Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

CHISSENEFREGA DI JUVENTUS-NAPOLI (di Franco Marino)

Non sono solito parlare di calcio perchè ho la sensazione, ogni volta che mi capita di sfiorare l’argomento, di togliere serietà e credibilità alla mia attività come blogger, salvo quando parlarne mi permette di introdurre qualcosa di più generale.
Naturalmente, da napoletano e da tifoso sempre più freddo del Napoli, più per abitudine che per altro, mi sto informando di quel che sta accadendo in merito alla querelle su Juventus-Napoli ma con assoluto e totale disinteresse perchè, di fondo, è il mondo del calcio a non interessarmi più.
Non ho perso interesse per il calcio come sport in sè: se vedo un pallone vicino a me, l’istinto fanciullesco mi porta a prenderlo, a palleggiare, a calciare. E dal momento che abito proprio di fronte ad un campo di calcio, il medesimo istinto mi porta ad affacciarmi e vedere la partita. Ma tutto in maniera molto naturale, tranquilla, senza coinvolgimenti.
Ormai, mi sono liberato di questa gigantesca, vergognosa, orripilante truffa – che i media astutamente vellicano – di dover pensare che se il Napoli va bene, allora Napoli città va bene, che se l’Italia non si qualifica per i Mondiali, allora è il chiaro segnale che il sistema Italia non funziona e dunque, in generale, di legare il mio umore, le mie considerazioni sul mio paese, alle sorti di undici cretini in mutande che corrono appresso ad un pallone nel tentativo di fargli varcare la linea di porta.
Il calcio oggi non è credibile, punto e basta. Ammesso che lo sia mai stato. Resta sicuramente un utilissimo strumento per misurare lo stato mentale delle persone, che poi sono le stesse che vanno a votare. Dover constatare che a Napoli esistono centinaia di migliaia di imbecilli che credono che un presidente si debba indebitare, rischiando pesantissime conseguenze penali, per soddisfare l’effimera suggestione che “se ‘o Napule arriva prima in una classifica e dunque vince lo scudetto, allora la nostra vita sarà migliore”, mi toglie ogni fiducia sul concetto di società civile così come mi toglie ogni fiducia nel genere umano sapere che un sacco di lettori di questo blog, che leggono con attenzione questa pagina, che mi stimano, sarebbero pronti a gettare a mare tutto questo solo perchè, anche non volendo, offendo la loro squadra di calcio.

Tolto l’interesse socioantropologico, che il Napoli vada in serie B o vinca lo scudetto, mi frega giusto quell’1% che se corrispondesse alla percentuale di interesse di quei milioni di tifosi che oggi invece identificano nella propria squadra di calcio una ragione di vita – casomai mentre ogni giorno vengono scientificamente impoveriti da quello stesso sistema finanziario che sponsorizza il calcio – probabilmente basterebbe a riportare il calcio a quella che dovrebbe essere, in un paese sano, la sua effettiva dimensione. Quella di un semplice sport, di uno svago, di un passatempo. E non quella di un fenomeno di tale portata da scandire la vita di un individuo o di una nazione, in nome del quale sceicchi ed emiri spendono centinaia di milioni di euro come, purtroppo, è oggi.

Se si introduce quanto sopra, si capisce come la questione Juventus-Napoli si inserisca nel novero di questo fraintendimento.
Il calcio non ha più nulla di sportivo. E se qualcuno mi dice che il calcio è un’industria che dà lavoro a centinaia di migliaia di persone, gli faccio presente che anche la droga fa lo stesso. Non è un buon motivo per incentivare questo business, tantopiù che il calcio ha ampiamente contribuito a maleducare la cittadinanza, a disgregare l’unità nazionale di questo paese, sino all’osceno infame spettacolo di gente che non si ribellerà mai contro Conte e il PD ma che è pronta a scendere in piazza per un rigore negato.
L’insana passione per il calcio da parte di miliardi di persone nasce dalla truffa, abilmente vellicata dai media, che una squadra di calcio debba diventare parte della propria identità e, dunque, un qualcosa da difendere al pari di tutto ciò che è identitario. Se la squadra che rappresenta la propria identità vince, allora è il proprio io a vincere, sebbene in realtà ovviamente i tifosi, a parte urlare a squarciagola allo stadio cori più o meno belluini, in realtà influiscano ben poco sulle sorti di una partita, checchè ne dicano quelli che parlano di “casa” e “trasferta”.
Quando mio nonno – che odiava il calcio – mi chiedeva “Ok, il Napoli ha vinto. In cosa è cambiata nel concreto la tua vita?”, io che pure a quei tempi non solo ero un tifoso ma addirittura ero un ultrà, non sapevo rispondergli.
A parte descrivergli la felicità che provavo. Di breve durata.

La “felicità calcistica” diventa una droga che dunque ripropone i medesimi meccanismi della tossicodipendenza, col drogato che ne vuole sempre di più perchè nei confronti di ogni dose finisce per sviluppare un’assuefazione.
L’abilità di un presidente oggi sta nel capire come funziona il meccanismo e accompagnare, da buon pusher, il percorso che parte dall’astinenza sino all’assuefazione. Questo è un meccanismo di TUTTO il tifo. Chi è juventino avrà avuto modo di assistere al tragicomico spettacolo di vedere i tifosi juventini sputare addosso ad Allegri perchè dopo aver vinto solo cinque scudetti consecutivi – eguagliando un record che resisteva dai tempi di Carcano agli inizi degli anni Trenta – ha osato non vincere anche la Champions League, pur raggiungendo due finali con squadre che al massimo valevano i quarti.
L’anno scorso girava l’immagine di un bambino che piangeva perchè il Napoli aveva perso in casa con la Fiorentina. Mi piacerebbe che i suoi genitori, se sono sani di mente, gli spiegassero che nella vita ci sono cose ben più importanti per cui piangere che non siano le sorti di una squadra di calcio, ossia di un’azienda privata, abilissima ad estorcergli soldi per vendergli una truffa: e cioè che se questa azienda privata va bene, la vita di quel bambino sarà migliore. Fossi il padre di quel bambino, denuncerei la Lega Calcio per truffa.
E a quel bambino spiegherei che le lacrime si dedicano a cose ben più importanti che non undici analfabeti che corrono in mutande appresso ad un pallone.

In sintesi, la famiglia Agnelli e De Laurentiis, anche se oggi si contrappongono, sono complici – e non mi importa se consapevoli o meno – di una truffa che da centocinquant’anni viene perpetrata ai danni di miliardi di persone in tutto il mondo, l’idea cioè che il calcio debba scandire la vita sociale, economica e politica di un paese.
Il calcio, in un mondo normale, dovrebbe essere un semplice sport, un modo per passare il tempo, per trasmettere sani valori, per educare alla convivenza civile, per favorire la socializzazione.
Ebbene, tra calciatori che giurano amore eterno ad una squadra e sono disposti a cancellarlo per centomila euro in più offerti da un’altra squadra e che dopo aver firmato in assoluta libertà un contratto si mettono a ricattare i presidenti, subumani che scioperano contro i loro presidenti ma non contro i diritti sociali che gli vengono tolti dalla politica, imbrogli, giochi di prestigio finanziari, infiltrazioni criminali nel tifo organizzato, in tutta franchezza, vi risulta che il calcio sia educativo oggi?
Per come la vedo io, l’unico effetto positivo di questo covid-19 è proprio la crisi di un settore, quello del calcio professionistico e paradilettantistico, che a questo paese ha fatto solo danni.
E dal momento che il calcio è divenuto nocivo, chissenefrega di Juventus-Napoli?


FRANCO MARINO

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