Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

LE RAGIONI E I TORTI DI ORBÁN (di Matteo Fais)

Chi parla di questioni di genere è un uomo morto. Qualunque cosa dica, prenderà in risposta solo critiche. Gli estremisti dell’una parte e dell’altra tenderanno a polarizzarsi ancora di più intorno alle sue parole. Eppure, come insegna il buonsenso – e, incidentalmente, anche la filosofia – le ragioni non stanno mai da una parte sola.

Il Primo Ministro ungherese, Viktor Orbán, ha certamente la tendenza a essere uno dai modi spicci e sapientemente rozzi, non esattamente un simpaticone per un mondo oramai malsanamente impregnato di politicamente corretto. Cionondimeno, ogni volta che apre bocca, smuove l’intero Continente e ciò vuol dire che, in qualche modo, va a toccare i nervi della pubblica opinione con posizioni che quasi nessuno vorrebbe sentire.

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Si consideri, per esempio, la questione della differenza tra il numero di laureate e laureati in Ungheria, con il suo presunto impatto nefasto in termini di natalità. È abbastanza chiaro che, più si incrementa il proprio bagaglio culturale – nel senso di affinamento del gusto, non di mero accrescimento quantitativo delle proprie conoscenze – più le pretese, che si tratti di maschi o femmine, aumentano. Se mi laureo in Lettere o in Filosofia, e lo faccio perché amo veramente il sapere, avrò certo difficoltà a rapportarmi con una eventuale fidanzata o moglie che inciampa pesantemente tra congiuntivi e condizionali, o che confonde Hegel con un qualche “Premier dei Paesi del Nord”. Se sono cresciuto con un’educazione che mi ha fatto amare l’opera di Wagner o Beethoven, è chiaro che preferirò avere al mio fianco Anne-Sophie Mutter in luogo di Concetta Capuozzo, il cui unico orizzonte musicale è la trap music o Gigi D’Alessio. Non ci vuole una laurea in Teologia per arrivarci!

Similmente, è altresì chiaro che una sovrarappresentanza femminile tra i docenti di scuola secondaria e dell’università crea uno squilibrio nella trasmissione del sapere. L’universo visto dall’ottica femminile o maschile è diverso – non antitetico, ma diverso – e bisogna che il sistema dell’istruzione sia strutturato in modo tale da far capire ai giovani che esiste questa diversificazione, che si tratta di un qualcosa di positivo. Che piaccia o meno, è come in una famiglia: servono il padre e la madre. Quando la ragazzina ha le prime mestruazioni, in bagno, non deve entrare un uomo a spiegarle cosa sta avvenendo nel suo corpo, come si usano gli assorbenti e via dicendo – ci vuole un’altra donna, punto. Allo stesso modo, non puoi parlare delle tue ansie ai primi incontri con il genere femminile, o su come mettere il preservativo, con tua madre – sarebbe troppo imbarazzante.

Tra le altre cose, Orban ha ragione sul fatto che le competenze del maschile non devono essere sottovalutate. Alla fin fine, salvo rarissimi casi, il tavolo lo montano degli uomini, il rubinetto lo ripara uno che ha il pisello, e a spalare il catrame per strada, con 40 gradi, c’è un omone panciuto e calvo. Senza quelli che hanno la forza per fare i lavori manuali, la società viene giù in 5 minuti, inutile raccontarsi balle! L’ingegnerA, spesso, non sa neppure prendere in mano un cacciavite.

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Certo, poi, un problema di fondo resta, ed è insormontabile: uno Stato non può decidere chi deve studiare cosa, quante donne e uomini devono avere accesso ai corsi universitari. Altrimenti, siamo in Corea del Nord, o in un generico Stato Comunista, dove l’economia è pianificata e qualcuno d’alto decide che tu devi produrre pere, quello mele, e di laureati in Economia ne servono 300, non uno in più.

Orban, alla fine, sogna uno Stato che ha molti tratti in comune con quelli comunisti. Se va benissimo che lui proponga l’esenzione da certe tasse per le donne che hanno dai 4 figli in su – questa è una scelta politica e ognuno fa la sua, in ragione dei voti ottenuti –, non è assolutamente accettabile, finché si resta nell’alveo della democrazia, intervenire perché qualcuno venga interdetto dallo studio, in modo da far aumentare le nascite. In breve, un conto è lo stalinismo, un altro la critica morale che porta all’attenzione il peso di certe problematiche. Quindi, ben venga Orban, come disturbante provocatore.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

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