Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

L’EDITORIALE – LA PERSECUZIONE DEL BRAVO CITTADINO E IL CRIMINALE A PIEDE LIBERO (di Matteo Fais)

Stavo lì, senza fare niente di che. Oh meglio, parlavo al telefono. Siamo di notte, nella mia via, in pieno centro. Un posto dove, grazie al cielo, di solito non capita mai niente – sfido io, si tratta di una zona morta, più o meno come la piccola borghesia che la abita.

Sono lì, in piedi in mezzo a una strada deserta. Non un’anima che una. Ho gli auricolari nell’orecchio e racconto al mio interlocutore della giornata appena trascorsa, discutendo di libri letti, film da guardare. A un certo punto, nel silenzio cimiteriale, si sentono le gomme di una macchina. Eccola che fa la curva. Mi passa davanti. È la polizia, una presenza a cui mi sono abituato sempre di più durante il lockdown e che, in passato, non avevo mai visto passare dalle mie parti.

Non indosso la mascherina, anche perché, parlando, altrimenti non riuscirei a respirare. L’auto si ferma a pochi metri da me. Le luci di arresto brillano nel buio con una strana intermittenza. Sembrano gli occhi di un essere diabolico di quelli che da bambini si aveva paura di veder comparire al fondo della stanza, durante la notte. Ce l’hanno con me, lo capisco subito. Prendo la mascherina dalla borsa e la indosso, pur evitando di coprirmi la bocca.

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Sento la macchina ruggire con il freno premuto. Rimango basito: stanno cercando di farmi paura. Il motore su di giri, le luci rosse, loro fermi là dentro, in mezzo alla via: per la prima volta da non so quando, un sottile timore mi attraversa. La situazione mi appare assurda. Voglio dire, sono tutto sommato una persona per bene – anche se mi rendo conto che non fa granché figo dirlo. Non mi drogo, non ho commerci illegali, non spaccio, non faccio il lenone, non vado in giro sbronzo a molestare la gente. Sono unicamente un uomo solo, sotto casa sua, che parla al telefono, alle dieci di notte. Perché la polizia è lì ferma? Li vedo fare retromarcia di qualche metro. Si fermano nuovamente. Indietreggio. Non so quanto ci abbiano messo, ma dopo un po’ sono ripartiti, senza mai scendere dalla vettura.

L’unica cosa a cui sono riuscito a pensare è che ormai viviamo in uno Stato concentrazionario, in cui non posso neppure girare senza mascherina in una via deserta facendomi i fatti miei. Appena pochi mesi fa, sempre nella mia zona – ancora più deserta, se possibile –, si sentiva il suono inquietante degli elicotteri che la sorvolavano avanti e indietro. Troppe sinistre coincidenze per non pensare a una situazione che, potenzialmente, potrebbe divenire pericolosa.

Intanto, mentre io vengo squadrato dalla volante, neanche fossi un criminale fuggito dagli arresti domiciliari, in città gli spacciatori continuano ad agire indisturbati. Sui viali di periferia, poi, le ragazze di colore arrivano a frotte per guadagnare i soldi con cui estinguere il debito contratto con la mafia nigeriana. Ovviamente, in quei casi, nessuno fa niente. Tutti chiudono un occhio, fanno finta di non sapere, passano oltre.

In compenso, nella mia città, dove vige l’obbligo di sospendere la vendita di alcolici da asporto dopo le ventidue, il Sindaco – che, amaramente, devo confessare, ho votato anch’io – ha chiuso un’attività per ripetuta violazione dell’ordinanza. Poco più avanti, in compenso, prostitute, magnacci e pusher continuavano indisturbati le loro attività, sotto la luce algida dei lampioni. Non c’è altro da aggiungere. Questa è l’Italia.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Da ottobre, è nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. .

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