Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

GLI SCRITTORI CHE PARLANO DELLA PANDEMIA – UNO SPETTACOLO PIETOSO (di Matteo Fais)

Ne abbiamo sentiti a decine. Il “Corriere” e “Repubblica”, in tal senso, si sprecano. Gli scrittori che parlano del covid! È una formula classica, roba dei bei tempi andati: arriva il narratore, il letterato, l’intellettuale e ti illumina. Dice una frase ed è la rivelazione. Purtroppo, di questi tempi, se parla lo scrittore, 9,9 volte su 10, si palesa unicamente per il povero frescone che è.

Abbiamo letto, tra gli strenui sostenitori del vaccino, Emanuele Trevi, ospite fisso del “Corriere”. Le sue banalità pro-vax sono a livello di quelle della verduraia, del tipo “Io credo nella scienza e mi faccio il segno della Croce di fronte a ogni Hub”. Certo, da Pasolini a lui, il giornale di Via Solferino non ha fatto una bella fine.

C’è stato, poi, Francesco Piccolo – nomen omen – che, su “Repubblica”, ha esternato tutto il suo disagio, poco prima di Capodanno, mettendo nero su bianco della paura di sedere al tavolo con un parente no-vax o con un ragazzino ancora non benedetto. Io uno così prode e coraggioso me lo immagino al cospetto di Hemingway, uno scrittore – lui sì vero – sempre in prima linea, dalla Prima Guerra Mondiale a quella civile spagnola. L’autore di Addio alle armi l’avrebbe fatto correre a calci in culo.

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Poi, adesso, o meglio proprio ieri, arriva Paolo Giordano, quello di La solitudine dei numeri primi. Parliamo di uno che “L’insorgenza di Omicron è stata accompagnata fin dai primi istanti dalla speranza. Accanto alla sua estrema contagiosità, si riteneva infatti che la variante potesse rappresentare una fine della pandemia diversa dalle fini decretate frettolosamente in precedenza, una fine più stabile…”.

Questi scrittori che vogliono la vita eterna non mi hanno mai convinto. Non devono aver ben chiaro cosa voglia dire esistere. Vivere non è accarezzare le grandi labbra rasate di Guendalina, è semmai cagarsi addosso nel letto di morte, è piscio, soffocamento e angoscia. Non esiste migliore scuola di scrittura che rifiutare le false speranze per guardare in faccia la fine.

“Aspettiamo, con trepidazione un po’ sinistra, l’epoca dell’endemicità come se si trattasse del migliore scenario possibile nel lungo termine, quando significa in effetti aggiungere una nuova causa di morte naturale all’elenco delle molte che già esistono. Significa dire che il Covid sarà con noi, anzi tra noi, indefinitamente”. Ben svegliato, gioia, hai mai visto un documentario? La morte è ovunque, colpisce tutti, a ogni ora del giorno e della notte, senza preavviso. Non sarà un virus in più o in meno a salvarti il culo.

Tralascio altre sparate, ma questa: “Serpeggia addirittura l’idea — e sono pronto a scommettere che prenderà presto piede come una forma di revisionismo — che tutto sommato sarebbe bastato aspettare Omicron, senza quell’animosità sulla campagna vaccinale, senza la confusione di green pass e super green pass, senza il bisogno di dividersi. La pandemia si sarebbe risolta da sé. Se questa idea inizierà davvero a circolare, sarà necessario smontarla”. E certo, tu pensa a smontare l’idea che si debba vivere, andare avanti nelle avversità, senza contemplare la possibilità della fine. Tutto sommato sarebbe bastato adeguarsi all’idea che si viene e si va. Giordano, per Dio, i virus e le pandemie esistono da sempre: c’è chi la prende in culo e chi sopravvive. Se non hai capito questo di che vuoi scrivere, Cristo Santo, di rose e fiorellini?

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Ma, secondo lui: “Siamo bloccati in un ossimoro: detestiamo la pandemia e ne vogliamo ancora. Non vogliamo più sentirne e non vogliamo ascoltare altro, se non per distrarci un attimo. Migliora il quadro complessivo, ma noi cerchiamo ancora esperti e ancora più cattiveria nello scontro con gli antivax. Pensare che siano i media a imporre tutto questo, a decidere l’oggetto dell’attenzione controvoglia rispetto al proprio uditorio, è molto ingenuo. I media tornano sul Covid perché noi non riusciamo a staccare gli occhi dal Covid”. Oh scemo di guerra, guarda che noi parliamo della pandemia perché ci siete voi fanatici del vaccino! I media sono lì ad alimentare le vostre manie da ossessivo compulsivi. Noi siamo due anni che ce ne sbattiamo le palle di voi psicopatici, maniaci igienizzati e del vostro perverso bisogno di sicurezza.

La conclusione del suo immondo articolo, poi, è tutto un programma, roba da finale strappalacrime del Libro cuore: “Se ancora non riusciamo a staccare gli occhi dalla pandemia, non dovremmo rimproverarci troppo […] C’è un vuoto di senso che serviranno impegno, energie e soprattutto tempo per riempire. Per il momento stiamo ancora cercando una risposta a tutto il malessere accumulato e, non trovandola, ci accontentiamo di vederlo riflesso simile negli altri, per sentirci un po’ meno soli”. Spiegami, ma il vuoto di senso tu lo sperimenti unicamente dal covid in poi? Caspita, complimenti, abbiamo il nuovo Kafka. Ti senti meno solo perché anche gli altri ascoltano questa idiota narrazione televisiva? Bello mio, come dice il poeta, “quando si muore si muore soli”. Dovresti capirlo, se vuoi fare lo scrittore. Poi, se vuoi scrivere quello che ti dicono, certo il “Corriere” è il posto giusto.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

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