Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

DIALOGO SU T.J. KACZYNSKI CON EMMANUELE PILIA (di Matteo Fais)

Difficile dire cosa sarà in futuro del pensiero espresso da Theodore John Kaczynski. All’orizzonte non si intravede un serio movimento, con una vasta base, che faccia propri i suoi insegnamenti. 

C’è da dire che gli antisistema sembrano, per così dire, avere una propria consolidata fetta di mercato, per quanto sia difficilissimo capire se tutta questa inquietudine ideologica costituisca poi un fronte comune o si limiti ad essere una nebulosa di satelliti che non si unirà mai in una causa unica – quale, ad esempio, quella di abbattere il sistema tanto vituperato da ognuno, per i più disparati motivi. Del resto, tra questi, corrono notevoli, per non dire inconciliabili, differenze.

Certamente il noto Unabomber, rispetto a tanti altri maître à penser, ha quantomeno qualcosa da dire che effettivamente scuote gli animi, almeno per certe sue analisi del mondo contemporaneo.

Fatto salvo che corre una notevole differenza tra capire cosa non quadra intorno a noi, per cercare di cambiarlo, e auspicare la rivoluzione, con annessa distruzione dalle fondamenta dello stato di cose presenti, l’interesse resta ed è condiviso da un vasto spettro di antagonisti, dal Houellebecq di Annientare, che immagina un gruppo terroristico ispirato a Kaczynski, fino all’oscuro mondo conservatore che, da sempre, guarda al pensatore in questione come a un punto di riferimento.

C’è poi un altro approccio alla filosofia dell’uomo del Montana, portata avanti dalla sfera anarchica e, genericamente, più orientata a Sinistra. Un esempio è l’amico Emmanuele J. Pilia, con cui abbiamo voluto pertanto, partendo dalla sua traduzione di La società industriale e il suo futuro (D Editore), proseguire la discussione su Kaczynski, fino al punto in cui le nostre strade, inevitabilmente, hanno dovuto dividersi: noi non ci sentiamo più di appoggiarne metodi e posizioni, mentre lui ne rivendica la giustezza.

Qui, di seguito, il nostro lungo scambio epistolare.

MATTEO FAIS: Suppongo che entrambi si convenga sul fatto che il Manifesto contiene anche dei vertici stilistici – o più che altro delle strategie comunicative – non indifferenti, almeno in certi punti, soprattutto nei primi capitoli. Si tratta di passaggi che ben dispongono il lettore a entrare in empatia con l’autore – e, infatti, Kaczynski continua a essere ampiamente letto, pur con tutte le accuse che pesano sul suo conto. Penso, per esempio, al famoso “La rivoluzione industriale e le sue conseguenze sono state disastrose per la razza umana”, o a “Quasi chiunque sarà d’accordo nel riconoscere che viviamo in una società profondamente turbata”. Mi verrebbe da dire “come dargli torto”. Si tratta, volgarmente, di affermazioni generaliste in cui potrebbe ritrovarsi qualsiasi persona che viva una qualche forma di malcontento esistenziale. Se, poi, ci si ferma a riflettere, però, ci si potrebbe chiedere se sia mai esistita, tanto per dire, una società che non fosse “profondamente turbata”, come ne si possa essere sicuri e se l’autore non sia caduto vittima della tipica tendenza all’idealizzazione del passato. Tu che ne pensi?

EMMANUELE J. PILIA: Sono d’accordo, Kaczynski è stato un autore sempre molto attento allo stile e all’uso delle parole, tanto quanto all’utilizzo dei media, conscio di come funziona la comunicazione, della cura da riservare alle sfumature e all’animo umano. Certamente, l’idealizzazione del passato è sempre stata una strategia retorica usata da molti autori, ma è lo stesso Kaczynski a metterci in guardia in merito. Volendo, si tratta di una costante umana: il fascismo si rifaceva alla romanità, il nazismo a un’ipotetica Età dell’Oro, il romanticismo al Medioevo, e così via. Ma questa idealizzazione non mi sembra appartenere a Kaczynski, quanto più al discorso su Kaczynski. Il “tornare alla scimmia” che gli viene imputato è invece il prodotto della rilettura di Zerzan, sulle pagine di Green Anarchism, punto su cui i due ebbero a discutere e non poco. In realtà, Kaczynski è per certi versi addirittura transumanista: lui ci chiede di riprendere in mano il nostro destino, il processo di evoluzione dell’umanità deve essere impugnato dall’umano, non dal grande capitale. Fa degli esempi legati al passato, ma poi ci suggerisce di guardare al futuro…

M.F: A dir l’onesta verità molte volte fa riferimento alle “società primitive”, come al “pioniere del XIX secolo” il quale sente che “il cambiamento fosse opera sua” in contrapposizione a “l’essere umano moderno” con “la sensazione […] che il cambiamento gli sia imposto”. Quello che francamente mi salta all’occhio, alla stregua di un chiodo contenuto in un pacco bomba, pur condividendo in parte queste riflessioni, è come la stessa persona che denuncia giustamente tutte le imposizioni surrettizie del mondo moderno, poi, parli di far crollare violentemente il sistema e imporre la propria visione. Penso, per esempio a passi quali “un movimento che difende la natura e che si oppone alla tecnologia deve assumere una posizione decisamente anti-liberale ed evitare ogni collaborazione coi liberali. Il liberalismo è alla lunga in contraddizione con la natura selvaggia, con la libertà umana e con l’eliminazione della tecnologia moderna”. Questi trovano ulteriore e ancora più aberrante conferma anche altrove:  “Ma se anche la maggior parte delle persone fosse soddisfatta dalla società tecnologico-industriale, noi (Freedom Club) gli siamo ostili…”. Io non vedo una grande differenza con il solito pensiero da regime totalitario, secondo cui l’uomo non è libero di autodeterminarsi e, quando lo fa, comunque, non può prendere la decisione giusta, dunque bisogna imporgliela manu militari. Attenzione, non sto dicendo che la violenza non possa essere sacrosanta. Lo è se la maggioranza è schiava di una minoranza che la soggioga con la forza. Ma qui, lui sta parlando di far valere il potere di una presunta élite autoproclamatasi che ha deciso di imporsi sulla volontà generale, giusta o meno che sia. Secondo te, sto sbagliando nella mia interpretazione?

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E.J.P: Andando con ordine, in merito alla società primitiva, come dicevo prima, lui non crede a un’età dell’oro. Anzi, ce lo ricorda chiaramente che le civiltà primitive non erano perfette. Anche sulla questione del cambiamento, lui intende la faccenda più come impotenza dell’umano moderno che in termini di “si stava meglio prima”. Sul secondo punto, c’è da dire che spesso sembra suggerire “se ciò che propongo non funziona, sperimentate”. Non lo vedo molto dogmatico, in questo senso. Inoltre, più che totalitario, lui è individualista-volontarista, inserendo la sua riflessione in un frame che è simile a quello iscritto nel quadro del lavoro di Proudhon. Il mondo a cui Kaczynski aspira non ha governi, o per lo meno non ha governi in cui si è costretti a vivere: il contrario del totalitarismo. Se ci pensi, l’ideologia liberale è oggi totalitarista, perché si spinge ad abbracciare la totalità del globo. Non è un caso che per molti anni, attorno alla fine del millennio, si è parlato con particolare insistenza di “Fine della storia”. Francis Fukuyama, che al tempo aveva un’influenza sul mondo enorme, ha esplicitamente detto che la Storia, quella con la S maiuscola, era finita proprio perché la democrazia liberale – che in realtà nella sua descrizione era una tecnocrazia di colti, in cui il voto era in parte controbilanciato dalla “tecnica” – aveva vinto e niente sarebbe potuto più accadere. Se non è questo un mondo totalitario! Credo che il punto di K. sia più l’analisi della società e l’individuazione del “nemico” – se mi permetti l’espressione. Questa è proprio l’illusione che non ci sia alternativa. Lui ne pone una, che ovviamente è un suo credo, ossia la vita selvaggia e le comunità volontarie. Ma egli stesso ammette che non è strada percorribile…

M.F: Non me la sentirei, da liberale NON DI SINISTRA – lasciamelo precisare, visto che hai scelto di tradurre Leftism con Liberalismo -, di classificare il Liberalismo come un regime totalitario e meno che mai quello di stampo thatcheriano a cui fai riferimento tu. Sul wokism, con le sue manifestazioni quali la cancel culture, invece, potrei anche concordare in larga misura. Infatti dissento rispetto alla tua scelta nella trasposizione del termine, perché certe frasi del Manifesto suonano insensate adesso, come questa: “Il liberale è partigiano di un collettivismo su larga scala. Insiste sul dovere dell’individuo di servire la società e sul dovere della società di prendersi cura dell’individuo. Ha un atteggiamento di rifiuto nei confronti dell’individualismo e spesso assume un tono moralistico”. Questa è la descrizione perfetta dell’Uomo di Sinistra – progressista o meno. Un liberale, come me, è l’esatto opposto di tale ritratto. Naturalmente, poi, il Liberalismo di Destra ha milioni di difetti, ma continuo a ritenere che there’s no alternative, a meno che non si parli di oscuri sogni a occhi aperti. Tutte le altre opzioni si sono rivelate un misero fallimento. Ma il punto su cui vorrei interrogarti è un altro. Ted imputa, per esempio a Ellul, l’ingenuità di auspicare una rivoluzione “che dovrebbe derivare da una trasformazione spirituale spontanea”. Mi sembra che senza questo aspetto non si vada da nessuna parte realmente. O meglio, si torna sempre a un leader o Führer che si arroga il dovere di guidare un gregge di pecore, ritenendolo incapace di scegliere ciò che è meglio per sé. Ma siamo sicuri che K. non sia vittima di questa vanagloriosa, oltre che patetica, tendenza tipica di tutto il pensiero occidentale, dal filosofo che deve scendere nella caverna a quello che vorrebbe spiegare agli altri che sono alienati, a voler risvegliare il popolo obnubilato o dormiente? Siamo certi che a essere alienato non sia il presunto pensatore che si crede portatore di una verità superiore? Possiamo davvero credere che tutti siano vittime della propaganda e dell’intrattenimento di cui lui parla, invece che essere lieti in questa loro pigrizia intellettuale, felicissimi di vedere uno spettacolo che sia pura finzione? Insomma, avrebbe davvero senso la rivoluzione sognata da Ted, se non dovuta alla volontà popolare autonomamente formatasi?

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E.J.P: Non esistono liberali di sinistra! La filosofia liberale è assolutamente, irriducibilmente di destra, anche se considerassimo l’idea per cui la Sinistra propende verso una maggiore redistribuzione delle risorse e la Destra a una maggiore concentrazione. Non c’è dubbio che Kaczynski, in questo, sia di “sinistra”. Leftism, nel suo – ma non solo – gergo, equivale proprio all’uso che in Italia facciamo di liberale. In USA, il leftist è colui che vota il Partito Democratico, che si illude di fare il bene dei molti, ma in realtà usa il proprio voto come catarsi per mondare la coscienza, e poco più. Tante parole, pochi fatti. Il progressista da salotto, il radical chic, il veltroniano. Poco ha a che fare con “l’uomo di sinistra”, come viene tradotto in altre edizioni. Poi, non so, tu dici che non ci sono alternative: esattamente a cosa? Se mi descrivi qual è l’alternativa del liberalismo (di destra o di sinistra cambia poco: due vestiti per lo stesso corpo), ti rispondo volentieri. Il fatto è che l’ideologia alla base del liberalismo, che è totalitaria, prevede una visione dell’umano come un gretto individualista concentrato unicamente sui propri bisogni e null’altro. Cosa che l’essere umano non è, altrimenti non ci spiegheremmo martiri, santi e sante, e persone comuni che banalmente aiutano il prossimo. No, l‘ideologia liberale è frutto di un pensiero malato, ai limiti della psicopatia, uno scam ideologico pericolosissimo da cui sono nate solo cose orribili: lo schiavismo, il sionismo, il fascismo (che poi coincidono). Mi parli di opzioni: dove sono? Quando ci sono state? Indicamele, per piacere. Io non ne ho viste, finora. Ciò che ho visto è stato un diverso grado di potere. Per il resto, poco altro. Forse la Cina può essere presa come esempio, ma anche lì: capitalismo di Stato vs capitalismo privato? Questa è la scelta che mi si para davanti? La realtà è che finché l’opzione è tra un fascismo nero e uno rosé, l’unica alternativa è la lotta. Sarò un sognatore, ma meglio sognare un futuro felice che uno distopico, no? Riguardo la questione di Ted, su cui vedo che ritorni, non riesco a vedere come lui si ponga come leader in alcun modo. Nelle lettere e negli scritti, lo precisa spesso e rifiuta categoricamente questo ruolo. Tanto è vero che va a vivere da solo, si ritira, agisce in autonomia. E il discorso che poni varrebbe così per qualunque ideologia. La differenza è che nel liberalismo non c’è scelta di vivere in modo autonomo, ma solo un’eterna concessione, un monumento continuo all’involontarietà, allo scambio, come nella società Ferengi di Star Trek: un’eterna e meschina contrattazione monetaria, dove alcuno sforzo è perpetuato se non per una ricompensa che deve essere misurabile, calcolabile, esatta… Ovviamente quella di Ted è una strada, ma non è la sola. Il libro è stato progettato con un’intenzione chiara: strappare il suo pensiero dal putridume destroide, in cui era finito in Italia, ed esaltare uno degli aspetti che più lo rende pragmaticamente affascinante: il recupero dell’uso della violenza come strumento politico dal basso.

M.F: Personalmente e senza offesa, ritengo questa posizione quanto di più qualunquista possa esserci – non che tu sia solo su quel fronte, sia chiaro. Accomunare Sinistra e Destra sotto l’etichetta del liberalismo è un comodo escamotage, è la notte in cui tutte le vacche sono nere. Come se non ci fossero differenze sostanziali tra la politica di Trump e quella di Biden, del PD o di Fratelli d’Italia! Mi pare francamente un po’ eccessivo. Lo stesso Kaczynski, parlando di Leftism, li accusa esplicitamente di collettivismo, di essere contro l’individualismo – mi è oscuro quale uomo di Destra liberale lo sia. Ripeto, questi sono dati – si può far finta che non esistano, ma continueranno a sussistere. E, nel Manifesto, non c’è traccia di riferimenti a una Destra liberale di un qualunque paese. Gli unici imputati sono il sistema tecnologico e la Sinistra progressista, quella del politicamente corretto e, oggi, del wokism. Per il resto, faccio notare di sfuggita che tutti i diritti guadagnati sono stati introdotti sotto regimi liberali. Sfido chiunque a provarmi il contrario. Che poi vadano perfezionati è vero, ma vorrei sapere dove – nel mondo reale, non nella fantasia – si stia meglio. Detto ciò, mi resta un dubbio madornale sul caso Kaczynski, di fronte a cui sento vacillare tutto il valore delle sue riflessioni. Tu ricorderai bene il passo in cui sostiene che, se il suo testo avrà una qualche circolazione e susciterà clamore, è solo perché prima ha ucciso, sollevando un caso intorno alla sua persona. In alternativa, pure se il suo lavoro avesse trovato un editore, l’impatto sarebbe stato minimo, perché è “impossibile che gli scritti divulgati da singoli individui o da gruppi ristretti abbiano una qualunque influenza sulla società”. Premesso che, a guardare in giro, non mi pare che l’eco del suo pensiero abbia fatto breccia nel cuore delle masse, malgrado gli attentati; mi domando che senso abbia usare una simile bassa strategia per farsi notare? Perché, diciamocelo chiaro e tondo, la violenza come il sesso sono mezzi non esattamente nobili da associare al proprio pensiero per veicolarlo. Se le persone, pur avendo la libertà di stampa, non sanno che farsene e non ne vogliono fruire, a che pro spendersi per cambiare la loro vita? In estrema sintesi, mi permetterei di dire che il nostro amato Ted se la canta e se la suona in totale autonomia, senza curarsi che la platea voglia stare lì seduta ad ascoltarlo. Tu come risolvi questo problema sul piano etico?

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E.J.P: Perdonami Matteo, ma mischi davvero molta roba: non posso semplicemente rispondere senza aprire pagine e pagine di discussione. Per questo, sono tranchant: liberale è di destra. Quando Kaczynski parla di individualismo si rifà a Proudhon, non a Tucker. E questo è facile capirlo perché il suo riferimento principale sulla questione etica è Ellul. Sulla questione Destra e Sinistra, l’unica differenza tra Trump e Biden è il vestito con cui ognuno decora le proprie decisioni economiche, ma entrambi sono strumenti di un sistema che infatti li finanzia, così come PD e FDI. Tra i due preferisco i democratici, ma soltanto per gli attacchi continui alle minoranze – non scordiamoci, però, che il PD ha avuto figure discutibili come Renzi e Minniti, che insomma… Alla seconda parte della domanda, rispondo invece dicendo: perché la violenza e il sesso sarebbero strumenti bassi? Io li trovo entrambi nobili. La motivazione è, invero, ciò che oggettiva la bassezza o altezza dello strumento. Se uso violenza per massacrare innocenti, sono degno del più basso dei gironi infernali, se la uso per liberare lo stesso popolo, invece… Non scordiamoci che la differenza tra terrorista e partigiano la fa solo la percezione di chi guarda. Gli stessi partigiani italiani erano descritti come terroristi dai fascisti. È tutto questione di prospettiva!

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).

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