Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

LE NUOVE NORME ANTIVIOLENZA E LA SACRALITÀ FEMMINILE (di Matteo Fais)

Su una cosa le femministe hanno ragione: il comportamento degli uomini si modifica solo a mezzo dell’educazione. E, infatti, noi maschi bianchi, figli della media borghesia, siamo cresciuti con l’incubo di violare la femmina con pensieri, parole, opere e omissioni. “Le donne non si toccano neanche con un fiore” mi disse mia madre, quando ero poco più che un piccolo puffo di quindici chili. Da allora, questo mantra mi è stato ripetuto a ogni piè sospinto.

Ecco perché le norme antiviolenza servono a poco o niente. O meglio, istituzionalizzano semplicemente ciò che già io e tutti coloro che sono cresciuti con e come me sanno da quando, spensierati, giocavano con i robottini all’asilo. Un pazzoide manesco, uno affetto da problemi, il violentatore seriale e affini se ne fottono ampiamente di qualsiasi legge. È come dire che, se per caso reincontro per strada un mio professore delle superiori, anche se questo mi dice di dargli del tu, io non riesco a farlo perché, ai miei occhi, egli incarna un’idea di autorità entro la quale sono cresciuto e da cui probabilmente non mi libererò mai – anche perché sono sempre grato a chi ha avuto la pazienza di trasmettermi il suo sapere. Naturalmente, questa prospettiva non sarà condivisa da chi è venuto su nel disprezzo della cultura e della cosiddetta classe intellettuale.

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Insomma, la violenza sulle donne, per un vasto gruppo umano e sociale, è oramai un tabù consolidato, come il comandamento di non uccidere o non rubare. Non servono norme per ricordarcelo. La coscienza basta di suo. Il rispetto della femmina è cioè un valore borghese. Anche perché tutti quelli di una certa classe sociale hanno sempre visto la madre lavorare, essere indipendente, avanzare con forza le proprie ragioni. Certamente, nessuno di noi è divenuto adulto con il pensiero che fosse inferiore o marginalizzabile.

Pertanto, tutta la foga auto protettiva delle femministe mi risulta ridicola, come quella di coloro che sbraitano contro un presunto fanatismo nel magistero morale della Chiesa, oramai morto e sepolto da oltre sessant’anni e che loro non hanno mai vissuto. Semplicemente i progressisti, di cui le femministe sono una costola, scelgono dei valori già ampiamente diffusi e partecipati in società e fanno finta di combattere per questi, quando in realtà non esiste alcun nemico da avversare. Unicamente una sparuta minoranza, priva di qualsivoglia rappresentanza politica, ha realmente dei pensieri contrari al femminile.

Casomai, si è venuta a creare una situazione di paradossale predominanza della frangia dichiarata oppressa. La donna è oggi sacralizzata oltre ogni ragionevolezza. Una pacca sul culo – che non è una palpata, attenzione –, come abbiamo visto, ha portato a tre anni di daspo dallo stadio per l’incauto tifoso e le nuove norme che prevedono addirittura il braccialetto elettronico per gli uomini accusati di violenza ne sono la prova. Il tutto senza il benché minimo senso delle proporzioni: dallo stupro alla mano morta, fino allo sguardo insistente – qualcuno è stato condannato anche per quello –, ogni gesto è finito nel grande calderone della violenza. Per assurdo, oggi come oggi, si rischia di meno a occupare la casa di una donna, rubarle il portafogli, o venderle della droga che a darle la famosa pacca goliardica – perché una pacca come quella del tifoso è goliardia, non certo un tentativo di appagamento erotico, mi si permetta.

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La verità, purtroppo, è proprio questa: dai film alla pubblicità, ogni rappresentazione della femmina è elogiativa – quante volte ho sentito dire, con riflesso pavloviano, che “sono meglio di noi” –, mentre l’uomo risulta sempre un povero patetico sfigato morto di fica. Non esiste pellicola o reclamizzazione in cui la donna passi per laida e manipolatrice, perché l’intento è appunto quello di sacralizzarla, renderla al di sopra di qualsiasi critica, addirittura del bene e del male. Pure se sbaglia, è perché è stata “vittima” di qualcosa, fosse pure la sua insicurezza. Come dice la canzone – scritta, peraltro, da un uomo, e ciò dovrebbe far riflettere – “se diciamo una bugia, è una mancata verità”. Insomma, a essere donna, per statuto ontologico, non si può mai essere malvagie, crudeli, schifose o moralmente deprecabili. E tale visione regna incontrastata tra le classi più agiate, dove le donne hanno spesso ruoli di potere, in ciò confermando quanto detto da Marx, ovvero che “Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante”. E, fuor di dubbio, noi siamo una società a trazione femminil-borghese.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

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