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L’EDITORIALE – “MIO PADRE LO POSSO VEDERE SOLO ATTRAVERSO UNA FINESTRA”: GLI ANZIANI “INTERNATI” AL TEMPO DEL COVID (di Clara Carluccio)

Il rafforzamento del senso di colpa inibisce la nostra capacità di ribellione e iniziativa. Inoltre distoglie l’attenzione dalle vere cause di malessere sociale, attribuendo interamente la responsabilità ai singoli individui. Ne fanno largo uso i telegiornali, ma anche le case di riposo si stanno adeguando a questa bieca strategia per sviare le loro gravi responsabilità nel peggioramento della qualità di vita dei degenti.

Una signora, con il padre ricoverato, riceve la seguente email: “Ai Familiari dell’Anziano *** ***, La presente per certificare la necessità, per ragioni di benessere psicofisico, di garantire la visita, all’Ospite, residente presso la Fondazione ***, di Via ***, nella giornata del 25/03/2021.

Chiariamo che le residenze per anziani, in quest’ultimo anno, si sono convertite in veri e propri carceri di massima sicurezza, privando a forza gli ospiti della vicinanza dei propri familiari, in favore dei contatti unicamente professionali con il personale delle strutture, il quale risulta spesso sotto stress a causa del rigido minutaggio lavorativo. Le case di riposo sono tra i luoghi con maggior percentuale di assenteismo e sindrome da burnout proprio a causa della fatica che il lavoro comporta e le frequenti incomprensioni tra lavoratori e direzione.

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“È una crudeltà”, riferisce l’interessata, “mi obbligano a parlare con mio padre da una finestra, con l’altoparlante e sempre in presenza di un’infermiera che tiene il tempo. Alcune, se vedono che mi intrattengo qualche minuto in più, sbuffano e mi guardano male. Mio padre era già mezzo sordo e cognitivamente è peggiorato molto, cosa vuoi che capisca vedendomi attraverso il vetro? Non si rende certo conto che si tratta di una regola che hanno imposto per l’emergenza. Mi vede fuori e pensa che lo voglia abbandonare, mi urla dietro, si agita. Spesso nemmeno mi riconosce. Prima, che ero libera di andare a trovarlo quando volevo, se era un po’ nervoso, potevo tornare più tardi, aspettando che si calmasse, oppure il giorno dopo. Adesso mi vengono fissati gli incontri, che sono solo due al mese e, se trovo papà agitato, non posso fare niente. Lui è dentro con l’operatrice e io fuori in giardino. La qualità del rapporto è scadente sotto tutti i punti di vista”.

Dubito fortemente che quegli ultra ottantenni nelle residenze vivano costantemente immersi in un clima di gioia, fratellanza e solidarietà. In tutto questo, però, la grande preoccupazione è che i parenti rispettino l’impegno di presentarsi all’incontro, per il benessere psicofisico degli anziani. Una frase del genere sottintende una responsabilità a carico unicamente del parente, qualora la persona ricoverata dovesse presentare malessere.

“A volte disdico l’incontro perché è emotivamente insostenibile anche per me. Li vedo tutti distanti uno dall’altro, soli, in silenzio. E poi, con mio padre non c’è nemmeno più rapporto. È disumano, una vera sofferenza. Un anno fa, nelle case di riposo, moriva qualcuno quasi ogni giorno, ma adesso è finita. Perché continuano così?“.

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Stando alla definizione dell’OMS, la salute è intesa come uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale, e non semplicemente assenza di malattie o infermità.

Sentiamo parlare sempre e solo di contagi, ma del numero di suicidi non ne fa parola nessuno. Ormai, le morti da Covid stanno per essere superate da quelle per disperazione, povertà e conseguenze dei vaccini. Di cos’altro ancora hanno bisogno le persone per capire quello che ci stanno facendo?

Clara Carluccio

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