Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

SALVIAMO IL SISTEMA SANITARIO RIVOLUZIONANDOLO (di Michele Arena)

medici millennials

Se ne parla da tempo, nei talk show e al telegiornale, sui quotidiani. Gli ospedali italiani sono in grossa difficoltà. È di qualche settimana fa la pubblicazione di alcuni dati sconcertanti da parte del sindacato Anaao Assomed: 8000 medici si sono allontanati dalle corsie per scadenza del contratto, o per dimissioni volontarie. Molti di più per pensionamento: circa 12600. E il fiume di parole rispetto a quale iniziativa politica intraprendere o su quale sia stata la causa di questa fuga – come da tradizione italica, quando si tratta di commentare situazioni di crisi – esonda con prepotenza.

Ma la sensazione, di gattopardiana memoria – perché tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi – è che questi annunci (salvo, poi, dimostrare che si traducano realmente in provvedimenti fattivi) produrranno ben poco. Si è parlato di aumentare gli stipendi, di incrementare i posti a Medicina o nelle Scuole di Specializzazione, di un nuovo programma di politica sanitaria.

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Finora, solo parole. Nei fatti, nel corso degli ultimi 30 anni, si è ridotto il numero dei posti letto, tantoché pazienti in attesa di ricovero possono aspettare anche giorni in pronto soccorso, causandone il sovraffollamento. Aggiungiamo, poi, la carenza cronica dei medici di base che costringe molte persone a rivolgersi alla Guardia Medica o al Pronto Soccorso. Viene da chiedersi se sia una situazione esclusivamente italiana e si scopre così che, alcuni giorni fa, in Inghilterra, i giovani medici hanno dato il via a uno sciopero di quattro giorni per rivendicare l’aumento dei salari a fronte di orari di lavoro molto intensi e a un costo della vita aumentato vertiginosamente.

Purtroppo, i tentativi di mettere una toppa a queste falle sta avendo esiti tragici. Partiamo con la premessa che, quando si parla di “nuova generazione di professionisti sanitari”, stiamo considerando dei giovani in carne ed ossa che vivono nella società, non di automi chiusi in casa senza passioni né vita sentimentale. E, come tutti i giovani, questi sono influenzati ora più che mai dai mass media, dai social, dalle nuove tecnologie. Come non si possono confrontare gli orari di lavoro dei nostri nonni, senza diritti e con una paga giornaliera, così non si possono derubricare i giovani medici a “viziati” o “lavoratori senza spirito di sacrificio”. La pandemia lo ha reso ancora più evidente: in men che non si dica può succedere un qualsiasi evento, a livello locale o globale, che vanifica tutti i nostri programmi di vita.

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E in quel contesto viene naturale pensare, soprattutto, a quanto non hai considerato o fatto e vorrai fare, quando ve ne sarà ancora la possibilità: un figlio, stare con la tua famiglia, magari lontana chilometri, dedicarsi a quel lato di te che hai trascurato per troppo tempo. Tutto ciò va unito a stipendi bassi in rapporto al monte ore lavorative (6 euro l’ora), a scarsa possibilità di crescita professionale, a poche ore dedicate alla formazione. Se non si parte dal comprendere che è la mentalità dei lavoratori a essere cambiata (e non nei datori di lavoro, che, anzi, sono rimasti ancorati a logiche del passato, per loro molto redditizie) a poco serviranno gli aumenti di 100 euro in busta paga. Cosa si può fare? Ci vorrebbe un nuovo modello sanitario, con una fusione tra un sistema pubblico (efficiente, dedito alle urgenze, di carattere intensivo, composto da pochi medici che, con l’intenzione di sacrificare molti lati della propria vita personale per questa missione, vengano remunerati almeno con il doppio dello stipendio attuale, ma con un vincolo di esclusività, per evitare conflitti di interesse) e un sistema estensivo (territoriale, a pagamento, con medici di base o specialisti libero professionisti, contrattualizzati, con un monte ore lavorative, in percentuale, concordato con il datore di lavoro, pubblico, territoriale o privato convenzionato, che possa filtrare la maggior parte dei pazienti, scaricando parte dell’onere dei pronto soccorso).

Quel che è certo è che, ancor prima di mettere mano al sistema, dobbiamo iniziare ad abbandonare nella nostra mentalità una visione universalistica di cure o almeno quello che abbiamo conosciuto finora, per cui debba essere garantito tutto a tutti. La verità è che il sistema cosi è insostenibile e prima ci si organizza a questo lento e progressivo, oltre che inevitabile, cambiamento, meno difficile sarà superare questa fase.

Michele Arena

L’AUTORE

MICHELE ARENA nato a Monza nel 1992, è medico otorinolaringoiatra libero professionista in Italia e ricercatore in SvizzeraRappresentante dei Medici Specializzandi dell’Università Milano-Bicocca dal 2019 al 2021, da sempre appassionato di politica e impegno civile, nel 2020 ha partecipato alla fondazione dell’associazione Medici Specializzandi Lombardi che si è battuta per i diritti dei colleghi in formazione. La dura esperienza della pandemia lo lega ad un gruppo di amici con i quali condivide esperienze, idee e interrogativi comuni. Il progetto di dare forma a questi pensieri incontra la penna di Matteo Fais. Da allora, collabora con “Il Detonatore” su temi di sanità e ambiente.

CONTATTI:

email: arena.michele@yahoo.com

Instagram :   @micarena92

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