pianti)

Michel Houellebecq sarà nel tredicesimo arrondissement, nel suo Monoprix preferito, ad ascoltare la radio del supermarket, mentre fa la fila, con una bottiglia di vino rosso e degli stuzzichini, in attesa di tornare nel suo appartamento, stappare la bottiglia e fissare una parete. E bestemmierà, perché gli ebrei, i magrebini e i cinesi, ma soprattutto i cinesi, fanno chiasso, puzzano, e ci mettono un’éternité a pagare e imbustare la loro merda. 

Don Delillo si troverà a New York, anacoreta urbano, con un cappello da baseball e una smorfia da rettile mesozoico. Sylvain Tesson camminerà sui tetti di Paris, come un gatto, nell’attesa di una nuova caduta che lo spacchi definitivamente. Milan Kundera, ammesso che sia ancora vivo, brinderà appoggiato al bancone del Bistrot, in qualche buco di culo del Nord della Francia, con operai e funzionari postali.

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Non prendiamoci per i fondelli, per chi ama leggere e insudiciare taccuini o riempire le note dell’iPhone, questi sono gli apostoli del caos, la Madonna, San Paolo, i pifferai incantevoli, i maestri sopravvissuti. Mentre i bookmakers, le groupies della letteratura, una fauna copiosa di scribacchini e altri mostri si arrovellano il gulliver per capire chi vincerà Il Premio, chi dovrebbe vincere Il Premio, chi non merita Il Premio. Questi insetti rarissimi continueranno le loro esistenze, spesso di una banalità blasfema, sconcertante, e se ne fotteranno del chiasso, del mercato, delle polemiche e di tutto ciò che gravita intorno al Premio.

Altri Scrittori Di Professione, magari freschi di martirio, invece, passeranno la serata in palpitante attesa. Siederanno sul lussuoso divano del lussuoso appartamento, in attesa che squilli il telefono. Attenderanno che un centralino annunci una chiamata da Stoccolma, come un adolescente attende una chiamata da una stronza che probabilmente ha di meglio da fare. Quella sera, e la sera successiva, e così via.  Anche a casa nostra, in Italia, si verificheranno disordini. Interi reparti dedicati agli scrittori mediocri si riempiranno di fegati spappolati e maleodoranti. In ognuno di questi si troverà un lettino apposito riservato ad Alessandro Baricco.

Il percorso dello scrittore sembra prestabilito. Inizia nella sua stanzetta, come nei versi di Majakovskij, “rannicchiato come un paio di occhiali nell’astuccio”. A quel punto ci sarebbe ancora modo di dissuaderlo, di salvarlo dalla dannazione, ma lo scrittore è ambizioso, si informa, impara i saluti ufficiali, le formule solenni, si procura l’uniforme, guarda con ammirazione la foto di Borges incorniciata sul comodino e pensa “anche io sarò così, il tedio si dipingerà sul mio volto, come testimonianza del mio ingegno, accavallerò le gambe e mi sistemerò la giacca con un gesto misurato, raffinato, incontestabile”. A quel punto, sarebbe ancora un outsider, un reietto, che presto incontrerà una biforcazione letale: inseguire il modello oppure appiccare un incendio. Julien Sorel o Peter Kien. Il segreto è tutto qui: scongiurare la tentazione di diventare un animale da teca, o peggio ancora, un burocrate della letteratura. Bisogna rifiutare l’ambiente ossequioso, le cerimonie regali, è dovere di ogni autore preservare quello slancio iniziale che non è mai positivo né negativo. È mortifero, potenzialmente letale. E di questo ha bisogno la letteratura, non di ulteriori incoronazioni.

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Nel 2006, a Cleveland, si svolge la serata di gala in cui vengono presentati i nuovi membri della Rock And Roll Hall Of Fame, l’equivalente del Nobel, per le Rockstar. A quel giro toccò ai Sex Pistols. John Lydon e gli altri membri del gruppo decisero di disertare. Sul podio salì un damerino, incaricato di leggere un foglietto di carta imbrattato con strani geroglifici. Era la scrittura di Lydon. Recitava: “Non siamo le vostre scimmie” e poi, in conclusione un “We’re not coming” che rimbombò come un tuono. A questo punto viene da chiedersi se tale disobbedienza, questa negazione consapevole, sia relegabile a una specie di infanzia permanente. Un infantilismo destinato a non durare. Viene da chiedersi se il letterato borioso, incravattato e vanitoso non sia la naturale evoluzione del preadolescente invasato di letteratura, rintanato nella sua cameretta, a tradurre il caos – spesso senza successo.

Perché è così difficile distogliere lo sguardo? Farsi una birra e leggere Roberto Arlt, mentre una giuria di dinosauri in alta uniforme annuncia Lo Scrittore che ha vinto Il Premio? È uno spettacolo imbarazzante. Quando arriverà il tempo per una letteratura delle fogne, che se ne infischia del Modello, del gesto elegante, del discorso eloquente? Arriverà mai il momento per i teppisti della letteratura? In attesa che si spengano le luci, ripetiamo insieme, prima di salutarci, il padrenostro dei bastardi: “Creeremo la nostra letteratura, non conversando continuamente di letteratura, ma scrivendo in orgogliosa solitudine libri che avranno la violenza di un gancio alla mandibola. Sì, un libro dopo l’altro e che gli eunuchi sbuffino pure”. Andate in pace.

Marco Pianti

Per contattare l’autore: marco_pianti@yahoo.com

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