Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

SUPER-MURGIA PREMATURATA CON SCAPPƏLLAMƏNTO SCHWA A “SINISTRA” E SQUID GAME A “DESTRA” (di Matteo Fais)

È sempre difficile capire i discorsi femminili – figurarsi quelli femministi. Una sorta di insanabile differenza ontologica genera un problema comunicativo senza soluzione. Una donna ti dice “sì”, ma intende “no” e se ti dice “no” intende dire “sì”. Se tu sei preso da un etereo sentimento nei suoi confronti e glielo esterni – difficile dire se per partito preso o per celia –, butta lì che tu la trovi brutta e non la desideri realmente. Se, invece, le fai presente che te la vorresti chiavare, giù menate perché lei non è un oggetto sessuale e non può essere ridotta alla sineddoche del suo orifizio.

Fin qui, però, si tratta di ordinaria amministrazione nel commercio tra i sessi. Poi, ci sono gli articoli di Michela Murgia, con il loro afflato ermetico, che ti viene da chiederti “Ok, ma che cazzo voleva dire questa benedetta femmina”. Prendiamo, per esempio, la sua ultima pubblicazione su “L’Espresso”: L’astensione spiegata da Squid Game (https://espresso.repubblica.it/opinioni/2021/10/25/news/squid_game_michela_murgia-323680497/?ref=fbpr&fbclid=IwAR1oEdT1estJ3zo34TUMKg5Qa08KcVl3drjLvcJ9SdbR7Cj-kyRd5qasz24). Già mi sta sui coglioni la serie televisiva in questione, per di più la Michela nazionale mi piazza tutte queste schwa, o “e” rovesciate – chiamatele un po’ come vi pare –, che ho sempre il dubbio di vederci male io e dover andare dall’occultista.  

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A ogni buon conto, mi metto a leggere perché la scrittrice sarda è probabilmente la donna che, intellettualmente parlando, mi ispira di più, se non altro in senso negativo – più o meno come Margaret Thatcher in politica ed Elsa Fornero in Economia. Comunque, dopo due riletture, penso di aver capito cosa voglia dire…

Si parla di astensionismo alle ultime elezioni, ma prendendo l’argomento da lontano, addirittura dalla Paese del Dragone: “La prima volta che andai in Cina lo feci, come moltǝ, con la presunzione eurocentrica di chi viene da un paese democratico e pensa di poter guardare con superiorità evolutiva a tutti i sistemi governati in modo politicamente meno partecipato. Mi bastò una settimana di conversazioni con le persone del posto per abbassare la cresta della spocchia occidentale e comprendere che quello che chiamiamo democrazia è marxianamente una sovrastruttura, molto più conseguenza che non causa, e che è segno di poca consapevolezza civica dare per scontato che chi vive in contesti gestiti con altri metodi sia automaticamente una persona oppressa che ‘vorrebbe essere noi’”. Apprendo così felicemente che la Murgia ha dovuto rivedere la sua smania da esportatrice di democrazia. Malgrado la sciocca convinzione infantile che noi siamo i migliori e il resto dei Paesi del mondo debba imitarci, alla fine, pure lei c’è arrivata: di avere una democrazia formale, tutta rispetto apparente della prassi e niente sostanza, non gliene frega un cazzo a nessuno. Pensa se dovesse andare a parlare con la maggior parte della donne, dall’Africa al Medio Oriente, per poi scoprire che amano il maschio forte e patriarcale, che non sentono il bisogno di mostrare le chiappe su Instagram e che, insomma, a loro sta bene così. Meglio, nel caso, prenotarle un posto in terapia intensiva – altro che covid.

Ma il problema, dicevo, è l’astensionismo, “una delle poche evidenze misurabili del silenzioso disinteresse collettivo a tutti gli aspetti della partecipazione alla gestione della cosa pubblica”. Pare che anche un funzionario cinese abbia cercato di spiegarle che la loro economia va benissimo, quindi la gente se ne sbatte della mancanza di democrazia. Ciò la preoccupa perché sotto sotto sa bene che “se fermassi dieci persone in una strada qualunque di una città italiana a caso e chiedessi loro a bruciapelo se preferiscono avere stabilità economica o diritti politici. Avrei paura di scoprire quanto sia più che probabile un’alta percentuale di risposte sulla prima opzione”. Beh, e che vorrebbe sentirsi dire, che la gente vuole il PD che governa anche quando non vince, grazie al suo mafioso controllo delle case matte del potere, e per di più con un’economia che va in malora ogni giorno di più?

Tranquilla, Dottoressa, la Cina non è vicina. Noi siamo poveri, con un’economia che decresce invece di crescere e abbiamo pure una dittatura più subdola di quella cinese, in cui la persuasione ha preso il posto della coercizione e la propaganda funge da manganello psicologico. E se critichiamo il Capo di Stato che, nel pieno rispetto della democrazia, è uguale a noi, ma lui è più uguale degli altri, riceviamo la visita domiciliare della Polizia.

Per lei, comunque, la situazione di rifiuto della politica – di questa politica – ricorda molto Squid Game, questa cazzata di serie Netflix che oggi va tanto di moda. Rammentate la scena in cui i partecipanti del gioco al massacro, con in palio un grosso montepremi, votano per interrompere la cosa, ma poi, morti di fame come sono, si trovano costretti a riprendere parte allo scempio? “Il dato interessante è nel risultato: che i partecipanti scelgano di uscire dal gioco oppure no, la loro condizione sostanziale di condannatǝ a morte non varia. O vengono uccisǝ sul colpo perdendo una delle sfide infantili della competizione, o moriranno comunque fuori da lì, disperandosi nelle spire del debito in una società capitalista […] La possibilità di votare e la politica stessa vengono così descritte come un epifenomeno, qualcosa che in condizioni di forte dislivello economico in realtà non serve a niente, anzi offre al meccanismo mortale la certificazione illusoria di essere agito con il consenso delle persone condannate”.

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Insomma, tutto sto profluvio di parole e schwe – sarà schwe il plurale di schwa? Boh –, con tanto di supercazzola su Squid Game, per dire che la gente ha compreso che, se ci fanno votare, è solo perché non serve a niente? Benvenuta nel mondo reale. Da mo che abbiamo mangiato la foglia, cara Michela. E te credo che “la scelta elettorale è percepita come parte di un meccanismo narrativo funzionale”, lo è. A votare, oramai, ci va solo chi deve il posto di lavoro al Partito Democratico. Gli altri se ne stanno a casa perché tanto, come insegna la vita democratica italiana, “cambiano i cazzi, ma i culi sono sempre i nostri”.

Per intenderci, quindi, non è che la gente sia disinteressata, o baratterebbe la libertà con la stabilità economica, è che questa è una presa per il culo che va da “L’Espresso” a “Repubblica”, passando per i palazzi del potere. Se la gente fosse minimamente responsabile, se comprendesse ciò a cui neppure i diseredati descritti in Squid Game arrivano, si mobiliterebbe per fare scomparire dalla faccia dello Stivale questa ributtante cancrena che ci sevizia e gode, costringendoci a prendere parte al suo sadico gioco.

Matteo Fais

Canale Telegram di Matteo Fais: https://t.me/matteofais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

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