Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

MA VADA A FARSI F… FRIGGERE ANCHE IL SALONE DEL LIBRO (di Davide Cavaliere)

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Al termine di ogni Salone del Libro di Torino dico che non ci andrò mai più, per poi tornarci puntualmente l’anno successivo, perché il Salone è come Sanremo, lo si odia ma non se ne può fare a meno. Il Salone, come fanno notare i suoi critici, è un tempio del radicalchicchismo militante, eppure vi accorrono in massa anche le case editrici di «destra», dopotutto sarà pure «radical» ma è pur sempre «chic».

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Negli ultimi anni si è riempito di manga e altre «giappominchiate», dunque alla consueta fauna di vecchie sessantottine coi capelli grigi, il cui dress code prevede solo abiti acquistati in botteghe «equo solidali», e uomini in camicia a quadri e sandali birkenstock (quest’anno assenti a causa dell’abbondante pioggia), si sono aggiunti cosplayer e altri alienati.

Il Salone è un gigantesco Mondadori store, pieno di roba inutile che è comunque più interessante della maggior parte dei libri pubblicati negli ultimi anni, un Castello kafkiano suddiviso in sale colorate piene di carne umana ambulante. Ogni anno si propone un tema che contenga tutto e niente. Questa volta è «attraverso lo specchio», così da poter giustificare ogni volo pindarico degli autori interpellati (sempre gli stessi). 

Il visitatore si muove tra simposi e interviste surreali, che vanno dalla fluidità di genere alla semiotica del romanzo rosa, fino alla lotta delle donne nere nelle favelas brasiliane. Se uno si avvicina a un qualche incontro, pur stando ad ascoltare, non capisce mai di che cosa si stia parlando. Al bordo dei padiglioni si trovano adolescenti seduti per terra come i cani, soggetti vari vinti dalla stanchezza e un autore di second’ordine abbandonato su un tavolino con l’indicazione «firmacopie».

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Cerco una casa editrice e non la trovo. Per orientarsi sarebbe necessaria una mappa, ma ne hanno stampate solo venti, dunque mi vedo costretto a scaricarla in PDF sul telefonino. Provo a chiedere a due addetti. La risposta è la seguente: «ahó, nun te lo so di’». Siamo a Torino, ma l’accento prevalente è quello romano. Girovagando come un dannato dantesco, m’imbatto nel faccione barbuto di Karl Marx. Si tratta di una stampa esposta presso lo stand di una semisconosciuta casa editrice comunista (ma i radical chic non erano tutti neoliberali?).

I grandi editori sono concentrati nella sezione detta «oval». Nel raggiungerla, facendomi strada tra una fiumana di coppiette intelligenti e fintocolte, mi vedo venire incontro la sagoma di Vittorino Andreoli, sempre più somigliante a Gene Wilder in Frankenstein Junior. Mi è andata bene, l’anno precedente mi sono trovato a urinare accanto a uno gnomo rossiccio: Pippo Civati. Gli stand delle grandi case editrici sono tutti uguali: grandi pareti in compensato e cartongesso, design zen, affollatissimi di finti lettori e libri inutili – si salva solo Adelphi, funestata però dai fan di Carlo Rovelli e Oliver Sacks.

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Tutti quei conformisti, col telefonino sollevato a riprendere qualcosa o qualcuno, intenti a costruire la loro immagine social di lettori accaniti, mi provocano un forte senso di nausea. Mi sento circondato da cloni. La folla mi schiaccia contro lo stand del settimanale Robinson di Repubblica. Mi trovo assediato da uomini che si sentono moralmente superiori perché ogni settimana leggono un articolo di Nicola Lagioia o Francesco Piccolo. La voglia di fuggire si fa irrefrenabile.

Nell’uscire dal Salone, sgomitando e sudando, incrocio lo sguardo di un cane: gli occhi strabuzzati e la lingua pendula. La padrona, una quarantenne con una frangetta da consumatrice di ketamina, tiene sottobraccio un libro di Veronica Raimo. La bestiola mi fissa atterrita. Capisco che il Salone non è un luogo per lettori e nemmeno per cani.

Davide Cavaliere

L’AUTORE 

DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.

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