Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

IL VIAGGIO NELLA MEMORIA – LA RUBRICA DELLA SCRITTRICE LETIZIA DIMARTINO

INVITO ALLA LETTURA 

di Matteo Fais

Morire persuasi/ che un siffatto viaggio sia il migliore./ E in quell’ultimo istante essere allegri/ come quando si contano i minuti/ dell’orologio della stazione/ e ognuno vale un secolo./ […] Morte non mi ghermire/ ma da lontano annunciati/ e da amica mi prendi/ come l’estrema delle mie abitudini.

Vincenzo Cardarelli, Alla morte

Che cos’è il tempo? “Se nessuno me lo chiede, lo so; se cerco di spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so”, dice Sant’Agostino. Infatti, il tempo sfugge; così il ricordo. Anch’esso si ripresenta e viene ripercorso con ritmi interiori imprevedibili. Questo sembrano suggerire i passi di Letizia Dimartino in cui la punteggiatura viene meno per rendere il sovrapporsi e lo scorrere delle immagini nella memoria. Il senso di questa corsa che a un certo punto si arena, mentre prima si muove troppo in fretta, è qui mirabilmente reso. Solo “la fine”, come si legge nel secondo paragrafo, è una realtà a sé, l’ultimo approdo a cui si giunge con lenta agonia. Ma la vita, la vita resta questo piombare sugli ultimi istanti, il ritrovarsi con un film fatto di spezzoni, fotogrammi singoli. Sempre troppo poco, nella luce della conclusione. Unicamente una tragica e incontrovertibile verità si impone: in principio l’esistenza scorreva, ma il tempo a un certo punto si è fatto insopportabilmente lento.

I TESTI DI LETIZIA DIMARTINO

Di treni ne ho presi lungo la terra brulla le spine i cardi cespugli che toccavano i finestrini il binario nel solco stretto fra rocce e pietre il mare improvviso il caldo del vetro il velluto unto e rovente traghetti ad attendere vagoni col vento che si infila scompartimenti maleodoranti le ciocche scomposte la nave il mare fondo e come nero la costa il sonno stazioni piccole la voce dell’arrivo Salerno larga senza onde il respiro e l’aria Milano lontana il libro sulle ginocchia la frutta irrancidita arance i morsi gli spicchi il succo sul mento l’odore la nausea la testa appoggiata la tenda pesante campagne diverse donne in bicicletta Bertolucci in Novecento casolari e covoni filari e strisce di nebbia la guerra immaginata il Grand Hotel a Rimini la piazza tonda e bianca Buzzati nelle mani il desiderio ciò che pulsa leggendo le strade rette della città i palazzi bui semafori lontani incroci donne che mettono paura il sesso. Ogni cosa succedeva. Col tempo. Lento.

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Il viaggio la Giulietta celeste autogrill nuovi pavimenti lucidi auto che scorrono nastri di strade paesi sul mare acqua verde schiuma sulle rocce prati nel silenzio clacson rochi il sonno sul sedile campanili stretti chiese addossate ai muri cori nel buio ristoranti su terrazzi grida sulla spiaggia giardini nelle sere il sonno sui tavoli forte vento che scioglie gelati nei bicchieri la fronte che batte il dolore alle gambe il diario da scrivere lo scialle sulle braccia fredde camicie sbottonate sudore nascosto le grida del padre la nausea alle curve la paura al sorpasso la calma dei paesi le corse e la fine in una estate in tutte le estati in quelle che finiscono in quelle dentro. La fine.

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Quando si esce e c’è la pioggia e devo scappare e non posso il vento sulle testa la sciarpa che mi avvolgo l’auto con la radio accesa le città che non vedrò il mare di Catania il nero delle onde dello Stretto l’alba rosea sulla Calabria le mimose che non profumano la palma che sbatte a Pasqua l’Addolorata nel vestito nero che sventola in un venerdì nuvoloso la cioccolata sul tavolo la sua carta metallica Milano da ricordare Milano che non vedrò Amalfi arrampicata la piazzetta chiusa il posteggio sul mare le curve le onde che baciano i baci che non esistono il tempo che li ha rubati quelli che non me li daranno quelli che vorrebbero darmeli e non possono le labbra che ancora vogliono quello che devo immaginare le cartoline vecchie nel cassetto i francobolli colorati i saluti antichi le firme sbiadite amori addolorati quelli finiti quelli che portano speranza io che cammino poco la schiena che non mi fa guidare la tavola apparecchiata e il profumo della pizza solo questo mi resta solo i versi sulla tastiera il foglio giallo le lettere da scrivere le parole che avrei noi che non siamo. Io che leggo poesie e basta. Il basta.

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