Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

PSICOPATOLOGIA DEL PROGRESSISTA CHE PARLA DI “SENSO CIVICO” (di Matteo Fais)

“Egoista! Non ti vuoi vaccinare perché manchi di senso civico”: vi sarà capitato a tutti di ricevere risposte simili, sui social o nella vita reale, se avete rifiutato quella che è ormai identificata come la panacea di tutti i mali. Vi sarà, al contempo, abbastanza chiaro quale retroterra culturale si celi dietro simili esternazioni. Chiaramente, si tratta di quello della Nuova Sinistra Progressista. Solo un invasato, maniaco di una società in cui tutti pensano allo stesso modo e le scelte non possono mai essere individuali ma solo collettive, può seriamente arrivare a dire – e pensare, ahinoi! – di farsi fare una puntura “per la comunità”, invece che lottare, per esempio, per ridurre la forbice sociale.

Ma una cosa fondamentale da fare, mentre fuori impazza il green pass ed è dunque impossibile recarsi in qualsiasi luogo frequentato da persone normali, è riflettere su quale sia la distorsione psicologica che porta un idiota a credersi il salvatore del mondo solo perché ha scelto farsi pompare in vena, Dio solo sa quante volte, con una sostanza che non immunizza da niente.

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In ciò giunge in nostro soccorso un fantastico e agilissimo testo scritto del matematico e terrorista Theodore Kaczynski, pubblicato nei lontani anni ’90 del secolo scorso, La società industriale e il suo futuro (passato alla storia col titolo di Il manifesto di Unabomber).

Kaczynski per primo comprese la necessità di individuare i tratti psicologici fondamentali di questa nuova figura che, già allora, aveva ampiamente preso su si sé il potere culturale – da noi si sarebbe detto l’egemonia –, in America, il progressista.

Come prima caratteristica della sua genealogia morale, l’autore segnala il monumentale senso di inferiorità che attanaglia l’animo di questo tipo umano. Pensateci: ogni volta che avete parlato con uno di questi esseri in scarpe Clarks e pashmina d’ordinanza, avrete notato dal suo atteggiamento scomposto, che non tollera alternative al proprio pensiero, quanto egli sia fondamentalmente un insicuro cronico. Se criticate il genere femminile, l’immigrazione, o qualsiasi altro problema oggi così particolarmente sentito, lui insorge, quasi impazzito, perché “le stesse persone di Sinistra sentono questi gruppi umani come inferiori. Non ammetterebbero mai a sé stessi la cosa, ma è proprio perché li vedono come inferiori che tendono a identificarsi con i loro problemi”. Le femministe sono in tal senso sintomatiche della visione del progressista “con la loro ansia disperata di dimostrare che le donne sono altrettanto forti e capaci degli uomini. Palesemente, risultano tormentate dall’idea che le donne possano NON essere altrettanto forti e capaci degli uomini”. Tutto ciò era oramai chiaro, come il fatto che sono stati loro stessi ad “attribuire una connotazione negativa a certi termini”, come la parola “negro”.

Il progressista è, ovviamente, “antidividualista e collettivista”, e “si sente forte solo in quanto membro di una più vasta organizzazione o un movimento di massa col quale identifica sé stesso”. Tutte le varie baggianate in supporto di una presunta scienza “che è una e sempre la stessa” derivano proprio da questa sensazione di impotenza individuale. Se lo dice il PD e la comunità scientifica che è direttamente connessa al partito, lui li appoggia e, nel far sua una visione condivisa, si sente finalmente al sicuro, al riparo da ogni possibile contro argomentazione. L’appartenenza a un gruppo numericamente più ampio gli dà la certezza quantitativa che desidera.

Il progressista è così, un unltrasocializzato (oversocialized, in inglese), cioè uno che segue la morale diffusa e dominante in modo ridicolo e grottesco. Mentre l’uomo medio si limita a fare come gli è stato insegnato – esempio: non essere razzista –, l’ultrasocializzato progressista fa finta di “asserire la sua autonomia ribellandosi”, quando genericamente i suoi valori “NON sono in conflitto con la morale socialmente accettata. Al contrario, l’uomo di Sinistra prende un principio morale ampiamente diffuso, lo fa suo e poi accusa la società di violare tale principio” – esempio: trovare razzismo ovunque, anche in una parola neutra.

Basti vedere, ancora, per capirci, come viene difeso da gente simile il vaccino, contro queste mitologiche creature note come no-vax, malgrado il grosso della popolazione sia, teoricamente, vaccinata. Eppure, loro affrontano la faccenda con l’esaltazione del crociato, pur non essendoci, sempre stando ai dati ufficiali, alcuna forza concreta antagonista o di opposizione ad avversarlo. Anzi, paradossalmente, loro stessi difendono una posizione che è comune da Brunetta a Letta, da Rizzo a Salvini, in ciò dimostrando, come dice Kaczynski, che “gli intenti della attuale Sinistra NON sono in conflitto con la morale diffusa”.

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Peraltro, nell’attaccarci, essi sono oltremodo violenti (“bisognerebbe andare a prenderli”, “vi costringeremo con l’esercito”), malgrado la violenza sia un principio massimamente stigmatizzato nella visione da loro difesa. Ma come superano tale impasse morale? Semplice, per loro “la violenza è una forma di liberazione. In altre parole, perpetrando la violenza questi rompono con i limiti psicologici che sono stati abituati a rispettare. E, proprio perché sono ultrasocializzati, questi limiti hanno per loro un valore molto più restrittivo che per gli altri; ecco il motivo per cui desiderano violarli”.

Insomma, altro che senso civico. Il loro è conformismo, volontà di appartenenza, insicurezza patologica. La prima cosa da capire è che vanno solo zittiti. Non hanno proprio niente da insegnarci.

Matteo Fais

Canale Telegram di Matteo Fais: https://t.me/matteofais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

3 commenti su “PSICOPATOLOGIA DEL PROGRESSISTA CHE PARLA DI “SENSO CIVICO” (di Matteo Fais)

  1. “Lascia un commento”, dite.
    Omettete la postilla:”se il commento è dissenziente dal nostro Verbo, o è critico e inaspettatamente sagace o, semplicemente, non ci garba, lo cancelliamo.
    Non è Lei, Signor Fais, a dirsi “angosciato” dalla censura?
    Quando si dice “predicare bene…”.

    Dimenticavo: non si improvvisi psicologo. Le assicuro che risulta sommamente ridicolo.

    Buona Rivoluzione.

    1. Gentile signora Boldrini (un nome, una garanzia, si direbbe) essendo l’addetto al controllo dei commenti, Le garantisco che non cancelliamo i commenti dissenzienti ma soltanto quelli che, credendosi arbitrariamente sagaci o critici, e viceversa essendo solo maleducati e sarcastici, ci risultino molesti.
      Questo spazio è come una casa. La paghiamo con i nostri soldi, la teniamo pulita col nostro impegno e abbiamo dunque il diritto di farvi entrare soltanto chi vogliamo. Fosse anche solo per simpatia o antipatia. Accettiamo ogni opinione non coincidente con la nostra, come dicevamo. Ma non lo facciamo perchè ne siamo obbligati o perchè esista una regola scritta che ci imponga di accettarli. Potremmo, infatti, se volessimo, anche non voler accettare un’opinione diversa e preferire che ogni giorno si pronunzino adorazioni in favore dei nostri articolisti. Del tutto legittimamente.
      Lei ha il diritto di scrivere ciò che Le pare ma non di scriverlo per forza qui. E se sconosce la differenza tra le due cose, non è un problema nostro.
      Adieu

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