Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

È PIÙ ROMANZESCA LA BIOGRAFIA DI MARCO MASINI, “L’ALTALENA”, DI TANTI ROMANZI IN CIRCOLAZIONE (di Matteo Fais)

“Ho scritto un libro che non offendesse nessuno, avrei potuto essere malvagio, fare nomi, prendermi rivincite, ma questo non sono io, non sono fatto così; se davvero lo avessi voluto avrei potuto farlo già tanto tempo fa […] E poi a dirla tutta vi avevo già dedicato un Vaffanculo tanto tempo fa, sono a posto così, l’ho gridato abbastanza in questi trent’anni e lo faccio ancora” (Marco Masini, L’altalena, Mondadori).


Se il romanzo italiano tende al missirolismo, cioè a quella scrittura piatta e fradicia di banalità, in cui manca la sorpresa narrativa e la riflessione esistenziale è fiacca, forse persino le biografie di qualche personaggio famoso possono sostituirsi ai prodotti della fantasia degli autori nostrani. Del resto, se l’arte imita la vita, accade altresì che ci siano vite le quali, più o meno consapevolmente, sembrano imitare l’arte, fino addirittura a superarla.

L’esistenza di Marco Masini, il cantante, raccontata in L’altalena (Mondadori), a prescindere da ciò che si può pensare della sua opera canora, meriterebbe idealmente l’attenzione e la penna di un qualche grande autore francese, un Balzac, un Zola e, perché no, forse un Houellebecq – ma non ci starebbe male neppure un russo alla Dostoevskij o alla Tolstoj.

Marco Masini, L’altalena, Mondadori.

Non manca nessun elemento: ascesa e caduta, risalite e nuovi abissi, folle e solitudine, dramma e tensione. C’è pure un qualcosa che fa molto voce fuori campo, in uno di quei film più angosciosi di Woody Allen, come Match Point: “La mia storia potrebbe essere quella di chiunque abbia una grande passione e voglia fortemente trasformarla nel suo lavoro, quella di chiunque sia riuscito a passare attraverso la tempesta e uscirne sano e salvo mille volte. Un’odissea con i colori del mio tempo, dove la musica e l’amore hanno vinto su tutto e mi hanno sempre riportato a casa”.

E, tutto sommato, è più vicino allo straniero di Camus Masini che riflette sul nostro essere sempre distanti dalla vita, che continuamente ci sfugge, di tanti personaggi di questa letteratura così estranea ai problemi fondamentali dell’uomo. Vi si trova persino un eco sartriano, come l’idea che l’esistenza è una ricostruzione di noi stessi che possiamo fare solo ex post: “Raccontandomi mi sono reso conto che possiamo conoscere la nostra storia solo da adulti, solo dopo che abbiamo metabolizzato tutto quello che ci è successo, dopo che abbiamo digerito, litigato con le nostre azioni e reazioni, compreso quando e perché sono nate e da cosa sono state guidate”. Probabilmente in pochi lo noteranno, ma qui vi è anche una visione affine alla saggezza tipica del mondo greco antico.

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Insomma, è indubbio, ci sono passi che non sfigurerebbero in un romanzo (“La mia voce è come quella dell’organo di quella notte. Un grido a luci spente. La voce degli angeli quando sono incazzati”). Altre volte, di passaggio, il ghostwriter non riesce a mitigare quella tendenza vagamente da santone qualunquista che il musicista fiorentino ha sempre avuto, persino nelle canzoni, non limitandosi a raccontare il dolore ma fornendo sviolinate moraleggianti decisamente a buon mercato: “Qualunque sia il destino di questo mondo, dell’uomo e della sua permanenza qui, sicuramente abbiamo fatto un gran casino […] siamo andati oltre, oltre il punto di non ritorno. Sono deluso dal genere umano, e da noi come generazione, in fondo. Doveva essere la nostra generazione a cambiare il mondo, o così sembrava, ci siamo riempiti la bocca di grandi concetti e poi abbiamo agito da stronzi, questo è successo. E così a queste nuove generazioni dovremmo innanzitutto chiedere scusa, per il mondo che gli stiamo lasciando, senza futuro, senza un pianeta accogliente, senza un clima stabile, senza certezze”. E più coinvolgente la scorrettezza di un vaffanculo al gretinismo un tanto al chilo.

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A ogni modo, nella sua imperfezione molto viva e vitale, che avrebbe richiesto un editing più feroce, come certe liriche dell’autore, L’altalena ha un suo perché anche per coloro che non sono esattamente fan sfegatati. Si può leggere e si lascia scorrere. Aiuta anche a comprendere un mondo, quale quello della musica, di cui l’uomo medio conosce spesso poco più che la parte emersa, ignorando completamente l’iceberg titanico che vi si nasconde dietro: scrivere una canzone di successo, per intenderci, richiede davvero, più che una vita, una dedizione spericolata, proprio come un romanzo. L’ispirazione aiuta solo fino a un certo punto. Oltre serve l’impegno e il sacrificio, spesso di un’intera esistenza.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

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