Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

I MANESKIN ESPRESSIONE DELL’ODIERNO CONFORMISMO (di Franco Marino)

Gli Eurovision Song Contest sono l’equivalente della Champions League del calcio. Chi vince Sanremo – l’equivalente dello scudetto – ha il diritto di partecipare a quella manifestazione. Ed è lecito chiedersi se la vittoria dei Maneskin equivalga davvero alla vittoria della musica italiana.
Prima una premessa. I Maneskin non sono gli eredi italiani dei Queen come ha scritto qualche deficiente ma non sono neanche un cattivo gruppo. Il loro genere è quello di un energico funk rock con venature punk. Qualcosa che qui in Italia non si è mai visto prima. E che, depurato dai clichè stantiamente trasgressionistici, si può anche ascoltare senza inorridire.
Il problema è che si è visto troppo altrove. L’idea che questo gruppo di giovanissimi romani possa segnare un’epoca nella musica mondiale a mio avviso è alquanto prematura. I Maneskin non sono niente di innovativo. Chiunque sia appassionato del genere avrà notato alcune somiglianze con i Maroon Five, gli Spin Doctors e i Muse. E fin qui non ci sarebbe nulla di male ma la vera domanda è: in che modo avrebbe vinto la musica italiana?


Intendiamoci. Io ho amato e apprezzato moltissimi gruppi e cantanti italiani che si sono cimentati in un genere non propriamente italiano, con sfavillanti risultati. Ma che senso avrebbe avuto la loro partecipazione in una rassegna nata per celebrare la tradizione musicale identitaria?
Mettendo l’Eurovision Song Contest in gara le nazioni, avrebbe avuto senso che ogni nazione esprimesse la propria visione della musica. Il cantautorato francese contro l’avanguardismo tedesco e lo sperimentalismo scandinavo. La melodia italiana contro quella spagnola.
Nulla di tutto questo. Ovunque, in ogni canzone, un conformismo pseudorockettaro, impreziosito (si fa per dire) da quel conformistico trasgressionismo che vuole il bacio gay in pubblico, l’ambiguità sessuale, il vestiario liso come momenti di rottura. Qualcosa che aveva senso quarant’anni fa quando Freddie Mercury, David Bowie, Prince, Elton John, giocavano sulle proprie ambiguità in un’era in cui l’omofobia davvero dilagava e vestirsi “a la Freddie” significava attirare i bulli dei peggiori pub londinesi o più in generale metropolitani. Non di certo oggi dove pare che essere normali sia peggio che essere mafiosi.

Oggi, la vera trasgressione è dirsi eterosessuali, propagandare i valori della patria e della famiglia, del bel canto, della qualità vocale, in uno sfondo ove la triste sensazione è che ormai non vincano più le canzoni, non trionfi più l’arte ma predomini la comunicazione assurta a propaganda. Si deve essere a tutti i costi gay, mondialisti, politicamente corretti. Si deve sterilizzare ogni localismo e identitarismo artistico. Guai ad essere italiani, francesi, spagnoli e vestirsi come tali. Bisogna essere globali, rinunciare alle proprie sovranità politiche e culturali. Alle proprie identità personali. Il tutto gestito da critici preoccupati non di informare e di spiegare ma di indottrinare il popolo bue verso la meta della sterilizzazione omologante. Il tutto in un insopportabile perchè insistente e mendace tentativo di convincere le masse che quanto accade sia frutto di uno spontaneismo libertario, quando chiunque abbia occhi per vedere si rende conto di quanto potere finanziario e politico si muova nell’assecondare questo processo.
Il testo di “Zitti e buoni” poi rappresenta la stantia protesta del giovanilismo contro gli adulti accusati di non volerli valorizzare e qui si inorridisce ancor di più. Perchè il vero uomo di successo, specie nella musica, non ha bisogno di essere valorizzato. Emerge da solo. Non ha bisogno di X-Factor, altro manifesto dello sterilizzante mondialismo artistico. E soprattutto non ha bisogno di un intero universo subculturale pronto a celebrarli come artisti.

In una parola, la vittoria dei Maneskin non è una rottura. E’ un’espressione di conformismo. Guarda caso, salutata, come era ovvio, da tutte le teste di ariete della dittatura sanitaria, mediatica e finanziaria di oggi.
La vera arte oggi c’è ma si nasconde altrove, ignorata dagli apologeti del nuovo umanesimo.

FRANCO MARINO

2 commenti su “I MANESKIN ESPRESSIONE DELL’ODIERNO CONFORMISMO (di Franco Marino)

  1. Premetto che non ho visto la trasmissione, proprio per i motivi da te così esaurientemente elencati, gruppi e cantanti tutti uguali, tutti straccioni, tutti urlanti la stessa musica e slogan pro gender ecc… non guardo x factor , tantomeno amici e talent simili. Tutto ciò oltre ad annoiarmi mi infastidisce. Amo la musica, tutta, ogni genere, dalla lirica al pop, un po’ meno la classica. Ho ballato e cantato, ho sognato e pianto con la musica e tuttora amo rilassarmi con un buon brano di jazz. Ma quello che ci propinano oggi per me è inascoltabile. Sono assolutamente in sintonia con quanto scrivi

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