L’INTERVISTA – TRA HEGEL E IL LATTE IN POLVERE: DIALOGO, CON DIEGO FUSARO, SULLA PATERNITÀ (di Matteo Fais)
Quando ci siamo sentiti, io e Diego Fusaro abbiamo subito cominciato a ridere della follia pandemica imperante. Lui stava camminando su una spiaggia, in completa solitudine (“La gente ha paura di uscire di casa, persino qui, dove ci sono chilometri di sabbia, al momento, completamente deserti”). Io gli raccontavo delle persone che mi fissano sconcertate, mentre circolo per strada con la mascherina abbassata, in una delle città meno popolose d’Italia. “Ai confini dell’impero è sempre così”, gli faccio notare, “fanno di tutto per sembrare al centro”.
Tutte le sue conferenze sono state annullate, o si è trovato costretto a svolgerle da remoto. Così, dato il venir meno di tanti impegni, ne abbiamo approfittato per una chiacchierata sul concetto di paternità, visto che lui è divenuto padre relativamente di recente e considerati i pesanti attacchi che questa figura continua a subire nella nostra società sempre più delirante e antropologicamente moribonda.
Perché fare un figlio oggi, Diego?
Già il fatto che la nostra epoca ci induca a porci una simile domanda è sintomo di un problema. È la semplice continuità della vita che porta a fare figli. I motivi sono vari e vanno ben oltre l’ordine istintuale, animalesco. C’è l’elemento dell’eredità, ovvero il consegnare un lascito a qualcuno, una lezione, un discorso, dei valori. In ultimo, vi è l’idea dell’amore. Il figlio, in tal senso, è la sintesi. In questo si può finalmente vedere l’amore per l’altra persona che vive di vita propria. In colui che nasce è l’unità ricercata da sempre tra i due amanti. Inoltre, attraverso il figlio, si guadagna la possibilità di continuare a vivere anche dopo la morte. Dice Platone, nel Simposio, che la procreazione è il solo modo che abbiamo per emulare l’immortalità degli Dei.
Ma un tempo di crisi come questo, economica in precedenza e pandemica adesso, non fa perdere fiducia nell’umanità, fino a pensare che non ci siano più gli estremi per desiderare di perpetrarla?
Per fortuna, mia figlia è nata qualche mese prima dell’esplosione di questa situazione. Ho anche potuto assistere alla sua nascita, in sala parto, cosa che forse al momento non sarebbe possibile. Paradossalmente, data la pandemia, ho vissuto ancora più intensamente questo suo primo periodo di vita, essendo stato costretto a casa nei mesi di confinamento. Però, mi rendo ben conto che chi volesse generare in questa fase delicata potrebbe avere delle perplessità ben più che legittime, non ultima quella di dare continuità a una specie che si va sempre più disumanizzando. Certo, quindi, viene da chiedersi, se si dà vita a un figlio, in quale contesto lo si fa, oggi come oggi, in quale mondo. Bisognerebbe vedere se prevarrà la logica di cui parlavo prima, quella dell’eredità, o se invece il nichilismo avrà la meglio su di noi.
In Le particelle elementari, uno dei romanzi più famosi di Michel Houellebecq, il personaggio di Bruno riflette sulla sua paternità e constata amaramente come, in un mondo che evolve così celermente, tutte le competenze e il sapere da lui acquisiti si riveleranno presto obsoleti. In ultimo, si domanda se avrà poi qualcosa da trasmettere a suo figlio. Tu, che parlavi appunto di trasmissione, diversamente da lui, pensi di avere un messaggio da lasciare a tua figlia il cui valore sopravvivrà anche nei decenni che verranno e che lei si troverà ad affrontare?
È chiaro che, se ci riferiamo a un sapere tecnico-pratico, esso sbiadirà nel volgere di una notte. Però io voglio sperare, a differenza di Bruno, che noi si abbia qualcosa di più alto da veicolare presso i nostri figli, possibilmente l’eterno. Abbiamo la storia del nostro Occidente, della nostra civiltà, della nostra idea di famiglia.
Tu hai fatto battezzare tua figlia. Perché, da marxista, hai preso questa decisione?
Perché io sono radicato nella tradizione cristiana, proprio come in quella omerica e rinascimentale. Rimanda alla civiltà di cui anche io sono parte e in cui mi riconosco. Oggi più che mai, poi, la religione cristiana è una forma di resistenza al nichilismo. Come diceva Hegel, la religione cristiana esprime nella forma rappresentativa più alta quella che è la filosofia più vera e che lui ovviamente identifica con la sua. Anche io ritengo che la verità del pensiero hegeliano sia superiore alla verità di Cristo, ma penso al contempo che quest’ultima dica in forma rappresentativa, cioè religiosa, quel che la filosofia di Hegel esprime nella forma del concetto.
Oggi, secondo te, quali sono le battaglie da condurre, per una persona che abbia scelto di avere dei figli, in difesa del loro futuro?
Direi, prima ancora, che bisognerebbe pensare al loro presente. Allo stato attuale, tutto e tutti sembrano essere contrari all’idea che nascano dei bambini. Ti faccio alcuni semplici esempi, di ordine pratico e quotidiano. Spesso, accedere all’asilo pubblico è difficile e allora bisogna ricorrere a quello privato, che comporta una spesa non indifferente. Ancora, si pensi al costo del latte in polvere. Un barattolo arriva anche a quaranta euro e non lo passa certo lo Stato, che pure, invece, foraggia le cure ormonali a chi desidera mutare il proprio sesso naturale. Sono tanti gli elementi, anche banalmente materiali, che spingono in direzione contraria rispetto al generare. Questo per ciò che concerne l’oggi. Per quel che riguarda il futuro, speriamo di riuscire a garantire loro qualcosa di diverso da questa miseria, proprio come cerca di fare Odisseo – la figura del padre per eccellenza – per Telemaco, ritornando a Itaca. La nostra società sembra proprio non volere ciò, il ritorno del padre, e di conseguenza non vuole neppure l’arrivo del figlio – le due cose procedono insieme. Questa è un’epoca depaternalizzata, che identifica il padre col patriarcato e lotta contro il primo tanto quanto contro il secondo, direi addirittura buttando via il padre con l’acqua sporca del patriarcato. La nostra è una realtà priva del padre in tutte le determinazioni che la tale figura può assumere – padre biologico, Patria e Padreterno. Tolto questo, però, non c’è più la legge. Resta unicamente il desiderio illimitato e ipertrofico. Esso è la cifra della civiltà dei consumi, di una società che sembra la notte dei proci, quella del desiderio senza legge. Di questi tempi, poi, neppure Telemaco sembra auspicare il ritorno del padre. Anzi, mi pare che, dal ’68 a oggi, si viva nella società del parricidio.
Una nota attrice, recentemente, ha rilasciato una dichiarazione, che ha suscitato non poco scalpore, sostenendo che sarà suo figlio, in futuro, a scegliere la sua identità sessuale. Da padre, diresti altrettanto per tua figlia?
In un libro che avevo scritto qualche anno fa, Il nuovo ordine erotico – Elogio dell’amore e della famiglia, chiarivo proprio come l’identità non sia qualcosa che si sceglie. Quando si parla di identità non valgono i principi del mondo delle merci e dei consumatori, con questi ultimi che scelgono se comprare Vodafone o Tim, l’iPhone o il Huawei. L’identità è qualcosa che ci portiamo appresso. Può essere naturale come quella sessuale, cioè l’essere maschio o femmina – direi che è, addirittura, cromosomica e prenatale. Similmente dicasi per l’essere nati in una determinata civiltà piuttosto che in un’altra: non è un fatto che dipende dalla propria scelta, ma una questione di appartenenza e cultura. Certo, poi, una parte della nostra identità la scegliamo, per esempio quella lavorativa che, in una determinata misura, è ciò che noi decidiamo di fare e di essere. Ma sull’identità sessuale sono categorico: già nella pancia della mamma, siamo maschi o femmine e lo siamo non per convenzione o per una decisione arbitraria del patriarcato. È biologia.
Sul “Corriere della Sera”, ho letto un’intervista alla nota cantante rap Madame. La giovane ha dichiarato che, a seconda del giorno, si sveglia sentendosi più o meno donna o uomo. A me, personalmente, è sembrato che più che uno, nessuno e centomila, nel suo caso si tratti di un problema psichiatrico. Tu come interpreti queste oscillazioni rispetto alla propria identità sessuale?
Il fatto è che queste non sono oscillazioni e non è neanche libertà. Si tratta semmai di capricci del consumatore dall’umore variabile. Oggi vengono chiamati diritti civili, ma non c’entrano nulla con essi. Questi sono casomai la libertà d’espressione, di pensiero, la necessità di avere giustizia, di essere tutti uguali di fronte alla legge. Svegliarsi oggi in un modo e domani in un altro è unicamente il frutto della civiltà dei diritti e desideri insaziabili, come li chiamo nel mio libro Difendere chi siamo – Le ragioni dell’identità italiana. La mia tesi è che se viene meno la figura del padre, cioè della Legge, resta solo il desiderio scomposto e incontenibile. A quel punto, esso tende a occupare il posto che in precedenza era occupato dalla Legge e così i desideri divengono imperativi. Ecco la cifra del nostro presente, per cui, ad esempio, se vuoi acquistare i bambini con l’utero in affitto, ciò deve diventare norma immediatamente, altrimenti siamo di fronte a una forma di discriminazione. Infatti, la lotta contro tutte le discriminazioni è l’ideologia del consumatore: dove non vede i propri desideri trasformati in diritti, si palesa una disparità da combattere.
Una delle tue acerrime avversarie dialettiche, Valentina Nappi, sostiene che non farebbe mai un figlio, dato l’eccesso di popolazione a livello mondiale. Tu cosa rispondi a questa tesi?
Che fa benissimo e condivido la sua scelta, se pensa davvero questo (ridiamo).
Ma, al di là della Nappi, cosa opponi a chi pensa così?
Il fatto è che un figlio non è una scelta di consumo, non si progetta come si fa per l’acquisto del nuovo modello di telefono. Il figlio è il frutto di una storia, di un amore fra due persone, quindi non è mai il semplice individuo in sé a sceglierlo come si fa per una merce. Il figlio è la storia di un incontro che matura nell’amore. Dire a priori di essere a favore o contro appiattisce la ricchezza di una simile esperienza entro la solita logica del consumo. Sennonché, certamente il problema della sovrappopolazione mondiale può essere di monito e indurci a non generare venti pargoli, ma portare a negarsi l’amore anche di uno mi pare pura follia.
Anche perché la complicazione non è data da chi fa un solo figlio, ma da quei paesi del Terzo Mondo in cui il numero di nati è altissimo rispetto al nostro.
Rovesciando la prospettiva, però, il fatto che in questi paesi, che chiamiamo del Terzo Mondo, si facciano tanti figli, come non avviene nell’opulento Occidente, è la prova che il nichilismo abita qui e non là, e che evidentemente quei popoli hanno aspettative di vita, di gioia e di speranza maggiori di quelle che possiamo nutrire noi.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Da ottobre, è nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.