Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

MEDITAZIONI SARTRIANE – “L’INFERNO SONO GLI ALTRI” (di Matteo Fais)

Lo scenario della dannazione eterna delineato da Dante ha avuto molto successo perché particolarmente spettacolare. Pece nera, fuoco, squartamenti, demoni intenti a torturare, paesaggi oscuri e spettrali – una specie di film dell’orrore partorito da un fervida fantasia medievale.

Se quel Dio, che Dante dava per certo esistesse, non ci fosse, forse per questo l’inferno non sarebbe? E se vi dicessero che c’è un luogo di tortura altrettanto terrificante nella sala d’attesa di un dentista, al parco, all’ospedale come in discoteca, a scuola e all’università o, in estrema sintesi, ovunque qualcuno possa fissare i suoi occhi su di voi?

Così fa dire uno dei più grandi filosofi del Secondo Novecento, Jean Paul Sartre, a Garcin, protagonista maschile di A porte chiuse, una sua fantastica opera teatrale: “Voi avete in mente lo zolfo, il rogo, la grata… Ah! Che idiozia. Non c’è bisogno della grata: l’inferno sono gli altri”.

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Premesso che l’argomento è inesauribile – il paradosso di ogni questione è che si può esplicitare, forse trattare, ma mai chiarire totalmente –, proviamo ad avanzare alcune riflessioni in merito. Figuratevi, per esempio, di essere in casa con una donna che amate. Potrebbe pure essere che, fino a prima di conoscerla, voi siate stati degli amanti disattenti ed egoisti, votati unicamente al vostro piacere personale, privi di empatia e calore. Eppure, in quel momento, quella femmina è il vostro mondo, l’unico approdo che vi darebbe una misura di serenità. La amate disperatamente. Lei è l’alfa e l’omega, la vita o la morte. Avete già dormito al suo fianco. Avete sentito l’eccitazione crescere in lei mentre la accarezzavate sui seni e tra le cosce. Ha mormorato stupende assurdità al culmine della penetrazione. Ha chiamato quella carnalità “amore”. Le ha addirittura voluto attribuire la dimensione dell’eternità: “ti amerò per sempre”.

In quell’istante, però, vi guarda e tutto in lei, dallo sguardo alla postura del corpo, ha un che di respingente. Che usi delle parole dure e inequivocabili, o elusive, voi avete capito che le attenzioni nei suoi confronti sono passate dall’essere viste come dolcezza e passione ai gesti di un misero e patetico maschio interessato unicamente al godimento, che la donna non desidera ulteriormente ricevere.

Lei è il vostro inferno. Vi giudica. Vi inchioda a un’immagine di voi stessi che non sentite appartenervi. Ma cosa siete voi? In realtà, niente: la stessa persona che è andata a letto con centinaia di donne senza curarsi dei loro sentimenti, oggi piange per un sorriso di quella creatura. Già, perché nessuno è qualcosa dal principio e fino alla morte. Noi siamo libertà, il che equivale a dire che non siamo niente.

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Il tavolo, il libro, il telefono non possono essere altro da ciò che sono. Essi coincidono con il proprio essere. L’uomo è diverso. Egli è coscienza, possibilità di mutare, di proiettarsi verso il futuro, di essere oggi ubriaco di egoismo e domani immensa generosità senza limiti. Infatti, non è neppure ciò che è stato: la mia mancanza di coraggio di oggi non significa che domani io agirò allo stesso modo.

Gli altri cercano invece di cristallizzarci a ogni sguardo in un’immagine della nostra persona. Noi, a nostra volta, tentiamo disperatamente di correggere questa visione in una sorta di eterna autodifesa (“non è vero, io sono sensibile, attento, umano”), ricadendo nel medesimo errore. È l’inautenticità di ogni esistenza. Il cameriere cerca di dimostrarsi, con i suoi gesti solerti e servizievoli, solo un cameriere. L’intellettuale si affanna, leggendo solo certi libri e guardando unicamente film impegnati, per farsi considerare un uomo dagli alti interessi. Prosasticamente parlando, ogni giorno mettiamo in scena ciò che cerchiamo di essere, senza mai coincidere con noi stessi, perché potremmo sempre intraprendere un’altra strada.

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Ogni sguardo esterno turba questo tentativo di costruzione di noi stessi. La donna seduta all’altro capo della stanza, che mi osserva disgustata, incenerisce l’immagine di me stesso che mi ero fatto come uomo tutto sommato attraente e fascinoso, capace di tenere presso di sé la sua passione. Nel occhio di lei, io sono riflesso come l’obbrobrio, lo schifo, una sgradevolissima presenza sul piano estetico. E, seppure cerco di ostentare una qualche dignità al suo cospetto, facendo finta di non aver problemi rispetto al suo rigetto, ella può comunque ridurmi a “quel disperato che, senza il mio amore, non esiste”.

Non potendo uscire da questo assurdo circolo vizioso che è la socialità, l’essere umano è condannato all’inferno, alla dipendenza dallo sguardo che lo riduce al “vecchio bavoso e triste”, “il giovane mesto e solitario”, “l’anima in pena che muove un passo dopo l’altro alla ricerca di una speranza che non arriva mai”. Possiamo rifugiarci in noi stessi, in una visione consolatoria e autoreferenziale, ma non vi è fuga dalla vista altrui che, inevitabilmente, ci appiattisce sulla rappresentazione statuaria che di noi si è costruita.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).

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