Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

L’EDITORIALE – IL COVID NEL REGNO UNITO – INTERVISTA ESCLUSIVA (di Matteo Fais)

Non si può certo dire che la situazione non sia transnazionale. Sì, è più europea che paesana, questo è sicuro. Anche le stronzate messe in atto sono le stesse, secondo un copione comune, dall’Italia al regno della Brexit. 

E, oramai, tutti noi siamo condannati a vivere questa condizione “senza confini”, non fosse altro perché tutti quanti abbiamo dei conoscenti espatriati chissà dove per trovare lavoro, e in particolare a Londra e nel Regno Unito

Ho voluto, appunto, per completezza, farmi raccontare la situazione dall’occhio attento di una donna che vive nell’epicentro da cui potrebbe partire l’onda lunga di un nuovo lockdown totale.

Come stanno gestendo l’emergenza pandemia a Londra?

A oggi, secondo me, meglio che al principio. All’interno di locali, ospedali, mezzi pubblici, è scritto dappertutto che devi indossare la mascherina. È prevista anche una multa per chi non rispetta, però, non c’è quel controllo ossessivo che vedi in Italia, per cui ti senti osservato, monitorato. Non leggi di multe sul giornale. Ma qui, per strada, tendenzialmente, la gente esce già con la mascherina o comunque ce l’ha con sé. 

Ma è richiesta per strada?

No, per strada no. È richiesta all’interno dei luoghi pubblici, nei negozi, supermercati, farmacie, ospedali. La devi avere sempre appresso. Ma ti dicono di metterla solo quando entri in qualche posto che può presentare situazioni di assembramento. Nei bar e ristoranti, a ogni modo, la gente entra con la mascherina, poi, una volta che si è seduta, se la leva. All’ingresso, ci sono tutti i gel igienizzanti e quant’altro, e se non hai la mascherina, comunque, te la offrono gratuitamente. Negli ospedali, in particolare, ti invitano a cambiarla con una fornita da loro e ciò è un bene. Però, non è che te lo intimino, non avverti quella pressione.

Ci sono altre misure che stanno prendendo?

Sì, per esempio in casa tua puoi portare massimo sei persone e alle 22 chiudono tutti i locali – tassativamente. In Scozia, per dire, non ti servono alcol nei pub e ristoranti, però puoi comprarlo e berlo a casa. Qui, per il momento, è richiesto solo un po’ di buonsenso. A Londra, però, come ben sai, la popolazione, quando si tratta di seguire le regole, è diversa da noi. 

Anche lì hanno minacciato di mandarti la polizia a casa, se fai entrare più di sei persone?

No, però può succedere che, se hai un vicino stronzo, questo ti faccia la spia. A ogni modo, qui non si sente molto la cosa come in Italia, ribadisco. Certo, poi, la città sembra deserta rispetto ai suoi consueti standard. Certe zone, tipo la City, dove c’era il turismo… Beh, non c’è quasi più nessuno. Molti negozi, ristoranti e catene hanno proprio chiuso, quindi un sacco di gente è stata messa in cassa integrazione, ancora fino al 31 ottobre, anche se pensano di estendere la cosa. Hanno anche stanziato soldi per lo spettacolo e l’arte, diciamo in generale per chi al momento non può lavorare.

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Senti, quali sono le ricadute economiche della pandemia, in Inghilterra?

C’è un sacco di gente che è rimasta senza lavoro. Le situazioni più gravi riguardano quelli che lavoravano con contratti da zero ore, specie di contratti a chiamata, per i quali, se non lavori, non ti pagano. Però per molte aziende hanno stanziato i soldi e lo Stato paga fino all’ottanta percento dello stipendio. Ma, come ti dicevo, dipende dal contratto. Chi aveva quello a zero ore non percepisce niente e deve rivolgersi al welfare. 

Ma, dunque, la povertà lì è aumentata?

Io credo di sì. Vedo che ci sono sempre più homeless (senzatetto) e non si tratta di gente che si trova in strada perché alcolizzata, o drogata. Molte sono persone che sono state buttate fuori di casa, che si sono ritrovate senza lavoro. Rispetto a tre mesi fa, la differenza è spaventosa. A Trafalgar Square, davanti alla National Gallery, adesso ci sono, ogni giorno, due camioncini e due file di persone che chiedono un pasto caldo, quando prima vedevi al massimo una fila e un camioncino. Considera che molti sono stati magari buttati fuori dai padroni di casa – sai che qui molti coabitano, perché non possono permettersi una casa tutta loro. Chi era vulnerabile, all’arrivo del covid, si è sentito in pericolo e ha deciso di buttare letteralmente fuori di casa quelli che vivevano con loro e che andavano a lavorare. Devi immaginare che a quelli vulnerabili è arrivata una lettera in cui si suggeriva di isolarsi. Molti sono entrati nel panico. Ci sono state dunque diverse situazioni di questo tipo, anche se non ti saprei dire con che frequenza. A ogni modo, è sicuro che in piazza, lì dove prima vedevi soprattutto turisti, oggi ci sono più che altro persone bisognose.

E quindi la situazione è fuori controllo anche lì?

Ma, guarda, dipende… Il Governo ha anche liberato degli edifici, in cui ha messo delle persone senzatetto, tramite l’intervento delle charity, cioè delle associazioni di carità. La verità è che qui se ne parla meno che in Italia e noi ne sappiamo poco. Certe cose le noti, come ti ho detto, soprattutto passando in alcune zone della città. 

Ma Londra è deserta, adesso?

La City, lì dove c’è tutta la zona finanziaria, effettivamente pare un deserto rispetto a prima. La maggior parte, adesso, lavora in smartworking. London Bridge, invece, è abbastanza trafficata, perché i ragazzini vanno a scuola e ci sono gli autobus. Comunque, rispetto a prima, la gente si è adattata. 

E di Boris Johnson, cosa mi dici?

Mah, Boris Johnson ha di fatto impostato tre livelli di lockdown, onde evitare quello totale, e questa mi sembra la soluzione più intelligente. Il primo è il più morbido, ed è quello che abbiamo qui a Londra. È simile a quello che vige in Italia: indossare la mascherina nei luoghi pubblici, lavarsi le mani il più spesso possibile, contattare chi di dovere in caso di sintomi, non invitare più di un certo numero di persone in casa o ai matrimoni, locali tassativamente chiusi alle ventidue. C’è poi il livello 2, con ulteriori restrizioni che non ricordo – ma esiste una tabella in merito – e, nel terzo livello, si consiglia alla gente di crearsi una bolla sociale, in cui chi è solo possa comunque avere qualcuno su cui contare.

Ma il terzo livello lì non è arrivato?

No, quello riguarda zone come Liverpool o Manchester, dove hanno chiuso molto di più, a causa dei contagi. Il principio è fare lockdown localizzati. 

Ma lì avevano fatto un vero e proprio lockdown, in precedenza?

Sì, più o meno dieci giorni dopo l’Italia. Boris Johnson, dopo aver parlato dell’immunità di gregge, era ritornato sui suoi passi, facendo chiudere tutto. Pensa che in città non si sentivano neppure gli aerei passare. Poi, piano piano, è ripartito tutto. Solo che, adesso, la comunità scientifica dice che la situazione sta di nuovo peggiorando ed è stato chiesto di fare almeno due settimane di chiusura, per le imminenti vacanze scolastiche, onde evitare che la gente si muova troppo liberamente. 

E quelli come te, quelli che erano a Londra per lavoro?

Molti sono tornati al loro Paese.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. A ottobre, sarà nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. 

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