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LE COLPE DI GIORGIA MELONI – FUGGIAMO DAI PARTITI (di Manuel Berardinucci)

“Maledetto l’uomo che confida nell’uomo”, sentenzia il profeta Geremia. V’è da pregare affinché la saggezza biblica illumini quei figli della democrazia, incastrati nel ricatto morale del voto come dovere. Pur avendo questi compreso la portata della farsa in atto da almeno due anni, continuano a vagare nella disperata ricerca di soluzioni politiche, individuando in Giorgia Meloni l’ultimo faro di speranza nel buio di questi giorni.

La leader di Fratelli d’Italia può vantare un partito apparentemente solido (anche per assenza di reali esponenti qualitativamente competitivi col Presidente), una buona dialettica e capacità argomentativa ed una presunta coerenza. Ma la leader della Destra italiana ha già disseminato vari indizi in grado di fornirci un quadro non del tutto rassicurante, poiché funzionale al Molock leviatanico pandemico.

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Tali indizi non sono documenti segreti ricavati da chissà quale resoconto complottista, ma atti, dichiarazioni e scelte  ben evidenti e rivelatorie. Per cominciare, il 10 marzo 2020, quando il Governo Conte II ancora traccheggiava, la coppia Salvini-Meloni, accompagnata dallo spumeggiante Zaia, incitava l’esecutivo a chiudere tutto per due settimane. In particolare, così si esprimeva la nostra eroina: “Riteniamo che sarebbe più utile chiudere tutto per 15 giorni. C’è il rischio che una misura simile la si prenda tra 15 giorni. Per ora il Governo non si dice disponibile e interessato.”

La leader di Fratelli d’Italia, sin da principio, si è pronunciata positivamente rispetto all’idea che lo Stato potesse disporre arbitrariamente dei diritti dei cittadini, il che riconduce la successiva opposizione alle chiusure di Conte alla mera diatriba politica. Sarebbe quasi sufficiente limitarsi a questo punto per rendere inservibile “l’opzione Meloni”, per chiunque abbia compreso la gravità del processo in atto. Nel momento in cui si è accettata la filosofia emergenzialista, il disegno è compiuto, giacché in ogni momento si rende disponibile la sovranità individuale di ciascuno sotto il pretesto emergenziale.

Poi è arrivato il governo Draghi e, con esso, la misura più iniqua mai concepita nella storia repubblicana, dopo la legalizzazione dell’aborto: il green pass. Giorgia Meloni tentenna, ne denuncia alcune contraddizioni insieme all’eroico Mario Giordano. Le osservazioni sono di questo tenore: che senso ha imporre l’esibizione del lasciapassare governativo in alcuni posti e non richiederlo in altri? Così il Presidentissimo accontenta gradualmente l’opposizione, imponendo la certificazione verde per l’accesso a qualunque  luogo pubblico, in modo da sanare i dubbi del noto conduttore televisivo e dell’accorta politicante.

In qualche intervento mediatico, tuttavia, la Meloni sembra mostrare di aver capito come una misura che prescrive la sistematica discriminazione di una parte della cittadinanza è in sé errata e talvolta lo afferma anche con una certa spigliatezza, pur ovviamente premettendo ogni volta di essere pluri-vaccinata per accreditarsi come meritevole del diritto di espressione. Per questo viene linciata dai benpensanti che la accusano di connivenza con i mitologici no-vax ed altre strane creature. In realtà, la leader romana, fuori dagli studi televisivi, si è totalmente disinteressata della questione, così come il suo imbelle partito.

Il popolo da luglio organizza manifestazioni nelle più svariate piazze del Paese contro il Governo e l’unica leader della presunta opposizione non le appoggia ufficialmente, non mobilita i propri militanti e non ne indice di proprie: il nulla. Evidentemente, il timore di essere associata a qualche esaltato che, inevitabilmente, salta fuori in ogni manifestazione dissenziente, supera di gran lunga l’avversione per leggi inique che hanno trasformato l’Italia nell’infernale laboratorio del Grande Reset e del sistema di credito sociale applicato in Occidente.

Ma, siccome al peggio non v’è limite, Giorgia Meloni, con tronfia sicumera, propone agli “alleati” di Centrodestra (diretti corresponsabili della follia in atto) di candidare il magistrato Carlo Nordio alla Presidenza della Repubblica. L’uomo di legge si è distinto, non più tardi del settembre dello scorso anno, per aver difeso la costituzionalità del Green pass. Non è neppure necessario commentare una simile scelta.

Una consistente porzione degli apparati del partito ha assorbito la narrazione pandemica ed è dunque senza alcuna speranza. L’auspicio è che qualche residuo manipolo di renitenti abbandonino tale prospettiva per abbracciare un realismo liberatorio che finalmente emancipi dalla follia imperante.

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Nel messaggio che Mons. Carlo Maria Viganò ha inviato ai partecipanti della manifestazione del 15 Gennaio a Roma, l’Arcivescovo ha sottolineato come “Non sarà la Costituzione, né la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo a salvarvi”. E mi permetto sommessamente (come suole dire Giorgia) di aggiungere che non saranno neanche i partiti. La dichiarazione dell’Alto Prelato si conclude così: “ma la Fede. Quella Fede che ha reso grande l’Europa, che ha edificato la civiltà cristiana, che ha fatto fiorire le arti e le scienze. Quella Fede che ci porta a tendere la mano al povero, a dare conforto al malato e al moribondo, a rinsaldare nella Carità quei vincoli di fratellanza che oggi vediamo distrutti e negati da un’ideologia che tutto ammette, tutto tollera, fuorché il Bene”.

Senza la pretesa di fornire soluzioni, la situazione è eccessivamente drammatica e stressante per indicare strade maestre. Il “passaggio al bosco”, la fuga dal mondo o magari solo dall’Italia, la ribellione ostinata, la resistenza passiva, sono tutte opzioni contemplabili e comprensibili, ma vi prego, fuggite dai partiti.

Manuel Berardinucci

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