Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO D’AMORE: CE LO SPIEGA ANDRE DUBUS III (di Matteo Fais)

I filosofi sono dei violenti che non dispongono di un esercito e perciò si impadroniscono del mondo rinchiudendolo in un sistema sta scritto in L’uomo senza qualità di Robert Musil. Per questo la letteratura, oltre ad anticiparne certe conclusioni, è spesso superiore alla filosofia – e la filosofia superiore risulta aforismatica, non lineare, frammentaria. Essa rifiuta la ferocia della metodo che vorrebbe adattare il mondo al pensiero, invece di rispecchiare con quest’ultimo la realtà – anzi, le realtà.

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Non è un caso che qualsiasi teorizzazione sul sentimento sia in fin dei conti una colossale stronzata, un tentativo di fare matematica del mistero, di mettere in gabbia un animale non nato per la cattività. In amore non ci sono regole, o meglio ognuno deve rintracciare la sua formula alchemica per ottenere un’esplosione che gli capiterà più che altro per caso, tramutandolo in una torcia umana.

Ecco perché, al di là di qualsiasi sistema interpretativo, è preferibile costruirsi la propria educazione sentimentale a mezzo di poesia, narrativa e, più in generale, attraverso un’ampia frequentazione dell’arte. Bisogna attraversare mille milioni di storie per raggiungere il proprio punto di vista, invece di mettersi nelle mani di uno psicologo o di qualcuno tra i tanti guru social che promettono di avere il modellino semplice e in 3D che possa spiegare ogni azione di maschi e femmine.

Meglio dunque, per esempio, prendere in mano – insieme a tanti altri, ovviamente – l’ultimo testo di Andre Dubus III, Ghost Dogs, una vera miniera di riflessioni e aneddoti non a caso dei più vari e disparati, in cui ciò che si percepisce è che l’idea nasce dall’esperienza e dall’emozione. Ne viene restituita proprio la genesi a partire da episodi, incontri, situazioni, senza che questa sia un a priori che pervade e dà forma fin da principio alle storie in esso raccontate.

Affascinante, a tal proposito, la lettera che Dubus III scrive ai due figli sull’amore. Non un prontuario stupido di consigli da bar, un pacchetto di esperienze da aprire e pronte per l’uso, ma piuttosto la confessione di un uomo di virilissima tempra che svela le proprie fragilità rispetto al sentimento (“la possibilità di amare qualcuno ed essere ricambiato, mi terrorizzava”).

Senza tanti giri di parole, l’autore ammette loro di essere andato da una psicologa, già dall’età di 24 anni, per una ragione che gli si è palesata realmente solo quando le si è seduto davanti: “Non riguardava il fatto che il mondo mi apparisse come un luogo oscuro, o che fossi perseguitato dal pensiero di un disastro imminente ad attendermi dietro l’angolo. Il motivo era che più di una ragazza mi aveva detto, in mille modi, ‘Tu non vuoi lasciarti amare da me’”.

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Si è certamente di fronte a un uomo che non ha paura di fissare la propria immagine riflessa allo specchio, di guardare in faccia l’angoscia: “Era vero. Preferivo essere io ad amare, a salvare, a occuparmi dell’altro che ricevere tutto ciò […] Sapevo che, circonfuso dall’amore, sarei crepato”. Si potrebbe chiamare, in modo più semplice, paura d’amare, o meglio di tutto ciò che all’amore potrebbe accompagnarsi, ma non esistono parole migliori di quelle di Dubus III: “Non volevo riporre fiducia nelle cose buone della vita, tanto che avrei preferito non provare niente […] piuttosto che andare incontro alla perdita e fare ancora del male”.

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Come uscire da questo pantano emotivo? Non certo con un terapeuta a fare da grillo parlante sulla propria spalla. Semplicemente, ad amare si impara amando. Dopo diverse storie – che vengono raccontate nel resto del libro –, in cui l’uomo si forma, apprende come stare al mondo, a vivere l’intimità, la prossimità invasiva dell’altro e fare i conti con la sua diversità, incontra la donna che diventerà, in meno di un anno, sua moglie: La riconobbi, era lei. Proveniva da lontano, da un tempo passato. Era come se l’avessi conosciuta ancor prima di nascere.

Naturalmente, non è stato facile per lui guadagnare l’uscita in una terra di macerie e detriti, vincere inquietudini e dubbi (“Cosa poteva venire dall’amore se non perdita e dolore, insieme a un terribile senso di solitudine?”). Bisognava vincere il timore della sconfitta, di poter perdere da un momento all’altro tutto ciò che si era ottenuto, in luogo di chiudersi in quello spazio in cui vi è solo sicurezza, perché regna il vuoto.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).

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