Il Detonatore

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DIMENTICARE LA PANDEMIA E QUEL CHE CI AVETE FATTO? NON ACCRADRÀ MAI (di Matteo Fais)

Non è possibile. Non si può e, soprattutto, non si deve. Da certe esperienze, non esiste una via del ritorno, né tantomeno la possibilità di abbandonare il fardello che c’è stato caricato in spalla a bordo strada.

Se lo scrittore Emanuele Trevi adotta, sul “Corriere” (https://www.corriere.it/cronache/22_febbraio_06/vera-liberta-sara-scordarci-coronavirus-b6f0a046-8792-11ec-b89c-0af407efe3ea.shtml), toni concilianti e saluta felicemente l’eventuale fine delle restrizioni – ma è realmente possibile? –, l’ultima cosa da fare è abbandonarsi al piacere codardo di una nuova pacificazione nazionale.

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Col cazzo che cancelliamo due anni di soprusi e angherie come se niente fosse! Ci hanno augurato la morte – sempre che non ci abbiano anche fatti morire, più di una volta, per giustificare le loro strategie biopolitiche. Ci hanno trattati da criminali, pazzi, come un pericolo sociale. Hanno invocato cannoni, campi di concentramento, l’eventualità di venirci a prendere casa per casa. E il lavoro? Cancellato. Immeritevoli anche di esser schiavi e pagar tasse.

Più di tutto, però, ci hanno rubato due anni di vita in nome di una folle psicosi creata ad arte. La gente non esce o, se lo fa, è travestita, col viso coperto. Si igienizzano le mani, corrono sull’altro lato del marciapiede quando ti vedono, ti squadrano al market per vedere se anche tu assolvi alle abluzioni richieste per toccare la merce, altrimenti ti danno dell’untore.

No, non se ne parla proprio. Chiusi in casa, o in camera se positivi, messi in punizione. Pentitevi, vi siete assembrati, avete cercato il contatto umano e, adesso, pagate il fio delle vostre colpe: aver domandato alla vostra vita di essere vita e non quel confortevole carcere che vi avevamo costruito intorno.

No, non si può tornare indietro, caro Trevi. Non si può tornare indietro, come non si può essere gli stessi dopo il gulag – almeno questo paragone storico mi è concesso da vossignoria? Noi abbiamo scrutato in faccia la vostra umanità ed è stato come fissare il buio di un buco nero, o squarciare il velo di Maja. Se guardi troppo a lungo nell’abisso di fanatismo di un pro-vax, capisci che non devi essere meno feroce per combatterlo.

Abbiamo vissuto un’esperienza simile agli internati di Cecità di Saramago e, adesso, secondo voi, dovremmo fare come se nulla fosse stato? Abbiamo visto che razza di cani eravate, rabbiosi e con la bava alla bocca. La morte, Trevi, voi ci avete augurato la morte e ne avete gioito sadicamente, quando vi è stato dato in pasto il cadavere ancora caldo del no-vax. Non potremo più guardarvi come prima. Siete stati capaci di gesti immondi e lo sapete. Se ancora non ve ne siete resi conto, peggio ancora, perché esiste un’ignoranza etica e morale su cui non si può soprassedere. Un torturatore che agisce per assenza di empatia non è meglio di chi sceglie il male consapevolmente – è solo più stupido e disgustoso.

Non basterà dare fuoco ai green pass e alle mascherine per far finta che non siano mai esistiti e che non siano stati imposti al di là di qualsivoglia ragionevolezza sanitaria, per dare, come dicono i vostri Ministri, “un segnale forte”. Il segnale è arrivano. È in noi, come un veleno di cui non ci si può liberare, un infame marchio sul braccio che ci porteremo dietro per il resto della nostra esistenza.

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Non dimenticheremo, Trevi, non accadrà mai. La memoria deve restare viva. Il terrorismo giornalistico della sua testata starà lì come monito, come tutte le altre volte che nella Storia questa si è piegata al potere senza tanti scrupoli, raccontando ciò che le era stato imposto di raccontare.

Finché vivremo, voi non sarete più semplicemente qualcosa di altro da noi. Sarete i nemici, gente con cui, comunque, restano dei conti in sospeso. La sua amnistia per i non vaccinati, Bassetti può ficcarsela su per il culo. Non vogliamo la vostra grazia. Quello che gridavamo in piazza non era solo uno slogan privo di senso: “Norimberga” è il nostro desiderio più grande e non sazierà comunque la sete di giustizia, perché per certi torti non può esistere il perdono.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

2 commenti su “DIMENTICARE LA PANDEMIA E QUEL CHE CI AVETE FATTO? NON ACCRADRÀ MAI (di Matteo Fais)

  1. Assolutamente d’accordo. Troppo facile. Prima colpisci ed affondi e poi dici che stavi scherzando. Non credo proprio. Dovranno pagare tutti i soprusi, e non perché siamo dei rancorosi ma perché dev’essere fatta Giustizia. Una volta per tutte.

  2. Il tanto agognato “ritorno alla normalità” non c’è mai stato per noi (in realtà neanche per loro poveri illusi) e mai ci sarà. Anche perché non lo vogliamo.

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