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IL VIRUS DELLO STATALISMO: IL CASO DELLA LITE TRA LA STUDENTESSA DI MEDICINA E IL SUO PROFESSORE (di Franco Marino)

Ha fatto molto scalpore il video della studentessa mortificata dal professore universitario durante un esame ma si è solo messo alla visione del mondo qualcosa che, senza arrivare a certi eccessi, nelle aule di qualsiasi istituzione burocratica italiana è presente praticamente da sempre.
Lord Acton è famoso per queste parole immortali, pronunciate nel 1887: “Power tends to corrupt, and absolute power corrupts absolutely”, il potere tende a corrompere [chi lo detiene], e il potere assoluto corrompe assolutamente”.
Le autorità, in uno stato etico a regime statalistico, si credono spesso figure genitoriali e si comportano come tali. Hanno una certa idea del bene e tengono ad inculcarla ai loro sottoposti, che siano d’accordo o no. Pur considerando gli agenti della Polizia Stradale benemeriti per il lavoro duro e pericoloso che svolgono, accade che, in perfetta buona fede, a volte essi possano strafare.
Indimenticabile per me fu, a tal proposito, una risposta stizzita che mio padre – persona normalmente molto mite ma molto fermo nei suoi principi – diede ad un agente che dopo averlo fermato per un’infrazione si mise a fargli la morale “Lei non è mio padre nè il mio tutore. ll suo dovere è quello di farmi contravvenzione e nessuno glielo discute. Mi faccia questo verbale e mi risparmi la morale”. Col risultato che l’agente si inasprì ancora di più. Ma in linea di principio, aveva ragione mio padre. Aveva commesso un’infrazione – purtroppo alla guida aveva il piede pesante – ma l’agente che aveva il potere giustamente di sanzionarlo, non rappresentava il tutore del Bene ma semplicemente un signore messo lì per applicare una legge.

L’atteggiamento dell’agente – che comunque viene invitato dai superiori ad educare i cittadini – aveva comunque delle scusanti. Il fenomeno infatti ha una spiegazione di più vasto ambito: la tendenza umana ad identificarsi con l’autorità che si rappresenta.
I magistrati sono un caso esemplare. Alcuni non comprendono che le sentenze non le emettono in base ad un personale potere come Salomone ma quale funzione pubblica dello Stato. Spesso – convinzione vellicata anche da alcune maleducanti fiction – il magistrato si percepisce come colui che “è chiamato a fare giustizia” in una perenne palingenesi morale mentre il suo dovere è solo quello di applicare la legge, anche qualora gli apparisse ingiusta. Sembra un’ovvietà ma non nel paese dove il giudice Corrado Carnevale ancora oggi passa come fiancheggiatore dei mafiosi (passò alla storia come “l’ammazzasentenze”) solo per aver assolto alcuni crminali da accuse che presentavano vizi di forma e talora persino di sostanza. In realtà quel giudice faceva semplicemente il suo dovere.

Per giungere al titolo dell’articolo, anche i docenti universitari sono un caso altrettanto esemplare. Sul piano morale, chiunque abbia frequentato le scuole scopre ben presto che molti professori hanno una stima di se stessi raramente corrispondente alla realtà. Questo ha a che fare col loro potere assoluto. Un professore universitario è chiamato a decidere la preparazione dei suoi alunni, su materie spesso di grandissima importanza. E questo è un compito irrinunciabile. Ma spesso può decidere di agevolare la carriera di allievi che sono emeriti asini e di stroncare la carriera scolastica di promettenti giovani sulla base di idiosincrasie personali, convinzioni politiche, qualità estetiche – e oltre – dello studente, disponibilità da parte di quest’ultimo di sborsare danaro. Non dico niente che uno studente universitario non abbia almeno una volta nella vita sperimentato personalmente. Questo lo porta a confondere il suo ruolo di pubblico ufficiale con quello di un giudice che in quel momento ha potere di vita o di morte sullo studente. Mentre la sua è una semplice funzione pubblica.
Intendiamoci, un professore ha tutto il diritto di bocciare un alunno impreparato e anzi la mia personale convinzione – per il niente che conta – è che ciò, oggi, nelle scuole di ogni grado avvenga troppo di rado. Ma senza arrivare agli eccessi – da psichiatria – del professore di Medicina di Caserta, non ha alcun diritto di esulare dal suo ruolo puramente notarile di trasmettitore di conoscenze e verificatore della preparazione dei suoi studenti e trasformarsi dunque in un educatore aggiuntivo.

Questa tendenza a identificarsi col Potere Benefico è eterna. Ancora tre secoli fa, in Europa abbiamo avuto l’Inquisizione. In molti Paesi musulmani si punisce l’apostasia con la pena capitale: dal momento che l’abbandono dell’Islàm è per il fedele un’enorme disgrazia, lo Stato fa di tutto per evitargliela. Anche con la minaccia, anche con la morte.
Le democrazie moderne hanno superato questo stadio. Lo Stato laico, attraverso la cosiddetta “esteriorità del diritto”, si accontenta dell’obbedienza dei cittadini sugli argomenti più importanti. Del resto, i giuristi intelligenti sanno quanto discusse e discutibili siano le leggi. E tuttavia la vecchia mentalità sopravvive sotterraneamente. I docenti, i carabinieri, i magistrati e le autorità di ogni genere tendono a venerare l’establishment, tanto che ne parlano agli utenti come di qualcosa che anch’essi dovrebbero venerare. Non si accorgono che così si trasformano in ingranaggi del sistema, in sacerdoti del Leviatano, in servitori che vorrebbero trasformare gli altri in servitori dei servitori.

Una società infettata dal virus dello statalismo si contraddistingue per la presenza di caste sacerdotali che non rispondono a nessuno dei danni che compiono. Una società autenticamente liberale investe nella responsabilità dell’individuo. Mettendolo nelle condizioni di scegliere – e di pagarle anche caro se necessario – le scuole che lo aiutano a formarsi meglio.
In un’università di un paese ancorato ai principi del liberalismo, quel professore non farebbe parte del corpo docenti perchè, con una sana concorrenza, le università farebbero a gara per accaparrarsi quei professori che oltre ad essere bravi nel loro mestiere, hanno anche la didattica, cosa niente affatto scontata. Un alunno non preparato e che casomai decide di abbandonare la scuola, suffragherebbe non soltanto un fallimento suo personale ma anche della scuola alla quale si è iscritto.
Ma in un paese liberale, quel professore, soprattutto, non avrebbe bisogno di inveire contro uno studente perchè la laurea non sarebbe che una certificazione necessaria per attrarre la fiducia dei suoi futuri pazienti, non il biglietto di accesso al teatrino del potere.
Invece, nel paese dell’onnipresenza del Leviatano – e della sua assenza dove davvero dovrebbe esserci – il professore è una figura di quel potere che, quando assoluto, “corrompe assolutamente”.

FRANCO MARINO

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