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L’EDITORIALE – IMMIGRAZIONE E TERRITORIO – L’ITALIA NON È PIÙ ITALIANA (di Davide Cavaliere)

Lampedusa non è più territorio italiano, ma una terra di nessuno dove la popolazione è ostaggio di clandestini africani prevaricatori e aggressivi. A nord, Genova non appartiene più ai genovesi. Il porto è di proprietà di un’azienda cinese e il centro storico è stato comprato o affittato, un pezzo alla volta, un negozio alla volta, dagli immigrati africani, in maggioranza marocchini e tunisini, e gli italiani che vi passeggiano si sentono ormai stranieri. Per non parlare delle bande di sudamericani che spadroneggiano in diversi quartieri. Alcuni non osano più attraversare certe zone della città, tanto meno la sera. Se i musulmani decidessero di edificare una nuova moschea in prossimità della Cattedrale di San Lorenzo, nessuno sarebbe in grado di opporsi efficacemente, nemmeno la Chiesa, sempre ben disposta verso i figli di Allah.

Come il capoluogo ligure, anche Firenze non appartiene più ai fiorentini. Pure qui il centro storico è stato comprato, un palmo alla volta, un’attività commerciale alla volta, dagli immigrati africani. Ricchissimi “sceicchi” hanno acquistato i palazzi intorno al Duomo, anche quelli abitati per secoli dai discendenti di Dante. I sindaci che si sono succeduti non vi ha trovato nulla da eccepire, e adesso hanno la soddisfazione di affacciarsi dal loro ufficio e udire le grida dei venditori e annusare gli effluvi provenienti dalle cucine musulmane. I negozi africani vendono ai turisti, sotto il naso dei fiorentini impotenti, borsette contraffatte dalla Cina e, malgrado la battaglia ingaggiata da Oriana Fallaci, le moschee prosperano al pari dei commerci più o meno leciti.

Roma, la Capitale, non è messa meglio, da tempo non vive un momento di fioritura. Gran parte del centro, a cominciare dalla Basilica di S. Maria Maggiore fino a Piazza Vittorio e a S. Giovanni, appartiene agli immigrati, soprattutto cinesi e africani. Comprano tutto quello che possono, convincendo facilmente i proprietari attraverso una inusuale abbondanza di denaro contante, cosa che nessun italiano possiede. I cinesi, poi, sono silenziosissimi. Non salgono quasi mai alla ribalta delle cronache perché obbediscono, senza osare lamentarsi, a una disciplina ferrea, lavorando in modo disumano, al di fuori di qualsiasi normativa igienica e sindacale. Un altro centro urbano toscano, Prato, è ormai una colonia cinese.

Ci si accorge della loro presenza soltanto dagli ideogrammi delle insegne. La questione delle insegne dei negozi, del resto, è di per sé  indicativa del disprezzo dei sindaci verso la propria città. Nessuno ha ritenuto doveroso vietare ai nuovi padroni l’uso di lingue diverse dall’italiano, lanterne di carta e cimeli etnici orribili e di cattivo gusto. Ma ormai qualunque centro abitato, anche il più disperso, ospita una moschea, un supermercato asiatico, un money transfer e almeno un paio ristoranti gestiti da immigrati. Sarebbe urgente, dunque, emanare una legge che vieti l’acquisto di terreni, di edifici, di locali agli stranieri. Affittino pure, ma non diventino proprietari di nulla. Si tratta di una normativa che esiste in diversi Stati, anche in quelli africani dai quali provengono molti dei nostri immigrati. La mancanza di una simile normativa è sufficiente,  da sola, a testimoniare della spaventosa indifferenza dei governanti verso il territorio italiano e, ovviamente, anche dei proprietari di immobili che vendono agli allogeni nel tentativo di intascarsi un guadagno extra. 

Su questa penisola, unica al mondo, siamo in troppi e il territorio italiano va salvaguardato dall’eccesso demografico. Non soltanto per la sua intrinseca fragilità ecologica, ma anche per la sua bellezza paesaggistica. 

Le orde di clandestini sono elementi estranei non solo alla storia e alla cultura italiane, ma anche all’ambiente circostante. Camminare per Torino e imbattersi in vie simili a suk, o in piccole Chinatown, è spaesante. Procura una insofferenza che ha profonde motivazioni psicologiche e sociali, oltre a generare problemi di carattere securitario. Le zone occupate e abitate prevalentemente da stranieri non sono più percepite come “proprie” e, dunque, sicure

Un popolo ha bisogno di un territorio ben delimitato e chiuso per vivere in pace, così come ogni individuo si sente al sicuro soltanto se possiede una casa nella quale nessuno possa entrare. L’Italia è diventata negli ultimi anni terra di approdo per chiunque. Ma un popolo è tale appunto perché possiede una terra. I “confini” esistono da sempre, in ogni tempo e in ogni luogo, perché delimitano la sacralità dello spazio nel quale vive un determinato gruppo di uomini. L’essere umano è un animale territoriale.

Gli italiani devono battersi contro la voracità dell’immigrazione selvaggia, affermando il diritto a una continuità urbana, estetica, territoriale, che non permetta l’insediarsi di massicci gruppi di allogeni e il formarsi di zone franche. Ne va della nostra sopravvivenza.

                         Davide Cavaliere 

L’AUTORE

 DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais, del giornale online “Il Detonatore”. 

Un commento su “L’EDITORIALE – IMMIGRAZIONE E TERRITORIO – L’ITALIA NON È PIÙ ITALIANA (di Davide Cavaliere)

  1. Anche Machiavelli nel Principe scrive che i coloni sono meglio dei mercenari per conquistare territori…
    Ma forse i nostri Sindaci l’hanno dimenticato.

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