Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

SERGIO RAMELLI, STORIA DI UN DOPPIO STANDARD (di Franco Marino)

Sergio era un ragazzo di soli diciotto anni.
Un bravo ragazzo con l’unica “colpa” di essere militante del partito sbagliato, di aver espresso pubblicamente le sue posizioni, di aver dichiarato la sua ferma opposizione alle Brigate Rosse, quelle che per il PCI erano soltanto “compagni che sbagliano”.
Aveva un’altra colpa. Nell’Occidente perdonista verso i tossici, imperniato nella retorica di Woodstock e delle finte opposizioni al capitalismo usando i mezzi del capitalismo (cit. Pasolini) Sergio non spacciava droga, anzi vi si opponeva con ogni mezzo a sua disposizione.


Per queste e per altre ragioni, un bel giorno fu preso a colpi di chiave inglese. Morì dopo quarantacinque giorni di agonia, vissuta con coscienza e lucidità, alternando momenti di lucidità a momenti di oscurità.
Poi arriva la fine. E, per lui, nessuna sorella in TV a piangere vestita fashion in minigonna e stivali ma un funerale fatto in silenzio, imposto dalle autorità locali, alla presenza di militanti fascisti subito denunciati per apologia di fascismo, per aver fatto il saluto romano di fronte al feretro.
Nessuna via a lui intitolata, nessuna aula di tribunale e la fastidiosa consapevolezza che le battaglie di civiltà valgano solo se stai dalla parte gusta. Se invece stai dalla parte sbagliata, sei solo un fascista.
Io non sono fascista ma oggi mi unisco e dico “Sergio Ramelli! Presente!”

FRANCO MARINO

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