Il Detonatore

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L’EDITORIALE – È PRESTO PER IL REQUIEM DEL CONSERVATORISMO: NON ABBIAMO ANCORA PERSO (di Andrea Sartori)

“Un’altra vittoria come questa e sono rovinato”: furono queste le parole di Pirro, re dell’Epiro, dopo la “vittoria” sui Romani, alla battaglia di Ascoli del 279 a.C. E, infatti, a questa seguì la rinascita romana a Benevento. Da qui il celebre detto “vittoria di Pirro”, una vittoria che è quasi una sconfitta.

Perché prendo questo esempio per parlare dell’oggi? Perché sento troppe geremiadi da parte dei conservatori, quando dicono: loro hanno vinto. Se di trionfo liberal si tratta (e in America non è ancora detto), è appunto una vittoria di Pirro, una vittoria simile a una disfatta, e che, la Storia insegna, prelude alla sconfitta del nemico.

È uno schema che si ripete spesso. Alle Termopili, un milione di persiani sconfisse di misura poche centinaia di greci, arrivò a devastare Atene e infine perse la guerra. A Borodino, il più grande generale di sempre, Napoleone, a capo della più grande armata europea mai vista sino ad allora, faticò a sconfiggere i russi, prese Mosca e poi perse sia guerra che esercito.

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Oggi ci troviamo in una situazione simile. Quale vittoria può essere quella ottenuta tramite colpi di Stato, brogli elettorali, terrorismo sanitario, e bugie mediatiche ormai palesi? Vittorie di Pirro, perché la sinistra, che dovrebbe essere popolare, vede una disaffezione del popolo. Essa propone oramai solo leader scialbi, ben lontani dal carisma di un Obama e di un Macron, o che comunque facevano discutere come un Renzi o una Hillary. La grancassa mediatica non riesce a dare rilevanza a personaggi incolore, quando non patetici, come Conte, Di Maio, Biden che hanno vinto non in maniera netta, ma in modi alquanto controversi. E, da quando Bergoglio ha occupato il soglio di Pietro, vi è stata una proliferazione di ratzingeriani mai vista sotto il pontificato di papa Benedetto. Persino l’egemonia culturale non basta più, tanto che si è passati alla repressione vera e propria. Possono anche prendere Washington, ma sarà come quando Serse prese Atene o Napoleone Mosca: conquiste fragili e temporanee.

È quindi presto per cantare i requiem al conservatorismo. I “liberal”, certo, possono ancora vincere la partita: dipende dal nostro non perderci d’animo. I greci e i russi non lo fecero nonostante Atene e Mosca fossero cadute. Avevano ben presente che Termopili e Borodino erano, per il nemico, conquiste effimere. Il nostro guaio è che ci stiamo lasciando abbattere moralmente, diamo per scontata non solo la loro vittoria, ma una sicura affermazione da qui all’eternità.

Eppure, i motivi della loro sconfitta sono evidenti. Vero, hanno in mano media, social e mondo accademico, ma tutte queste realtà hanno perso la loro credibilità presso il grande pubblico, a tal punto che devono ricorrere alla violenza censoria. Quando erano davvero forti, se ne guardavano bene. È vero, hanno ripreso il controllo politico un po’ ovunque, ma “barando al gioco”.

Noi non abbiamo leader, anche questo è sicuro. Se si eccettua Trump, che si sta battendo fino all’ultimo, il panorama conservatore è tragicamente privo di figure di riferimento. Putin, dopo la rielezione del 2018, ha tenuto una condotta troppo ambigua. In Italia, i leader di destra si sono rivelati dei caciottari e anche la Chiesa Apostolica Romana vede unicamente emergere figure da centro sociale. Ma nemmeno i russi che sconfissero Napoleone, o i romani che batterono Pirro, avevano leader carismatici. Le vittorie conservatrici sono quasi sempre “vittorie di popolo”, di gente attaccata ai valori basilari: Dio (o dei), Patria e Famiglia. E, dall’altra parte, c’erano Napoleone e l’ultimo discendente di Alessandro Magno, non Conte o Biden.

Se abbiamo smesso di lottare vuol dire che abbiamo smesso di crederci. Soprattutto ora che, nonostante l’apparente invincibilità, la corazzata liberal è sempre più debole. Trionfa solo perché trucca le carte ed è costretta a “convincere” non più tramite il suo classico soft power, ma a mezzo di repressioni e censure vere e proprie. Non è ancora il momento di scavarci da soli la fossa.

Andrea Sartori

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L’AUTORE

Andrea Sartori è nato a Vigevano il 20 febbraio 1977. Laureato in Lettere Antiche presso l’Università degli Studi di Pavia. Ha vissuto a Mosca dal 2015 al 2019 insegnando italiano e collaborando con l’Università Sechenov. Attualmente collabora presso il settimanale “L’Informatore Vigevanese”. Ha pubblicato con IBUC i romanzi Dionisie. La prima inchiesta di Timandro il Cane (2016) e L’Oscura Fabbrica del Duomo (2019) e, con Amazon, Maria. L’Eterno Femminino (2020)

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