Il Detonatore

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“LA MIA BIBLIOTECA È LA MIA AUTOBIOGRAFIA”: SANDRO GERBI, UN PROTAGONISTA DELLA STORIA CHE RACCONTA UN DESTINO (di Melania Acerbi)

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Lo scorso gennaio, la casa editrice Hoepli ha dato alle stampe l’ultimo libro del giornalista e studioso di Storia Contemporanea Sandro Gerbi (Lima, 1943) dal titolo Il selvaggio dell’Orinoco – sulle orme del padre. Un testo a carattere autobiografico, in cui il poliedrico autore ripercorre, con l’ausilio dei carteggi del padre Antonello, il “lento moto delle combinazioni e vicissitudini umane” che lo ha portato proprio sulle tracce della sua figura, come trascinato dal fluire irresistibile di un destino in apparenza già assegnato.

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Sandro Gerbi, Il selvaggio dell’Orinoco – Sulle orme del padre, Hoepli.

A Lima, in Perù, dal 1938, presto raggiunto dall’amata Herma Shimmerling, Antonello (Firenze, 1904 – Civenna, 1976), di famiglia ebraica, aveva trovato impiego presso una banca peruviana controllata dalla Comit (Banca Commerciale Italiana, della quale era stato capo dell’ufficio studi a Milano) grazie all’intervento dell’amico Raffaele Mattioli, fondatore insieme a Enrico Cuccia di Mediobanca. Due anni dopo (1940), il nonno Edmo Gerbi raggiungerà il primogenito Antonello: morirà all’ospedale italiano di Lima nel 1944, lontano da casa, dal Vecchio Mondo. Gli ultimi giorni di vita di Edmo sono descritti nel dettaglio in un’intima lettera, che fa da apertura al libro, spedita da Antonello ai due fratelli (zii di Sandro) residenti negli Stati Uniti, anch’essi in fuga come il resto della famiglia dalle Leggi Razziali Italiane

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Nel decennale esilio peruviano, Herma e Antonello avranno due bambini, Daniele e Sandro: sono loro i “selvaggi dell’Orinoco”, appellativo affettuoso affibbiato ai due piccoli monelli dallo zio Alessandro Levi, filosofo del Diritto. 

Il volume si presenta sin dall’inizio dinamico e commovente, impossibile da allontanare dagli occhi prima di aver girato l’ultima pagina. La prosa di Gerbi, poi, è schietta e impeccabile, il suo tocco è elegante: l’arte del maneggiare la penna con divina maestria dev’essere un dono di famiglia, non può essere altrimenti. Come il padre Antonello – tra i più brillanti storici italiani del secolo scorso -, anche Sandro si è mostrato e ancora si mostra “accademico di nulla accademia”, per dirla con il suo collega studioso Raffaele Liucci. 

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Quello di Sandro è, infatti, un curriculum decisamente poco ortodosso, come lui stesso più volte ammette nel corso del libro: una laurea ottenuta senza entusiasmo in Giurisprudenza nel ’67; un lavoro in ambito finanziario necessario, sì, ma non troppo amato; l’essersi ritrovato, quasi per caso, a dover revisionare, per una nuova edizione, la fondamentale opera del padre (i Gerbi hanno origini toscane) La Disputa del Nuovo Mondo: storia di una polemica, 1750-1900, un volume assai impegnativo e fitto di note da verificare. 

Per Sandro, quasi quarantenne, si chiude così l’epoca del giornalismo finanziario e si apre quella dedicata allo studio della storia e alla cura dei monumentali lavori del genitore: “Galeotti erano stati da un lato la revisione della Disputa, dall’altro il fascino polveroso di archivi e documenti, da cui rimasi contagiato per sempre”. 

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Di lì a poco, Sandro s’immergerà nella biblioteca paterna, un deposito di migliaia di volumi che il proprietario aveva custodito gelosamente e catalogato con zelo. Ecco, a seguire, alcune splendide riflessioni di Antonello sulla sua collezione di libri e sulla sua implacabile sete di conoscenza, riportate fedelmente dal figlio: “Ma in quei cinquanta metri [lineari] ci sta tutta la strada che ho fatto e tutte le strade che ho voluto fare; ci son segnati tutti i ruzzoloni e le voltate per tornare indietro fino al bivio, e le soste sui paracarri, e le ansie mattutine, e i passi strascicati della sera, e le immobili disperazioni della mezzanotte. Le linee parallele degli scaffali mascherano un groviglio di itinerari. La mia biblioteca è la mia autobiografia”. Ancora, continua, citando da un dattiloscritto degli anni ’30: “Ecco il senso ultimo, forse, di quest’affanno di sapere: la fiducia nella morte”. 

Il testo è ricco di mille altre storie che si confondono in un intreccio di due vite, quella di un padre e quella di un figlio, senza che nessuna delle due figure contrasti l’altra o vi si sovrapponga. Il comune amore per la storia e l’esigenza di non essere né “un puro studioso”, né un “mero impiegato” sono, forse, le componenti strutturali di questi due eccellenti autori legati dal sangue, di questi impareggiabili “filosofi domati”.

P.S:

Da segnalare, infine, sono gli altri testi di Sandro Gerbi: La voce d’oro di Mussolini (Neri Pozza, 2021), Mattioli e Cuccia. Due banchieri del Novecento (Einaudi, 2011), Tempi di malafede (Einaudi, 1° ed. 1999; Hoepli, 2° ed. 2012), Indro Montanelli (con Raffaele Liucci, Hoepli, 2° ed. 2014), I Cosattini. Una famiglia antifascista di Udine (Hoepli, 2016), Ebrei Riluttanti (Hoepli, 2019), Raffaele Mattioli e il filosofo domato (Einaudi, 1° ed. 2002; Hoepli, 2° ed. 2017).

Melania Acerbi

L’AUTRICE

Melania Acerbi è nata a Pistoia, il primo di settembre del 1993. Storica dell’età moderna, laureata a Firenze. I suoi studi si concentrano sull’impatto del Nuovo mondo su quello Vecchio, sulla storia della cultura, delle idee e dei viaggi per mare. Fonda nel 2017, insieme a Piero Manetti e al professor Igor Melani, il Seminario Permanente di Storia Moderna che si tiene ogni anno al Polo di Storia dell’Università degli studi di Firenze (e in diretta streaming). 

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