Il Detonatore

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REPRESSIONE SESSUALE E REGIMI COMUNISTI – VIAGGIO NELLE SOCIETÀ DEL CONTROLLO  (di Alex Vön Punk)

“I bambini saranno tolti alle madri all’atto della nascita, così come si tolgono le uova a una gallina. L’istinto sessuale verrà sradicato. La procreazione sarà una formalità annuale, come il rinnovo di una tessera per il razionamento. Aboliremo l’orgasmo. I nostri neurologi ci stanno già lavorando. Non ci sarà forma alcuna di lealtà, a eccezione della lealtà verso il Partito. Non ci sarà forma alcuna di amore, a eccezione dell’amore per il Grande Fratello”. 

“Il loro amplesso era stato una battaglia, l’orgasmo una vittoria. Era un colpo inferto al Partito. Era un atto politico”.

George Orwell, 1984, Mondadori.

“Ci sono certamente delle persone che si godono questo tipo di rapporti, immaginavo benissimo il genere; io non ne facevo semplicemente parte. Inoltre le più erano rumene, bielorusse, ucraine, insomma di uno di quei paesi assurdi nati dall’implosione del blocco orientale; e non si può dire che il comunismo abbia sviluppato in modo particolare la sentimentalità nei rapporti umani; è piuttosto la brutalità, in complesso, a predominare negli ex comunisti – in confronto, la società balzachiana, nata dalla decomposizione della monarchia, sembra un miracolo di carità e di dolcezza”.

Michel Houellebecq, Le possibilità di un’isola, Bompiani.

Fin dalla sua nascita, lo Stato, fatte salve rare eccezioni, si è mosso per controllare, dirigere e indirizzare le masse, cercando di sopprimere l’autonomia individuale e il libero sviluppo dell’essere umano. Ma nessuna entità statale è mai riuscita a spingere la brutale macchina organizzativa ai livelli raggiunti dal comunismo.

Questa compiuta forma di totalitarismo, nella sua applicazione pratica, ha cercato di disciplinare ogni aspetto della vita umana, a partire dall’economia fino ad arrivare – come nelle peggiori distopie – alle relazioni umane e al sesso.

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La loro forma di repressione i regimi comunisti la ereditano dalla morale cristiana. In Storia della sessualità, del 1976, Foucault discute infatti di un’idea normata della sessualità dovuta alla spiritualità cristiana e introiettata nella mentalità della società ottocentesca e borghese. I regimi in questione – veri continuatori della peggiore moralità del periodo – si collocano nel solco della negazione e del disconoscimento della sessualità, che è, invece, parte co-esistenziale dell’essere umano. Come ha scritto Wilhelm Reich, in La rivoluzione sessuale del 1936, “Nella società autoritaria il conflitto tra una morale imposta a tutta la società da una minoranza interessata a conservare il potere, da un lato, e i bisogni sessuali degli individui dall’altro, porta a una crisi insolubile nell’ordinamento sociale vigente. Nella storia dell’umanità, tuttavia, questo conflitto non ha mai avuto conseguenze così stupide e crudeli come negli ultimi trent’anni”.

I regimi rossi esercitano un potere pervasivo che allo stesso tempo è disciplinare ed istituzionale, ovvero un potere diffuso che si irradia attraverso le sue molteplici istituzioni: la famiglia (intesa non come libero amore e libera cooperazione, ma quale struttura rigidamente normata dallo Stato), la psichiatria, l’accesso alla sanità e alla casa, lo sviluppo demografico.

La questione della gestione statale di quest’ultimo è ben visibile in Cina, dove Deng Xiaoping, nel 1979, pensò bene di applicare i principi della pianificazione economica alla famiglia. Alle coppie urbane venne imposta la tristemente famosa politica del figlio unico. L’esito più folle di questa assurda misura biopolitica è stato uno squilibrio di genere nelle nascite: la popolazione maschile è diventata molto più numerosa di quella femminile. La Cina ha il rapporto tra i sessi più distorto al mondo (https://m.statisticstimes.com/demographics/country/china-sex-ratio.php). 

Con la freddezza che contraddistingue i regimi marxisti, il governo di Pechino ha costretto le famiglie a scegliere, non tenendo però conto della struttura fortemente patriarcale che ha indotto queste a preferire i figli maschi. Ciò ha portato persino a infanticidi spontanei e aborti selettivi di figlie femmine, da parte di una popolazione maschilista (https://www.gendercide.org/case_infanticide.html). 

Sempre il Governo Cinese, nel suo diabolico progetto, ha messo in campo procedimenti ancor più barbari perché, se da un lato i comunisti fanno finta di esaltare il valore della donna, nella realtà per loro ogni essere umano è solo un pezzo di carne nelle mani dello Stato. Ed è per questo che le Uigure vengono sterilizzate o costrette ad aborti forzati, con il fine di controllare e di reprimere le nascite di questa minoranza etnica di religione musulmana (https://www.cosmopolitan.com/it/lifecoach/amp35307071/sterilizzazione-donne-uigure-cina-genocidio/). Provate solo a immaginare per un attimo il terrore ed il dolore di una madre prelevata con la forza da agenti governativi e costretta, contro la sua volontà, ad abortire. Scene a cui, fortunatamente, nel tanto vituperato Occidente, non abbiamo il dispiacere di assistere.

Se la Cina è un esempio della follia comunista, per quanto concerne il controllo delle nascite, la Corea del Nord lo è nella repressione della sessualità, nel feroce inquadramento del matrimonio e dei rapporti sociali. Basti pensare che, secondo gli articoli 193 e 194  del Codice Penale (https://www.hrnk.org/uploads/pdfs/The%20Criminal%20Law%20of%20the%20Democratic%20Republic%20of%20Korea_2009_%20(1).pdf), sono previsti svariati anni di lavori forzati per aver importato, visto o diffuso materiale pornografico (tra gli atti considerati “decadenti” figurano anche l’ascoltare musica, guardare foto, ballare ecc., ovvero tutte le attività che possono lasciare libero l’essere umano di esprimere il suo erotismo e la sua sessualità). Ed è in base a questi articoli che sono stati processati 13 studenti dell’Università Kim il Sung colpevoli di aver diffuso copie fisiche di un film a luci rosse (https://www.rfa.org/english/news/korea/nk-porn-ring-open-trial-12132019140733.html). Si tenga presente che in Corea del Nord non è possibile fruire dello streaming porno, essendo l’accesso alla rete non libero, ma controllato dal Governo.

Nel 2020, il governo di Pyongyang è arrivato ad affermare che l’immoralità si sta diffondendo tra i giovani e che chi compie atti impuri – ovvero tutto ciò che riguarda l’esplorazione della sessualità pre-matrimoniale – è da considerarsi un traditore della causa socialista. Ovviamente, sappiamo che l’aumento dei rapporti tra ragazzi è frutto degli ormoni ma, per le autorità nordcoreane, sarebbe cagionato dalle “decadenti influenze capitaliste” (https://www.rfa.org/english/news/korea/teens-05282020200255.htm).

Persino le scappatelle sono oggetto della repressione governativa. Nell’articolo 270 del codice penale sta scritto che una notte di libero amore con una donna sposata, insoddisfatta della sua vita coniugale, ci aprirebbe le porte dorate dei lavori forzati. Di divorziare liberamente, poi, non se ne parla. Questa orribile pratica liberale non è vista di buon occhio e viene considerata “anti-socialista”. I tribunali non concedono divorzi a meno che non ci sia una motivazione valida – cosa rientri tra le motivazioni giudicate tali, neanche a precisarlo, è lo Stato a deciderlo (sia ben chiaro, non è intenzione di chi scrive difendere la normativa vigente in Italia, palesemente sbilanciata a tutela del genere femminile, tuttavia bisogna anche tenere bene a mente che, per fortuna, non viviamo in una dittatura comunista, ma in democrazia, e che le leggi, se ci fosse la volontà, potrebbero essere modificate). 

E come dimenticare gli articoli 261 e 262, con cui si puniscono rispettivamente la prostituzione e gli atti osceni – chissà, poi, quali atti sono considerati tali! Immaginate, dunque, la facilità con cui, rimanendo sul vago, come avviene nel Codice, si potrebbe accusare un eventuale oppositore politico.

L’amore ed i rapporti di coppia nei paesi comunisti vengono  completamente depauperati e l’unione tra due persone è vista solo in funzione del fine riproduttivo. Tutto ciò è ben confermato dalla persecuzione di cui sono stati oggetto gli omosessuali sotto tali dittature. Pensiamo, per esempio, al regime cubano, e alle parole di  Castro: “Non abbiamo mai creduto che un omosessuale possa personificare le condizioni e i requisiti di comportamento che ci permettano di considerarlo un vero rivoluzionario. Una deviazione di questa natura cozza col concetto che abbiamo di quello che deve essere un militante comunista”. Il barbuto e testosteronico dittatore considerava le persone omosessuali come agenti dell’imperialismo e un elemento anti-comunista. Questo portò molti di loro a essere internati nei campi UMAP (Unità Militari di Aiuto alla Produzione). 

Non molto differente era la situazione in Unione Sovietica, dove l’omosessualità veniva considerata “un’attività controrivoluzionaria” e punita con 5 anni di internamento nei gulag (“Giustizia sovietica”, 1936, n. 7). Ci rammenta il giornalista Jaroslav Mogutin: “Il destino dell’omosessuale nelle prigioni e nei lager sovietici non ha precedenti per tragicità e crudeltà. E non solo perché il numero degli omosessuali perseguitati era enorme, ma anche perché la violenza sugli omosessuali era un fenomeno tipico di ogni lager e di ogni carcere sovietico senza eccezioni. Nella categoria degli ‘infamati’ (concetto, esistente solo nella realtà e nel lessico sovietico) rientrava una quantità colossale di persone, che fino a quel momento non avevano mostrato tendenze omosessuali”.

Non avevano miglior sorte le ragazze sovietiche che decidevano di sposarsi con una persona di altra nazionalità. Nell’URSS, avere una relazione con un ragazzo occidentale poteva procurare un bel po’ di problemi con gli “apparati di sicurezza” (https://it.rbth.com/storia/87257-cosa-rischiavano-i-cittadini-sovietici/amp). Come riporta il giornalista Georgy Manaev: “durante la guerra furono registrati 35 matrimoni tra donne russe e uomini inglesi. Venti mogli riuscirono ad andare all’estero con i loro mariti, mentre 15 furono trattenute alla frontiera: la guerra era finita e gli organi di sicurezza sovietici si opponevano strenuamente a che i cittadini sovietici andassero in Gran Bretagna. Anche se solo per seguire i loro mariti”. 

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La legislazione sovietica intraprese una via reazionaria anche sul versante dell’aborto: dal 1936, venne abolita l’interruzione di gravidanza, salvo pericolo per la salute della donna. (https://it.rbth.com/storia/85851-la-storia-dellaborto-in-russia/amp). Tale restrizione veniva giustificata con il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori (T. Napolitano, La famiglia sovietica. L’istituto della famiglia nella storia e nel diritto dell’Urss, Edizioni della Bussola, Roma 1946). 

È abbastanza difficile immaginare cosa significhi vivere con la paura che anche il semplice desiderio sessuale, come quello di poter amare chi si vuole, possa aprire i cancelli di un campo di concentramento o, come nel caso cinese, sapere che il governo ci potrebbe costringere a interrompere una gravidanza. Eppure, ieri come oggi, questa è l’esistenza a cui sono costretti milioni di cittadini prigionieri dei regimi comunisti.

Alex Vön Punk

Emailvonpunk@tutanota.com

Telegram: @VonPunk


L’AUTORE

Alex Vön Punk viene costruito a Pisa negli anni ‘80. Bandito, cantante e scrittore di canzoni punk nella band pisana Enkymosis fino al 2009. Autodidatta d’assalto tra un lavoro precario e l’altro, grafico freelanceagitatore politico e provocatore di tendenze anarchiche, anti-autoritarie e federaliste, membro del Centro Studi Liibertario “Società Aperta” che si occupa di libertarismo, diritti civili e della promozione del reddito di base universale.

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