GINO CECCHETTIN, LA CRITICA E LA LIBERTÀ D’ESPRESSIONE (di Matteo Fais)
Il caso, oramai già ossessionante, di Giulia Cechettin e la sua strana – come la definiscono molti utenti – famiglia è interessante per un unico motivo: non le discussioni sul patriarcato e il femminicidio – palesemente delle cazzate –, ma per la questione che solleva rispetto alla libertà di espressione.
Naturalmente, è giusto e sacrosanto poter metter becco su ogni faccenda di questo mondo, fintanto che si è in possesso anche di una minima preparazione sulla materia in questione. Per esempio, è lecito per un medico, se ha fatto delle ricerche, contestare un vaccino o, sempre con la consapevolezza che dovrebbe caratterizzare un uomo di scienza, mettere in dubbio l’immediatezza con cui questo è stato creato. Ma anche un comune cittadino, dotato di una sana dose di senso civico, può far notare l’ingiustizia, entro un regime liberale, di dover esibire un pass vaccinale a emeriti sconosciuti, dichiarando la propria condizione sanitaria.
Cionondimeno, libertà d’espressione non vuol dire libertà di insulto, insinuazione e diffamazione. Se il vostro vicino di casa ha uno sguardo truce e poco raccomandabile, non potete imputargli, al bar, gli ultimi furti di auto avvenuti nel quartiere, a meno che non abbiate delle prove a suo carico – nel qual caso, meglio che andiate in Questura a denunciare.
Similmente, molte delle cose dette sulla famiglia Cecchettin non rientrano nel novero della mera espressione delle proprie convinzioni. Certo, secondo una determinata antropologia, specie quella dei terroni, dopo un lutto, bisognerebbe chiudersi in casa e smettere di vivere. Alcuni, semplicemente, la pensano così. Affari loro! I comizi politici di Gino ed Elena sono assolutamente fastidiosi e facilmente non condivisibili. Poterli contestare è sacrosanto.
Ben altra faccenda sono le insinuazioni quali quelle secondo cui Giulia non sarebbe mai stata uccisa, che la bara vista al funerale era troppo grande per una ragazza della sua altezza o che Elena sarebbe una satanista e avrebbe messo in atto un rituale per muovere Filippo Turetta ad uccidere la sorella, e altre cazzate simili. Se si può anche tollerare che vecchi tweet del padre vengano ripresi per sottolineare come sia poco adatto a fare da mascotte alla lotta contro il patriarcato – per quanto si tratti di smargiassate un po’ patetiche e niente più –, tutto il resto è inammissibile.
Se Gino Cecchettin denuncerà certi hater – e speriamo vinca le cause –, ci sarà solo da gioire. La gente deve capire che uno spazio social e un account fake – cosa inammissibile questo celare la propria identità – non possono diventare il modo per sparlare impunemente sul conto delle persone con cui hanno dei dissapori, o un’immotivata antipatia, senza neppure conoscerli.
La libertà di espressione esiste solo se c’è una responsabilità per ciò che viene asserito pubblicamente, cioè se il singolo ha diritto a essere tutelato per ciò che gli altri possono dire di falso sul suo conto.
Siamo giunti a un punto in cui è assurdo che Facebook e gli altri social non chiedano una registrazione per fare parte della loro comunità web. Ogni utente deve assumersi l’onere di ciò che dice, soprattutto quando di mezzo c’è la reputazione di un onesto cittadino. Tutti gli altri, possono tranquillamente esternare le proprie elucubrazioni alla moglie, durante la cena.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).
Le offese e le insinuazioni sono sempre detestabili però questa storia degli haters non mi convince. Viceversa, sento una gran voglia di censura. Internet, con la sua multidirezionale possibilità di espressione , dà molto fastidio a chi è allergico alla libertà.
Cecchettin non lo conosco , mi dispiace ovviamente per quello che è successo ma non mi convince
Sono d’accordo. Per lo stesso motivo mi aspetterei che anche i genitori di Filippo querelassero coloro – psicologhe e criminologhe da TV – che attribuiscono al figlio un disturbo della personalità piuttosto che un altro senza nemmeno averlo visitato una volta.
Io penso che molti siano gli attori che partecipano alla ” pornografia” del dolore. La gente comune,i politici,gli intellettuali,i giornalisti( cartacea e tv) le vittime e/o i parenti delle vittime.
Superata una certa misura l’informazione diventa ” oscena”. Osceno è il dolore che viene rappresentato e osceni sono gli attori che vi partecipano.Nessuno è innocente,soprattutto la vittima o i parenti della vittima. Fine