Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

SELVAGGIA LUCARELLI ECOSYSTEM. COME LA CRITICA STA DISTRUGGENDO LO SPIRITO CRITICO (di Franco Marino)

Stamattina sono venuti a fare la sanificazione dei condizionatori di casa. Essendo sia io che il mio vecchio entrambi insofferenti al caldo, era un’operazione non più differibile. E’ però successo che alla fine l’operazione ha richiesto un po’ più di tempo e di costo perchè andavano ricaricate le macchine del gas. La cosa onestamente mi ha un attimo perplesso ma, vero o no che fosse, la mia opinione non avrebbe avuto alcun peso perchè mentre questi signori la sanificazione degli impianti la svolgono come mestiere, io non ho mai nè riparato, nè pulito nè montato un condizionatore in vita mia. In quanto utente mi limito ad usufruire dei benefici del condizionatore e dunque la mia opinione non vale nulla.
Ho messo mano al portafoglio e amen.

In una situazione come questa ci troviamo tante volte nelle vicende di vita vissuta. Il denaro è poco, il tempo ancor meno. A volte abbiamo bisogno, per un motivo o l’altro, di comprare un libro, di vedere un film, di andare in un ristorante, di acquistare uno smartphone. E magari non sappiamo quali, perchè non abbiamo la cultura e la competenza o più semplicemente la personalità per deciderlo da soli. In questo caso, a guidarci è un critico. Che, in un mondo ideale, è colui che ci permette di non buttare soldi e tempo in un film brutto, in un libro noioso, in un ristorante dove si mangia male e in uno smartphone poco adatto ai nostri bisogni. E che nel mondo reale, è ben consapevole di avere un potere. Spesso è dettato dalla sua competenza e dalla conseguente incompetenza del lettore ma il più delle volte anche da fattori tematicamente non rilevanti ma che ne accrescono il fascino, come la bellezza fisica, la pregevolezza nella scrittura. In quanto tale, specie se di questo potere è innamorato, il critico lo usa per fini che poco hanno a che fare con l’intento di guidare un lettore, che sia quello di tirare la volata di qualche azienda del settore – o colpirne i concorrenti – o di favorire un leader politico – o colpirne i rivali – o più banalmente regolare conti personali con qualcuno di sgradito o favorire qualche persona gradita.

Personalmente – e ben conscio di andare contro lo spirito della Costituzione – mentre apprezzo moltissimo i critici considerati filogovernativi o comunque non ostili al potere in linea di principio (apprezzo molto Bruno Vespa per dire) ho moltissima diffidenza verso i “giornalisti contro”, specie quando contro non lo sono per niente ma sono semplicemente “a favore” di qualche potere troppo furbo e poco leale per manifestarsi come potere.
Questo mi ha sempre provocato un’osmotica diffidenza nei confronti di tutta quella tipologia di “giornalismo di denuncia”, di critica “antisistema”, che fonda il suo successo su quello che io definisco “parassitismo coprofagico”, cioè che si nutre degli escrementi generati dai guasti di ciò che si critica, secondo stilemi che in Italia sono sempre andati molto di moda e che spiegano il successo dei partiti di protesta. Essere contro ha un senso quando si è in favore del suo opposto, ovvero quando si costruisce un sistema di pensiero che sorregga un’alternativa proposta, credibile.
Di conseguenza, la figura di Selvaggia Lucarelli (più come persona e personaggio che per le cose che scrive, che non sono sempre da buttare, anzi) ha sempre ispirato in me una profonda e istintiva diffidenza, che promana dalla consapevolezza di quanto sia difficile fare e di quanto sia facile criticare. Di come il potere sia fatto di onori ma anche di oneri, che aumentano in diretta proporzionalità con l’aumento del potere. E di come spesso la critica si esprima sulla base di pregiudizi e sovente scada nell’insulto.

Nel caso del figlio della Lucarelli, è sufficiente vedere il video con Salvini per rendersi conto che non c’è alcuna critica ma solo un insistito attacco personale, dove Salvini viene definito razzista (mentre si stava facendo un selfie con uno straniero e ignorando che la Lega è il primo partito nelle intenzioni di voto degli immigrati regolari), omofobo (eh?), sino alla chicca “volevo ringraziarla per il suo governo omofobo e razzista”, rivolto ad uno che è all’opposizione.
Se poi qualcuno vuole venderci la balla che Leon Pappalardo sia andato a quella manifestazione in quanto Leon e non in quanto figlio di Selvaggia Lucarelli (che era a pochi metri di distanza), faccia pure. Io personalmente non me la bevo.
Del resto, l’esempio familiare materno è quello che conosciamo. E non c’entra nulla la libertà di pensiero perchè prima bisogna averne uno. A quindici anni non si ha un proprio pensiero, ma quello del proprio ambiente familiare ed amicale. A quindici anni scrivevo temi contro l’Euro, pagandone il fio con voti più bassi e giudizi nei quali era chiara la connotazione politica (“tema molto ben scritto ma sporcato dall’odore di olio di ricino”, voto finale 6) ma non pretendevo certo di spacciarmi come ideologo dell’antieuropeismo: semplicemente leggevo (e riportavo) devotamente Craxi e la Thatcher che di quell’avventura, per come era costruita, furono fieri avversari. Oppure ascoltavo mio nonno, che profeticamente disse che l’Euro avrebbe distrutto l’Italia. E grazie al quale ho “conosciuto” figure di euroscettici come Amartya Sen, Palast. A quindici anni bisognerebbe avere l’umiltà di stare in disparte, di studiare, di crescere e non di attribuire epiteti, stereotipizzandoli, a persone senza avere studiato e compreso a fondo la politica nella sua complessità che a volte imbarazza persino me che ho quasi quarant’anni e persino persone più grandi ed esperte di me. Ma soprattutto, se io a quindici anni fossi andato a fare il coglione al comizio di un politico di qualsiasi schieramento i miei genitori (ma anche mio nonno, che era ancora vivo e che la politica l’aveva fatta e la conosceva) mi avrebbero tirato due ceffoni e cinque calci nel culo.

E a prescindere da ogni formazione culturale – non è che europeisti come Prodi o Draghi siano stupidi, anzi – qualcuno semplicemente dovrebbe spiegare alla Lucarelli e al figlio alcune cose. Che c’è differenza tra offendere e criticare. Che l’irrisione è la parente povera dell’ironia. Che porre delle critiche su un ambito nel quale non si è addetti ai lavori è perfettamente lecito. Ma meno si è dimostrato in quel campo, più le critiche dovrebbero essere umili. In sostanza, se Selvaggia Lucarelli dopo aver letto questo articolo mi stroncasse come articolista, sarebbe perfettamente legittimo, essendo lei stessa scrittrice (e di libri neanche malvagi, a dirla onestamente, a dimostrazione che qui nessuno ce l’ha pregiudizialmente con lei). Magari possibilmente indicando anche un suggerimento su come fare meglio, come ci insegnano i tedeschi che sin dalle scuole vengono catechizzati su come una critica abbia dignità solo in presenza di una valida alternativa.
Se, viceversa, mi offendesse come ballerino senza aver mai fatto un passo di danza in vita sua – tranne probabilmente nelle discoteche di Civitavecchia – e soprattutto se io non mi spaccio per ballerino ma vado lì solo per intrattenere il pubblico (e dunque il mio ballo è solo un pretesto), la sua diventerebbe una critica del cazzo, distruttiva e che non apporta nulla. A meno che qualcuno non trovi costruttiva una roba come questa “A Scialba Parietti (da notare la storpiatura del nome, che si faceva alle scuole elementari, nda) qualcuno dovrebbe raccontare la teoria del gatto spiaccicato in autostrada: anche quello lo guardiamo tutti passando con la macchina, ma non perché ci piace” oppure rivolta ad una Nunzia De Girolamo che non sarà la Merkel ma non si è capito quali nefandezze abbia compiuto nella sua vita politica “Qui non vieni nominata, i voti te li devi guadagnare”. Che fin quando capiti col fessacchiotto di turno che non sa come risponderti, guadagni una replica offensiva e, come controreplica, rispondi con una conseguente querela. Quando invece ti ritrovi di fronte ad uno come Todaro o la Smith, ballerini professionisti che non si fanno intimorire dalla tua personalità e che, con ferma cortesia, ti rimettono a posto, ecco le figuracce.

Il Selvaggia Lucarelli Ecosystem è un mondo dove puoi non saper nulla di ciò che parli, puoi non saper ballare, non saper cantare, non saper nulla di politica ma parlare con sicumera di ballo, di musica e di politica come se fossi il massimo esperto, una specie di incrocio tra Carla Fracci, Mina ed Henry Kissinger. Il Selvaggia Lucarelli Ecosystem è un mondo dove nessuno fa nulla perchè ha paura di essere riempito di badilate di sterco, anche sul piano personale col risultato che la critica diventa essa stessa una forma narcisistica d’arte ma di segno negativo. E dove se casomai provi a far notare all’interessata che dovrebbe darsi una calmata, vieni querelato.

Se a voi piace un mondo così, buon per voi. Io preferisco ascoltare ciò che mi raccontano i potenti, anche quando fanno qualcosa che mi fa schifo. Preferirei molto di più andare a pranzo con un potente, non di quelli che apprezzo (troppo facile) ma anche ideologicamente miei nemici come D’Alema, De Benedetti, persino Soros guarda, che con la Lucarelli. Perchè so che da quei signori, che io detesto, imparerei comunque qualcosa. Dalla Lucarelli, l’unica cosa che potrei imparare è l’arte del dileggio gratuito.
No grazie, non sono interessato.

FRANCO MARINO

2 commenti su “SELVAGGIA LUCARELLI ECOSYSTEM. COME LA CRITICA STA DISTRUGGENDO LO SPIRITO CRITICO (di Franco Marino)

  1. Incommentabile …… se quel ragazzo fosse mio figlio gli insegnerei il rispetto in primis e l’educazione!

  2. Semplicemente PERFETTO. Nella scrittura, nell’analisi, nella struttura dell’articolo, nel contenuto (che condivido) chiaro, leggibile, e un icipit strategico. Sei bravo, proprio bravo.

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