Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

IL COMANDANTE ERNESTO “CHE” GUEVARA, UN BORGHESE OMOFOBO E SANGUINARIO (di Davide Cavaliere)

Cinquantatre anni fa, l’agente della CIA Félix Rodríguez eliminava Ernesto Guevara, il santo laico della revolución cubana, l’indefesso matador di maricones e contadini straccioni

Passato alla storia come icona rivoluzionaria generosa e umile, Ernesto era un borghese insoddisfatto, un narcisista tronfio e sanguinario, convinto di avere una missione nei confronti dell’umanità in nome del socialismo. 

Non l’amore per i diseredati, ma l’avversione alla noia era il carburante della sua frenesia rivoluzionaria. Il suo vero nemico non era il capitalismo, bensì la vita tediosa e convenzionale del medico. “È stato tutto un gran divertimento, con le bombe, i discorsi, e le altre distrazioni che hanno rotto la monotonia nella quale vivevo“. Così scriveva alla madre, dopo aver rovesciato il governo di Fulgencio Batista. 

Guevara non era un medico dalle mani pietose né un giovane idealista sconvolto dalla povertà del pueblo, ma un talebano comunista, uno spietato esecutore delle inesorabili leggi del materialismo dialettico. La Storia ordina, il “Che” esegue senza la minima pietà o tentennamento

Ernesto Guevara divideva il mondo in due categorie: gli amici e i coadiutori della rivoluzione marxista e i suoi oppositori, ovvero il Male da lavare via col sangue. Il tertium non datur è precipuo della mentalità manichea del purificatore, il quale non può ammettere differenze, dubbi, zone d’ombra. La sua intossicazione ideologica era massima e incurabile

Marx fece l’elogio della violenza maieutica; Lenin, in Come organizzare l’emulazione, scriveva con lucida e sadica febbre rivoluzionaria che bisognava “ripulire il suolo della Russia di qualsiasi insetto nocivo, delle pulci: i furfanti, delle cimici: i ricchi” e così via. Il medico argentino fu il più brillante alunno della dura pedagogia bolscevica e a Cuba gestì una versione caraibica del sistema concentrazionario sovietico

Castro lo mise a capo de La Cabaña, una fortezza dell’Avana edificata nel diciottesimo secolo. Lì il “Che” presiedette un comitato di salute pubblica dal nome eloquente: la Comisión Depuradora. Ernesto depura, eccome se depura, sanifica l’umanità del presente in vista del rosso paradiso socialista. 

La Cabaña funziona a pieno regime, si giudica e si condanna dall’alba al tramonto. La causa ha bisogno di sangue oppure avvizzisce. Ai condannati, in scherno, veniva anche offerto, dopo la condanna, un secondo grado di giudizio. Si trattava di una corte d’appello inutile, solo formale, il tribunale della Storia presieduto da Che Guevara non conosceva ripensamenti. Tutti finirono nel tritacarne: contadini, piccoli proprietari e omosessuali. 

Ernesto odiava i “froci”, i “maricones”, perché erano afflitti dal fastidioso vizio borghese, erano dei decadenti, espressioni di una civiltà al tramonto. Come un piumato sacerdote azteco, faceva rotolare giù dalla piramide del “Progresso” tutti coloro che intralciavano le aurore rosso sangue della società senza classi. 

Non si può praticare il genocidio di classe senza odiare il nemico, lo disse nel suo Messaggio alla Tricontinentale del 1967: “L’odio come elemento della lotta, l’odio inflessibile per il nemico, che spinge l’essere umano oltre i suoi limiti naturali, trasformandolo in una effettiva, violenta e selettiva macchina per uccidere a sangue freddo“. È curioso che sia il nume tutelare di coloro che, oggi, fanne campagne contro il “linguaggio d’odio”. 

Nella fiaba romantica del rivoluzionario umanista, non c’è nemmeno spazio per la vicenda dello Guanahacabibes, il primo campo di lavoro coatto eretto alla fine degli anni Sessanta nella parte occidentale di Cuba. Dove venivano inviati a espiare con il lavoro forzato coloro che peccarono contro “la morale rivoluzionaria”. Fra un omicidio e l’altro, Ernesto si occupò anche dell’economia cubana, con risultati disastrosi. Fu Castro in persona a licenziarlo dal suo ruolo. 

Se Marx è stato il Lucifero del Proletariato e Lenin il funesto demiurgo dell’ideologia comunista, Guevara fu solo un piccolo e sadico diavoletto della rivoluzione.

Davide Cavaliere

L’AUTORE

 DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais, del giornale online “Il Detonatore”. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *