Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

IL FUSTIGATORE DI BENPENSANTI. DAVIDE CAVALIERE INTERVISTA IL TERRIBILE RICHARD MILLET

Richard Millet è uno dei maggiori scrittori francesi contemporanei. Acceso polemista e feroce critico letterario, ha lavorato a per la prestigiosa casa editrice Gallimard. 

Inoltre, è saggista premiato dall’Académie française e scopritore di talenti letterari. Alcuni vincitori del Premio Goncourt, il più blasonato di Francia, sono sue rivelazioni. 

Nel 2012 pubblica Langue fantôme, contenente il celebre Elogio letterario di Anders Breivik, che scatena un dibattito furibondo. Millet è uno scandalo delle lettere d’Oltralpe

È autore di numerosi testi mai apparsi in Italia, quelli pubblicati sono: Lingua fantasma. Saggio sulla riduzione in povertà della letteratura seguìto da Elogio letterario di Anders Breivik e L’antirazzismo come terrore letterario per Liberilibri; L’inferno del romanzo. Riflessioni sulla postletteratura e Il disincanto della letteratura per Transeuropa.

Ha accettato di rispondere a Davide Cavaliere per Il Detonatore. 

Philippe Muray definisce l’uomo moderno, “homo festivus”. Condividete questa definizione? Qual è, secondo lei, la condizione dell’uomo contemporaneo?

Muray ha visto nella “Festa” l’ideologia suprema di un Occidente in decadenza; era azzeccato; ma oggi siamo oltre la “Festa”; siamo in un ritorno virtuoso del Bene: un Bene planetario che è, in un mondo interamente rovesciato da ideologie “positive” (diritti umani, diritti delle minoranze, decostruzione del “maschio bianco eterosessuale e cattolico”), il Bene è in realtà una figura del Male: Sotto questa maschera regna Satana, e la condizione dell’uomo contemporaneo è o quella di un sopravvissuto del vecchio mondo, o quella di un morto vivente, uno zombie innamorato della propria morte, all’interno di un nichilismo compiuto. La visione di Muray era giusta, ma la “Festa” è finita: sono in corso le operazioni di controllo dell’individuo: Covid, correttezza politica, “potere nero”, islam, crisi economica, ecc.

In Italia, ma suppongo anche in Francia, i libri più venduti sono favole sentimentali dove nessuno perde nulla di caro. Quali sono le origini di questa “infantilizzazione” della letteratura?

Sentimentalismo, infantilizzazione, paura: gli scrittori francesi (e senza dubbio occidentali) hanno paura di dire ciò che vedono, di testimoniare, di nominare il vero: l’autocensura; parliamo solo di noi stessi, e in un modo che è in linea con l’ideologia ufficiale: essere di sinistra, preoccuparsi dei migranti, delle minoranze sessuali, “ribelli”, amare il rock, il rap, la sub-musica hip hop, il culto del presente dove “navighiamo” sull’assenza di memoria, di tradizione. Così si spera di essere “innocenti”, come un bambino. Ma sono bambini feroci, assassini. Il bambino, in latino: quello che non parla. Gli scrittori contemporanei scrivono per non dire nulla – per mantenere il mito della letteratura, per la propaganda del Bene. La caduta del “Padre” ha portato al trionfo del “bambino”: un bambino infinitamente perverso; l’esatto contrario dell’innocenza. Un trionfo che viene trasmesso dalle “donne” che stanno prendendo il potere letterario in Francia.

La copertina di uno dei saggi pubblicati in Italia.

Nei suoi romanzi possiamo trovare ciò che William Faulkner chiamava “i problemi del cuore umano in conflitto con sé stesso”. Quanto è importante per lei la dimensione religiosa nella scrittura di grandi libri?
È generalmente dimenticato, in Francia e altrove, che grandi scrittori hanno affrontato la questione del Male: Pascal, Kierkegaard, Dostoevskij, Bernanos, Faulkner, Pasolini, per esempio, lo hanno fatto. Oggi il Male è ridotto a una categoria “psicologica”, e Satana a una figura “paterna” mal “gestita”, o ancora a tutto ciò che il “sinistrismo” culturale, braccio operante della globalizzazione economica, proscrive, denuncia come “intollerabile” (o “politicamente scorretto”). Faulkner era un lettore della Bibbia, non dimentichiamolo.

La confessione négative, mai pubblicato in Italia.

Viviamo sotto la dittatura del “globish”, l’inglese banale dell’economia globale. Questo impoverimento della lingua, che effetto avrà sugli individui e sulle nazioni?

È noto da tempo: non appena una lingua nazionale, o una lingua di cultura si impoverisce sintatticamente e simbolicamente, la mente dei suoi parlanti diventa un colabrodo ideologico, e accade il peggio: guarda ai totalitarismi del XX secolo. L’ha detto Orwell. La maggior parte degli scrittori sognano di scrivere in inglese per sperare di essere letti nell’Impero, l’Impero anglofono della “globalizzazione”. Un sogno per il momento segreto, ma che presto diventerà realtà. Ecco perché la letteratura non dispiega più “mondi” interiori, e perché non parla più: ogni scrittore contemporaneo scrive nella propria lingua (una lingua sempre più povera) ma sogna in “globish”.

Postmodernismo, decostruzionismo, multiculturalismo, antirazzismo, sono alcuni dei fattori che hanno contribuito all’erosione della nostra identità e a una lunga e consolidata tradizione di valori in grado di darci un senso di continuità e stabilità. Siamo davvero destinati a soccombere all’Islam con compiaciuta cecità e arrogante ignoranza?

L’Islam, in Europa, è una grande intimidazione che, il più delle volte, incontra o l’indifferenza del piccolo borghese globalista o la complicità degli islamo-sinistri. Io, che ho combattuto contro le cosiddette forze “islamo-progressiste” in Libano all’inizio della guerra civile nel 1975, mi rendo conto di quanto l’Europa sia cieca di fronte a questo problema. È già troppo tardi: queste persone sono tra noi, a milioni, e in tutta Europa, dove la loro presenza è diventata molto problematica, anche in Paesi un tempo pacifici come la Svezia o la Danimarca: non sanno, non più di noi, nonostante il loro modello sociale, come combattere il cancro islamico delle periferie, delle bande di immigrati, di tutto ciò che il comunitarismo ufficiale e il multiculturalismo producono. Alla maggior parte degli europei non importa: chinano la testa o guardano dall’altra parte. Da un lato, la versione intimidatoria (legale, politicamente corretta); dall’altro, la ragione economica: i contratti con il mondo arabo…

Ultima domanda, un po’ personale: quali sono i libri che l’hanno segnata di più e che spesso ritorna a leggere? Quali libri sono indispensabili per un uomo che voglia definirsi “civilizzato”?

In generale, i grandi romanzi europei e americani, che ho letto in giovanissima età, e sui quali torno spesso: Jules Verne, Emily Brontë, Dickens, Hemingway, Gide, Simenon, per esempio… Ai nomi sopra citati, aggiungerò i grandi testimoni della vita interiore o sociale: Bossuet, Leopardi, Balzac, Dostoïevski, Bloy, Proust, Bataille, Faulkner, Soljenitsyne, Claude Simon, e alcuni saggi di Girard, Chestov, Debord, Baudrillard, Steiner, Agamben. E la Bibbia, naturalmente… Aggiungerò la musica classica e il cinema, che per me sono importanti quanto la letteratura. Bergman, Antonioni, Tarkovsky, Bresson e Bach, Mahler, Sibelius, Nono, Messiaen…

Davide Cavaliere 

Un commento su “IL FUSTIGATORE DI BENPENSANTI. DAVIDE CAVALIERE INTERVISTA IL TERRIBILE RICHARD MILLET

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *