Il Detonatore

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POESIA – UN INTROVERSO NEL MONDO, IL NUOVO FRANZ KRAUSPENHAAR DI “FACCIA DA SUGO” (di Matteo Fais)

“Voglio sempre più morire come/ città rovinosa, sformata in una signora di orrendi grattacieli,/ per rinascere come uomo, toccando l’oceano con i piedi,/ per essere un cielo a mia volta, molto azzurro, e discreto”.

Franz Krauspenhaar, Faccia da sugo, Ensemble.

Non c’è discorso più stupido di quello portato avanti da coloro che lamentano un eccesso di pubblicazioni poetiche in Italia. Di solito questi sognano un grande selezionatore – che sembra più che altro un grande inquisitore – posto al vertice della catena editoriale, il quale dovrebbe determinare i pochissimi titoli degni di pubblicazione, così da sollevarci dal peso della scelta e dell’eventuale errore.

Premesso che non esiste un parametro assoluto, per così dire scientifico, per determinare cosa sia poesia, è sicuro che i testi si incontrano e ci vengono incontro, facendosi riconoscere come inaggirabili per noi. Oggi come oggi, poi, grazie alla tecnologia e, in particolare, a internet, è tutto infinitamente più semplice: si entra sul sito dell’editore, si guardano le nuove uscite e si può star sicuri che, se un volume è lì ad attenderci, ci balzerà all’occhio per un qualsiasi motivo, fosse pure il semplice titolo o la copertina.

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Per esempio, questo testo di Franz Krauspenhaar, pubblicato da Ensemble, non può che richiamare l’attenzione fin dal titolo appunto, Faccia da sugo. Chi diavolo potrebbe fare una scelta simile se non lui, questo pazzo pazzo poeta milanese, bombarolo del verso e terrorista della rima. Basti, poi, leggere i primi versi: “Spegni quella cicca/ sulla mia guancia di lacrime/ finte, sii forte e perdona/ chi ti ha sterminato la famiglia/ o la collezione dei vecchi LP”. Non servono motivi ulteriori per decidere di optare per l’acquisto. Anche volendo, i cazzotti può essere che non li si veda arrivare, ma certo si sentono subito dopo – così è per i libri.

Gran bel volume questo del vecchio Franz. Breve ma intenso, 54 pagine di un maudit che fugge lo spirito di serietà, che non fa sfoggio della propria agonia, ma ne ha per tutti, dalla sua città natale agli altri letterati del solito giro (“la poesia è un cumulo/ di conserva di vari tipi di frutta marcia”). Un uomo e un poeta che, in mezzo a invettive e maledizioni, visioni dell’insonnia, non ha certo timore di esporsi, di buttare là in mezzo, come un boccone per cani affamati, un brandello di carne e fragilità (“E non ci fu alcuno scampo a quell’attimo/ struggente, che prometteva altro”).

Difficile dire se questo libro abbia, per così dire, una trama, nel senso di una tematica principale. Krauspenhaar è una creatura che vive di lampi, non di sillogismi. Sicuramente, non è alieno al suo tempo. Sa bene che “siamo/ nel futuro senza termine, nel vago/ mondo urbano”.

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C’è molta introversione, come sempre nell’opera di questo che si sente “un bambino/ del secolo passato” e non disdegna, con un certo gusto simpaticamente malsano e bastardo, di sprofondare in sé stesso (“Forse siamo ancora in tempo per arrivare/ al prossimo carnevale. Mi vestirei da temporale./ Prima dell’alluvvione”).

Al contempo la percezione del mondo è netta, insopportabile. Esiste un fuori che è totale antitesi (“Gli incivili si trovano tutti al bar,/ allo stadio, nei barbecue televisivi, le interiora/ sulla griglia rovente della discussione”). Persino la dimensione politica fa capolino, oramai impossibile da non considerare, sfonderebbe anche la porta della torre d’avorio (“L’Unione Europea per ora è una immensa fuffa/ politica di polli; sono allevati a terra, tutti inutili./ Hanno delle armi, perché non si sparano/ tra loro?”). Per il resto, il sentimento del poeta, di fronte allo spettacolo del carnevale umano nella decadenza, oscilla, superiore a qualsiasi idiota coerenza, tra la solidarietà (“La civiltà è nei singoli, ma se questi non si/ frequentano, allora grave è la perdita: perché/ ogni persona civile parla al muro”) e il rifiuto cinico e indispettito (“Ma fa niente, sono così felice, auguro al mondo/ di sparire in un rinculo festoso del Big Bang”).

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Tutto ciò si mescola a tematiche care e su cui torna anche questa volta, evidentemente sentendole inesauribili, intimamente legate alla propria storia personale, come la questione famigliare in La tomba di mamma (“Dio placa, ascolta, rimedia, ama una volta tanto,/ la supplica ti arrivi”) e quella della sua Milano (“città/ dalla quale abbiamo cavato terra e pece e mosto di/ legna, e il petrolio, avanzato da baracche di sfollati,/ e miliardi di barili, enormi, di frustrazione nera”).

Ci sarebbe, infine, l’immagine che dà anche il titolo al volume, quella faccia da sugomolto italiana,/ la faccia di un ladro, di un uomo di vizi,/ di false circostanze, di croste senza pane./ La mia faccia è ancora sporca di sugo,/ è una faccia rossa, italiana, da corsa folle,/ del colore della Ferrari, ma non corre più,/ se non su circuiti immaginari”. Insomma, un personale ritratto che è anche quello di una Nazione, “un cadavere/ di traverso, da nord a sud, e la colpa/ è nostra, non ci sono innocenti qui”.

Da leggere come si ascolta la confessione di un compagno d’inferno, in una notte in cui dormire sarebbe impossibile.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).

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