Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

LA RECENSIONE – SIA LODE A KENNEDY TOOLE E AL SUO “LA BIBBIA AL NEON” (di Marco Pianti)

Kennedy Toole se ne va all’età di trentuno anni, dandosi la morte per asfissia. Il suicidio è talvolta il simbolo di una rinuncia, non alla vita, ma a comunicare con i propri contemporanei. Per alcune menti brillanti, invece, è l’inizio di un dialogo con i posteri. E infatti la sua opera, composta da due romanzi sgangherati, diventa accessibile solo dopo la sua morte. 

L’autore provò senza successo a pubblicare il suo romanzo cardinale (Una banda di Idioti, 1980), nel quale riponeva tutte le sue speranze ed ambizioni letterarie. Ci riuscì sua madre, unica testimone del suo genio, oltre dieci anni dopo la sua scomparsa. Ma, nello stesso cassetto in cui marciva il manoscritto unto e illeggibile di A Confederacy of Dunces, si trovava un altro racconto, scritto all’età di sedici anni, che conferma il suo precoce genio letterario, rimasto nell’ombra per quasi trent’anni. Si tratta di The Neon Bible, pubblicato nel 1989 e arrivato in Italia nel 2004, grazie alla casa editrice Marcos Y Marcos che lo ripropone ai lettori italiani in una nuova edizione. 

John Kennedy Toole, La Bibbia al neon, Marcos Y Marcos.

La bibbia al neon è l’insegna con cui il prete di una piccola cittadina del sud degli Stati Uniti, circondata da alte colline ricoperte di pini, decide di addobbare la facciata della chiesa. La cittadina è interamente governata dalle patetiche autorità ecclesiastiche, che controllano radio e giornali, rappresentate da un vecchio prete che si fa pochi scrupoli ad internare i suoi concittadini considerati svitati o blasfemi. I discorsi dei suoi abitanti e le prediche degli insegnanti sono un’espressione limpida e svergognata del bigottismo e del razzismo sudista. Non viene risparmiato nessuno. 

La guerra diventa una minaccia per l’integrità morale dei soldati che rischiano si smarrire il sentiero della fede e tornare da oltreoceano con una moglie europea o peggio ancora cinese. Le donne lasciate sole dai mariti, partiti a combattere, vengono abbandonate alla tentazione dell’adulterio. La famiglia di David, il protagonista del romanzo, non può permettersi di frequentare la chiesa e viene esclusa dalla comunità e confinata sulle colline, in una baracca fatiscente, circondata dagli alberi. Il padre disoccupato viene chiamato alle armi e abbandona la famiglia, così lui viene allevato da sua madre e dalla Zia Mae, una vecchia cantante di Cabaret unitasi alla famiglia in seguito al naufragio della sua carriera. 

Crescere in un recinto di pregiudizi, per un’anima sensibile, è un castigo che conduce all’esilio. L’infanzia scorre lenta tra un’umiliazione e l’altra. Il sentiero alberato della noia e dell’esclusione genera uomini insicuri e confusi che risolvono la loro vita nella scelta della fuga. Da certi posti, si può unicamente scappare. 

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David reagisce timidamente all’autorità paterna, che riversa le frustrazioni nella famiglia, con rabbia e gelido distacco. Suo padre è disoccupato e non riesce a sfamarlo, né a educarlo, e questo compito viene affidato alla Zia Mae, figura eccentrica, variopinta e disinvolta, donna di mondo, proveniente da ambienti equivoci ma comunque premurosa nei confronti del giovane introverso. Il suo arrivo in città provoca scandalo nella comunità. La donna osa indossare abiti che attirano gli sguardi e inducono a pensieri peccaminosi. Si esibisce sul palco e canta canzoni blasfeme – ogni canzone che non sia un inno sacro è un offesa al buon costume. In un paese in cui tutti ripetono le solite banalità, affermare un carattere originale è un peccato imperdonabile. 

Formarsi in un ambiente soffocante come un piccolo centro di bifolchi è un estenuante esercizio di fantasia. Diviene impossibile esprimere il proprio mondo interiore e dargli una forma concreta in quello reale degli oggetti solidi e tridimensionali. 

“Anche i peccatori possono diventare santi se portano la loro croce!” è lo slogan di “Bobby Lee Taylor, il fanciullo che ha visto la luce!”, arrivato in città a impartire sermoni e messaggi di speranza. Il predicatore, una figura dal gusto antico, ma terribilmente attuale negli Stati Uniti, fa la sua apparizione e si esibisce come un prestigiatore di anime, sottraendo fedeli alla chiesa locale. 

Il suo colossale tendone da circo diventa, insieme alla Bibbia al neon, un simbolo della spettacolarizzazione della fede e una testimonianza dell’oziosa attività spirituale dei fedeli, che si riduce all’inseguimento cieco di qualsiasi profeta mascalzone, purché prometta loro la salvezza dell’anima. 

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David e la sua famiglia sono immuni al fascino del predicatore perché formalmente esclusi dalla comunità, confinati nella miseria e vittime del pettegolezzo. Si aggirano alla periferia del racconto figure marginali che contribuiscono a rendere l’atmosfera insopportabile, un gregge di zitelle e professori idioti, una ragazzina smorfiosa di cui David si innamora e una schiera di viscidi vecchietti che seducono la Zia Mae. 

Il lento e inesorabile declino mentale della madre, la partenza della zia determinata ad inseguire la sua piccola porzione di gloria personale, provocheranno il deragliamento della traiettoria silenziosa e lineare di David. Arriva un momento, nella vita di un ragazzo, in cui tutte le delusioni, tutti i traumi interiorizzati con la disciplina di uno scolaro obbediente esplodono  generando una metamorfosi irreversibile. Una metamorfosi che si manifesta con uno slancio emotivo quasi inconsapevole, ed è allora che questo si dirige alla stazione e poi su un treno con un biglietto senza destinazione. “Spero di scendere in qualche città, una vera città, voglio dire. Ho sempre desiderato vederne una e poi so che nelle grandi città è più facile trovare lavoro e la gente non ti fa un mucchio di domande come succede da noi, nella valle”. 

Marco Pianti

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