Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

Donne, siate come Vanessa! – (di Davide Cavaliere)

Vanessa Incontrada posa nuda per Vanity Fair contro il body shaming e io divento un suo body lover. A dir la verità, sono sempre stato attratto dalla sensuale spagnola, fin da adolescente, e più invecchia e più mette chili e più mi piace

La preferisco adesso che dieci anni fa, con quei sensuali rotolini di pelle che s’increspano sul soffice grembo. Così come turbano i miei ormoni le sue braccia, che negli anni si sono fatte più voluminose, morbide. Braccia sulle quali premere i polpastrelli e sentirli affondare dentro una carne sensuale e cedevole.

Tutti i maschi, o almeno quelli rimasti tali, quelli che non si sono fatti corrompere l’eros primordiale da occhioni azzurri da manga, magrezze toniche o insalubri, addominali, bicipiti definiti, scapole in bella vista e vite strette, sottili, inesistenti, devono essere grati a Vanessa Incontrada. 

La bella mediterranea è l’esemplare mediatico di una femmina in via d’estinzione, quella specie di donne piene, burrose, turgide, prospere, tenere, floride, sinuose e carnose. Le donne che non fanno diete, che non rosicchiano gambi di sedano, che non masticano quinoa, ma assomigliano alle golose di Gozzano

“Signore e signorine / le dita senza guanto / scelgon la pasta. Quanto ritornano bambine!”.

Non efebiche indossatrici dalla magrezza autoimposta, ricercata, inflitta da un masochismo ginnico ed estetico, ma femmine che sembrino sbucare, in tutta la loro sensualità e monumentalità, dal Concerto campestre di Tiziano o assomiglino alla Venere del Bronzino, posate e concupiscenti, perfettamente a proprio agio in quella generosità di forme e di anse.

Le donne come la rossa Vanessa mi ricordano sempre le ninfe dalla pelle perlacea della Caccia di Diana del Domenichino, non le “ninfette” novecentesche e “nabokoviane”, ma le ninfe sensuali della pittura italiana. Come quella in basso a destra nel dipinto sopracitato, seduta su una roccia, nuda, con la sua morbidezza che si rivela in ribaltini di pelle, in un fondoschiena abbondante, nella maliziosa esposizione di cosce piene e in una mimica pacata e flessuosa.

La bellezza è fatta di materia corporea e sensi, di munificenze carnali che nulla devono invidiare alla spigolosità avare della secchezza “social”. Come non amare la piega di pelle fra coscia e inguine? Quanto incanto erotico si concentra nelle plissettature di un ventre, che si tende come quello della Venere di Rubens nell’atto di trattenere Marte? Nulla può eguagliare il fresco e imponente splendore di un seno rigoglioso o di natiche fiorenti.

“La carne è triste” sospirava lamentoso Mallarmé, cosa dovremmo dire noi, ai quali vogliono togliere pure la carne?

Davide Cavaliere 

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