Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

NEL “VENTRE” DI GIULIA DELLA CIOPPA – UN ROMANZO SUL CORPO (di Marco Pianti)

Se, per un’improvvisa quanto insperata rivelazione, avessimo la certezza assoluta che le nostre vite continueranno dopo la morte, e questa riguardasse solo il disfacimento dei corpi, i nostri involucri, i suicidi si moltiplicherebbero a dismisura, le agenzie di viaggi venderebbero pacchetti verso l’inferno, e gruppi di fedeli diverrebbero dinamitardi impegnati a far saltare in aria i luoghi di culto, perché la fede si fonda sulla speranza e tala certezza ne minerebbe l’autorità.

Il racconto di Giulia Della Cioppa, Ventre (Alter Ego, 2023), si apre con l’annuncio di un suicidio fallito. A parlarci è Margherita, la protagonista, sospesa nel limbo, in un letto d’ospedale. Così facendo, l’autrice solleva il lettore dal compito di dover capire se a parlare è qualcuno che sta per nascere o è appena morto. Capiamo subito che la narrazione non procederà per intrighi o trame, non ci saranno colpi di scena (in fondo cosa può ancora sorprenderci? Niente può salvarci dalla prevedibilità della trama, ammesso che una trama esista) né facili sentimentalismi.

Viene da chiedersi, però, se Margherita volesse davvero morire, o se non desiderasse, invece, sbarazzarsi del suo corpo. Se così fosse, la condizione in cui si trova rappresenterebbe il compimento di una legittima aspirazione.

Il limbo in cui giace Margherita è la forma dell’apatia e dell’impotenza avvertita dall’autrice e da una buona porzione di umanità. A fare da corredo al suo corpo inerme, inutilizzabile, ci sono sua madre e un’infermiera – ma non solo. Il rapporto con la madre è conflittuale e testimone di un’adolescenza irrisolta, che produce un’idealizzazione dell’infanzia.

Il ruolo della donna è ambiguo, quindi si presta a diverse interpretazioni, per esempio l’amore ossessivo che si traduce in un legame a tratti asfissiante (al quale, forse, si potrebbe sfuggire sbarazzandosi del proprio corpo? Per ristabilire le distanze, diventare padroni di sé, estinguere il debito, finalmente, con un amore che somiglia a un ricatto). In quest’epoca, gli Amori Tossici sono diventati un cliché. Si trascura, così, l’universalità di questa tossicità, che è l’essenza di tutti gli amori, a partire da quello di un genitore per il figlio.

Un esempio autorevole è il diario di Annie Ernaux, Perdersi, in cui l’autrice francese descrive un legame ossessivo, e così facendo ci informa della misura di ossessività contenuta in ogni legame fondato sulla passione.

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Quella di Giulia Della Cioppa è, per prendere in prestito una definizione dello stesso Premio Nobel, in riferimento alla propria scrittura, una prosa piatta. Nel caso di Annie Ernaux è il risultato di profonde riflessioni e della necessità di conservare nella scrittura la verità delle proprie origini proletarie; nel caso di Ventre, invece, potrebbe trattarsi di un tentativo di mimesi – cosa possiamo saperne di come si esprimono gli individui mezzi morti o mezzi vivi? 

Le frasi sono brevi, secche, tronche. A tratti si ha l’impressione di leggere il verbale di una seduta dallo psicanalista o di una confessione tormentosa, interrotta da gemiti e sospiri. Giulia Della Cioppa è Margherita, sua madre e Bianca, l’infermiera che ne incide il corpo, apparentemente in maniera sadica, ma anche voluttuosa.

Ecco un’altra ambivalenza, propria del rapporto con il corpo, e specialmente con il proprio corpo. Questo, infatti, è il primo terreno di gioco per ognuno di noi, e quando smette di essere oggetto sessuale, ovvero principio di godimento fisico, e viene abbruttito dalle contingenze, continuiamo a pungolarlo perché produca delle sensazioni, anche dolorose. L’autrice opera una moltiplicazione di sé, si pone in una condizione di osservatrice e mette in scena un estremo tentativo di abbandonare il limbo in cui si sente da viva.

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Nella sua monumentale opera, Massa e Potere, Elias Canetti descrive la figura del Sopravvissuto, il genocida che spazza via tutto intorno a sé per contemplare le macerie e compiacersi di essere l’ultimo rimasto. Egli cammina per i viali alberati del cimitero, o tra le fosse comuni, e vede confermato il proprio potere nullificatore, sollevato dall’assenza di minacce. In Ventre, Giulia Della Cioppa propone un’inversione di questo concetto. Margherita, infatti, è una morta che osserva la vita procedere confusamente e offre ai vivi uno specchio difformante in cui osservarsi.

Uno uccide per confermare e alleggerire la propria esistenza, l’altra si uccide per arrestare l’esistenza in modo da poterla confrontare; uno distrugge per osservare la morte, compiaciuto, l’altra si leva la vita, o almeno ci prova, per osservarla con maggiore lucidità.

“Ho bevuto una boccetta di Tavor, poi del latte”, dice Margherita. Il pasto rituale dei condannati, prima della forca. Ma, anche qui, si riscontra una certa distanza tra le parole scelte e l’effetto prodotto. In questo resoconto, infatti, si rivela un piacere masochista. Il Tavor con il latte appare quasi come un pasto gustoso, ricorda le colazioni dell’infanzia, quando l’appetito non era nervoso ma innocente, non serviva a riempire il vuoto, ma a predisporsi alle gioie della vita.

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La condizione di Margherita, in fondo, è un rompicapo. E la soluzione è il corpo, protagonista dell’opera. Non è un corpo vegetale, ridotto alle sue funzioni sensoriali, perché le connessioni neuronali sono intatte e producono pensieri e immagini. Se non fosse per l’informazione del suicidio, che serve a scombinare la linearità, e perché no, la banalità della storia, potremmo immaginare Margherita sdraiata in un pomeriggio qualunque, in una squallida mansarda a fissare un rettangolo di luce pallida su una parete scalcinata, circondata da spettri, rassegnata alla moltitudine propria di ogni solitudine.

Gli spettri, forse, sono la misura della distanza che ci separa dalla nostra esistenza fisica. Se Margherita avesse voluto morire si sarebbe sparata un colpo, invece ha deciso di scivolare in un nulla farmacologico, solo provvisorio, precario, in cui ritrova tutto, intatto, come in un incubo da cui non riesce a svegliarsi.

Marco Pianti

Per contattare l’autore: marco_pianti@yahoo.com

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