Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

L’EDITORIALE – UN’INFELICE STORIA DI INTEGRAZIONE (di Davide Cavaliere)

La felice la storia d’integrazione di Agitu Gudeta, immigrata etiope, che aveva avviato una piccola impresa agricola in Trentino, è finita in tragedia. La donna è stata uccisa e violentata da un suo dipendente africano.

Il fatto poteva diventare un nuovo e succulento caso di razzismo da dare in pasto a una popolazione inebetita dalla retorica lacrimevole, ma le cose non sono andate nel verso giusto e i mass media “progressisti” si sono ritrovati orfani di un “nuovo caso” di razzismo

Infatti, della vicenda si è smesso di parlare quasi subito. Non è stata trascinata per settimane come quelle di Daisy Osakue o Emmanuel Chidi Nnamdi. Due episodi di cronaca presentati come frutto dell’odio razziale, salvo poi scoprire che il razzismo non c’entrava nulla.

L’assenza del movente discriminatorio non ha impedito alla sinistra di condire la vicenda con iperboli e riflessioni da cabaret buonista. Sulla pagina Facebook del “movimento” delle Sardine è apparso un post agiografico della vittima, scritto presumibilmente da uno che non l’ha mai conosciuta. Agitu Gudeta è stata dipinta come un santa laica, una dea dell’accoglienza, un simbolo della lotta femminile e via dicendo. I toni usati sono talmente artificiosi e magniloquenti da risultare insinceri, persino ironici, sicuramente inadeguati. Mancava solo il racconto del suo arrivo in Italia in sella a un delfino magico, accompagnata da squilli di trombe paradisiache.

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Il medesimo necrologio enfatico e sovrabbondante di zuccherose amenità è apparso sul profilo del dolcissimo Lorenzo Tosa – nel suo caso con tanto di disegno di una capretta in lacrime -, su quello dei “Sentinelli di Milano”, di varie sezione dell’ANPI e Arcigay.

Ciò che però potrebbe sorprendere non è tanto il tono addolorato da prefiche, ma il tenore dei commenti apparsi sotto ai vari post. Si trova di tutto, un vero e proprio delirio collettivo: appelli a Che Guevara, ipotesi di complotto della destra, misandria, odio verso gli uomini che, secondo una utente, “andrebbero curati”, autoflagellamenti: “non siamo riusciti a proteggerla” e tanta pena per le caprette. Il tutto accompagnato da abbondanti emoticon a forma di cuore e faccine tristi.

Odio mescolato a sentimentalismo, paranoie cospiratrici e follie femministe, tutto emulsionato in una specie di pastone arcobaleno vomitato sui social media. I gestori delle pagine interessate, che un giorno sì e l’altro pure ci ammorbano con la loro crociata anticomplottista e antiodio, non hanno rimosso alcun commento. Non ci sorprende. C’è un odio accettato, quello che si pretende orientato al “Bene” e alla “Giustizia”.

Dopotutto, il loro amato Ernesto “Che” Guevara lo sapeva bene quando all’assemblea Tricontinentale riunita a Cuba disse: “L’odio come fattore di lotta; l’odio intransigente contro il nemico”.

Davide Cavaliere 

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