Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

TORNIAMO A POSSEDERE GLI OGGETTI, PER SFUGGIRE ALL’IRREALTÀ DEL VIRTUALE. IL NUOVO LIBRO DI BYUNG-CHUL HAN (di Matteo Fais)

“Le cose che possiedi, alla fine, ti possiedono”. Ricorderete tutti questa citazione dal Fight Club, film che più di tutti segnò lo spirito alternativo degli anni ’90 – forse, addirittura, più la pellicola, che dette sostanza visiva alla fantasia, del libro di Chuck Palahniuk a cui questa è ispirata.

Si trattava di un liberatorio grido di rivolta e repulsione per l’ossessione consumistica del periodo. Tyler Durden, incarnato da un fantastico Brad Pitt, diventò un mito dell’antimodernità – che simpatico paradosso un attore così mainstream che assurge a prototipo dell’anticonformismo.

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Essere liberi voleva dire, da quel momento in poi, evitare di avere, possedere, essere ossessionati dalle sorti di un qualsiasi oggetto. Se ti è saltata in aria la casa, come all’altro protagonista del film, forse devi essere contento, perché hai scoperto che puoi vivere al di là della cura e l’accumulazione maniacale delle cose. 

A quanto pare, questa prospettiva è da rivedere completamente, almeno stando al punto di vista di Byung-chul Han nel suo ultimo libro, Le non cose – Come abbiamo smesso di vivere il reale (Einaudi). Il mondo che stiamo vivendo, questo universo sempre meno materiale e sempre più virtuale, infatti, è proprio quello da cui sono scomparsi gli oggetti (“Oggi all’ordine terreno subentra l’ordine digitale. L’ordine digitale derealizza il mondo informatizzandolo”).

Byung-chul Han, Le non cose – Come abbiamo smesso di vivere il reale, Einaudi.

Se un tempo il problema era il consumismo nel senso accumulativo, oggi questo ha preso una forma differente, ma non meno perniciosa: “Le nostre ossessioni non sono piú indirizzate alle cose, bensí alle informazioni e ai dati. Ormai produciamo e consumiamo piú informazioni che cose […] La rivoluzione industriale ha rinsaldato e ampliato l’ambito oggettuale, allontanandoci solo dalla natura e dall’artigianato. La digitalizzazione, invece, ha messo la parola fine al paradigma oggettuale. Essa sottomette le cose alle informazioni ”.

La scomparsa degli oggetti, dal libro che diviene eBook, al disco che si ascolta oramai su Spotify, passando per le foto che, da occasione di ricordo custodite in un cassetto, sono mutate in selfie che “sono vincolati all’attualità” e “presi in considerazione una volta soltanto”, ha cancellato la realtà rendendoci alieni al mondo.

“Oggi corriamo dietro alle informazioni senz’approdare ad alcun sapere. Prendiamo nota di tutto senza imparare a conoscerlo. Viaggiamo ovunque senza fare vera esperienza. Comunichiamo ininterrottamente senza prendere parte a una comunità. Salviamo quantità immani di dati senza far risuonare i ricordi. Accumuliamo amici e follower senza mai incontrare l’Altro. Cosí le informazioni generano un modo di vivere privo di tenuta e di durata”.

Lo smartphone è l’immagine ideale di tutto ciò, uno schermo piatto, simile in tutti i modelli, che non implica alcun lavoro della mano, ma solo la “scelta delle dita”, in cui le opzioni sono già date, e che non oppone mai la resistenza delle cose con quella sua superficie priva di asperità (“La mano è l’organo del lavoro e dell’azione. Il dito, di contro, è l’organo della scelta. L’uomo senza mani del futuro ricorre solo alle dita. Sceglie invece di agire. Schiaccia dei tasti per soddisfare i propri bisogni”).

Se si può ritenere che questo apparecchio tuttofare sia ciò che permette maggiormente di avvicinarsi al mondo e agli altri, in realtà ciò è solo inganno e apparenza. Si pensi, per esempio, a quanto poco si chiama oggigiorno, preferendo la dimensione del messaggio “poiché per iscritto siamo meno esposti all’Altro. In tal modo scompare l’Altro in forma di voce”.

Più in generale, questo tipo di comunicazione “è senza corpo né sguardo. La comunità ha invece una dimensione corporea […] La digitalizzazione fa scomparire l’Altro come sguardo. L’assenza dello sguardo è corresponsabile della perdita d’empatia nell’epoca digitale”.

Il punto, secondo Byung-chul Han, è proprio tornare alle cose come agli altri, ritrovare una consuetudine, un legame basato sulla loro materialità e alterità, sulla presenza. Questo perché nella nuova solitudine dell’irrealtà digitale è solo l’Io ad accrescersi a dismisura. “L’incremento dell’attenzione verso le cose coincide con una dimenticanza, una perdita di sé. Là dove l’Io s’indebolisce, diventa ricettivo dinanzi al muto linguaggio delle cose. L’esperienza della presenza presuppone un’esposizione, una vulnerabilità. Senza ferite, alla fin fine odo solo l’eco di me stesso. La ferita è l’apertura, l’orecchio teso all’Altro. Oggi tali attimi epifanici non sono piú possibili, anche solo per il fatto che l’ego va rafforzandosi. Non si lascia quasi piú toccare dalle cose.”

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Forse, contrariamente a quello che si è a lungo creduto cercando di combattere la logica perversa del possesso, esso ha semplicemente assunto una nuova forma in cui “l’Altro si degrada al livello di oggetto disponibile, da consumare. La scomparsa dell’Altro riguarda anche il mondo delle cose, che smarriscono il proprio peso specifico, la propria vita, la propria cocciutaggine”. 

Insomma, esiste probabilmente una inevitabile forma di “avere” attraverso cui il mondo ci si rivela e si costruisce intorno a noi, nella difficoltà e nella consapevolezza della caducità. Un mondo che ci tocca e in cui ci riversiamo, per cui gli altri possono ritrovarci. Un mondo in cui questi ultimi sono per noi legami indissolubili e non strumenti dall’obsolescenza programmata. Un mondo di “oggetti del cuore”, non di consumo, che sempre conservano ai nostri occhi la dimensione del mistero.

Matteo Fais

Canale Telegram di Matteo Fais: https://t.me/matteofais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

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