Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

LO SCRITTORE VA A P… PERIPATETICHE – “BLACK TULIPS” DI VITALIANO TREVISAN (di Matteo Fais)

Meglio lasciar perdere le domande generali, quasi metafisiche – e quindi irrisolvibili –, come “Perché gli uomini vanno a puttane?”. Tanto, al di là delle risposte che si possono dare, da sempre gli uomini frequentano le troie e, fino a che il mondo durerà, continueranno ad andarci – il vero problema è, casomai, quando cercano non con i soldi, ma con la violenza, di rendere tale una donna.

Molto più interessante sarebbe stabilire perché uno scrittore trovi quasi romantico accompagnarsi a una donna a pagamento, ancora di più se negra e raccattata per strada. Il fascino delle povere ragazze che fanno le mignotte è più o meno lo stesso che un umanista prova al cospetto di una gigantesca biblioteca. L’uomo di lettere – il più grande degli ingenui –, di fronte a tante storie messe l’una accanto all’altra, si dice “Da qualche parte, qua in mezzo, vi dovrà pur essere la Verità, una nuova Rivelazione, il Verbo che era in Principio, la Ragione di Tutto, l’Anello che non tiene, il Segreto del nostro Esistere ed essere Uomini”. Il catalogo umano che la puttana possiede – senza rendersene realmente conto, dal punto di vista dello scrittore – è come quello che Balzac sciorina nella Commedia Umana, il vero inferno dantesco.

Perciò non sorprende che Vitaliano Trevisan, prima di morire gloriosamente suicida – non è una cattiveria, ogni vero scrittore invidia il coraggio di un collega morto per mano propria –, abbia vergato uno scritto-confessione, Black Tulips (Einaudi), sul suo morboso – molto ben nascosto – e compulsivo – encomiabilmente celato – andare a ragazze di vita. Ragazze negre, of course, perché quella fragilità da tulipani neri – lo sono molto meno di quanto sembrino – non può non fare presa sul cuore di un autore – che, per quanto stronzo, distaccato e scostante, è pur sempre un dannato animo sensibile, un egoista che non può accettare l’indole disumana che condivide col resto dell’umanità.

Vitaliano Trevisan, Black Tulips, Einaudi.

La prima cosa da dire su Black Tulips, a ogni modo, è che non si tratta di un vero e proprio romanzo, neppure di un reportage e nemmeno di un diario, ma di uno di quei testi che si pongono alla fine della narrativa, insomma, lì dove il romanzo è morto. Non ci sono grandi avventure, meno che mai intreccio. C’è semplicemente uno scrittore che, in illo tempore, faceva dei lavori di merda ed era rimasto in contatto con una prostituta nigeriana, poi rimpatriata, così va a trovarla, cercando di mettere in piedi “un traffico di parti di ricambio (usate) per auto (ancora più usate), tra l’Italia e la Nigeria” – ah, che bello, finalmente un po’ di bieca concretezza!

Praticamente, per farla breve, si tratta di un viaggio a Lagos e paesi e città limitrofe, con questa ex prostituta rimpatriata, la quale lo invitava sempre, già quando la conobbe, a vedere con i suoi occhi la realtà da lei vissuta in Nigeria, per comprenderla fino in fondo (nel suo inglese “U must c with your own eyes”) – in effetti, un altro aspetto positivo delle ragazze di strada, e di chiunque abbia più esperienza di vita di uno scrittore, è ricordargli che la realtà che si racconta va sempre in qualche modo sperimentata in prima persona.

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Ciò che in qualche modo fa la differenza in questo non-romanzo sono gli interventi e le divagazioni di Trevisan (“E siccome scopare, anche in una società non religiosa e a-spirituale come la nostra, resta pur sempre un peccato, ecco che l’amore romantico offre a chiunque una dignitosa via d’uscita”). Attenzione, non si tratta di niente di speciale – niente che chiunque non sia un po’ puttana nella vita non sappia –, ma fa sempre bene rileggere l’ovvio – ciò che, per noi, lo è.

Poi, insomma, l’autore vicentino non si può dire che manchi di fegato. Oramai, ammettere di essere un puttaniere è come dichiararsi un serial killer, ma lui se ne fotte che è una meraviglia: “In ogni caso, scopare o non scopare, per la legge, e, a giudicare dagli sguardi dei vicini quando mi vedevano accompagnato da una delle mie morose, anche per il cosiddetto senso comune, e, molto probabilmente, anche per qualcuno che sta leggendo, ero, anzi sono senz’altro un lenone, o pappone, o protettore, o magnaccia eccetera, cioè uno che, se anche non sfrutta direttamente, sicuramente favorisce il cosiddetto sfruttamento della prostituzione”.

Tra parentesi, anzi a tutta pagina, dice pure che queste ragazze sanno bene cosa le aspetta qui in Italia, prima di partire (“personalmente, non ho mai incontrato una ragazza che non sapesse cosa veniva a fare”) e che le sfruttatrici sono per la maggior parte donne, ex prostitute. Comunque, per le giovani “la professione viene considerata come una sorta di lavoro a termine – due o tre anni –, il tempo necessario ad accumulare i soldi necessari a mettere in piedi una qualche attività […] o, spesso in accordo con il futuro marito, a costituire la dote necessaria per potersi sposare”.

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Naturalmente, e pur consapevole che poi alcune non reggeranno quella esistenza, il Trevisan, scrittore e protagonista, ha molti incontri anche sentimentalmente stimolanti, come quello con Hellen. Non aveva neppure i soldi per pagarla, ma le offre alloggio per la notte e lei si sdebita come può, con un po’ di vicinanza umana e un’intimità possibile forse solo tra estranei: “E non fu solo il bacio a sorprendermi, ma la passione con cui si abbandonò, e, se possibile, più ancora, a prendermi del tutto alla sprovvista fu la passione con cui io mi abbandonai, lasciandomi esplorare senza opporre resistenza, e che fosse lei, così ispirata, a decidere cosa, e quando, e come, fare al punto in cui sembra che nessuno decida più niente, e uno fa quel che deve fare”. Alla fine, tanto per saperlo, la aiuterà a salvarsi dalla strada.

Se poi questo libro sia da leggere, a meno che uno non sia un Trevisan’s fan, è difficile a dirsi. C’è molta carne al fuoco, ma senza il nome dell’autore in copertina è difficile pensare che il testo avrebbe ricevuto una calorosa accoglienza. Senza voler parlar male dei morti che non si possono più difendere, è bene capire che con la semplice audacia e la scorrettezza esistenziale non si scrivono i romanzi, neppure quelli post-narrativa.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

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